Col suo maxi tir ha sostato a Cosenza dinanzi al Comune il Neet working tour voluto dal Dipartimento per le politiche giovanili guidato dalla ministro Dadone, presente in città.
Le finalità sono apprezzabili: fornire informazioni – e con esse stimoli – a milioni di giovani che non studiano e non hanno né cercano un lavoro. Gli stessi che, finita la paghetta di genitori e nonni, dovranno sbarcare il lunario accontentandosi di lavori precari e non qualificati.
Il mantra sui Neet
Ora che ci siano giovani che per carattere scelgano di vivere una pseudo vita fatta di chiacchiere tra amici, qualche bevuta nei luoghi di ritrovo abituali e di rinunciare a un progetto di vita è un dato di fatto che registra peraltro indici di crescita significativi.
Primo imputato il Covid, tuttavia è una spiegazione che ha qualche elemento di verità ma non è tutta la verità.
Allora, prima di distribuire materiale informativo ai giovani neet, occorre che qualcuno si sforzi di informare se stesso e gli altri delle possibili cause di questa specie di “sciopero” dalla vita. Che è, piuttosto, la risposta sbagliata a problemi irrisolti o sottostimati. E, quindi, a responsabilità di quanti – politici, governanti, sindacati, imprenditori – se ne sono stati acquattati e silenti ripetendo come un mantra quella definizione in inglese che non spiega ma al più arricchisce il lessico contemporaneo.
Scelte individuali e fattori sociali
Dunque, dato per scontato che tra i cosiddetti “nullafacenti” ci sono anche scelte individuali che nascono da inclinazioni personali e caratteriali, occorre andare oltre. E cercare di trovare le relazioni tra il contesto economico, sociale, culturale esterno, cioè la società qual è divenuta e qual è percepita, e le condotte inerti individuali di tanta, troppa parte della gioventù.
Partiamo da una frase reiterata in tutte le sedi: dopo tanti anni “si è fermato l’ascensore sociale”. Vuol dire che i figli – che in teoria hanno molte più opportunità formative dei loro padri – non hanno (e non credono più che tocchi loro) una condizione sociale, personale, economica e lavorativa migliore dei propri genitori, come sempre avvenuto negli anni passati.
Naturalmente questo vale per tantissimi giovani ma ci sono pure molte eccezioni che certo non escludono le capacità e la volontà di darsi un migliore progetto di vita. Ma nella realtà giocano un ruolo importante la capacità economica, la condizione professionale, l’importanza delle relazioni della propria famiglia.
Come rendere utile il Neet working tour
Questo meccanismo è oggi più complesso della tipica e tradizionale “raccomandazione del politico di turno”. Quella è diventata meno produttiva di risultati, ma non è certo sparita. Nel Sud – e in Calabria, per quel che ci riguarda – l’idea di votarsi fedelmente al politico “che conta” sacrificando la propria condizione di liberi cittadini stenta a morire. Qualcuno dovrebbe spiegare anche con l’aiuto del Neet working tour – che allora sarebbe veramente utile – che la gestione da “bari” e talora “ladri di futuro per i giovani migliori” di chi può ora funziona solo per i pochi fortunati per i quali si apparecchiano improbabili “assunzioni” a chiamata diretta o selezioni pubbliche farlocche con esito predeterminato.
I nuovi emigrati
A fronte dei Neet di varia natura, ci sono poi quelli che replicano nell’emigrazione 2.0 quella dei padri e dei nonni. Non ci sono più le valigie di cartone piene di salsicce, caciocavalli , pane e frisine, che oltre a preservare per qualche giorno dalla fame erano soprattutto un elisir che rendeva meno traumatico l’abbandono della propria terra.
Oggi emigrare può essere – e spesso è – un modo per entrare in contesti più dinamici, più ricchi di opportunità professionali, anche pregiate.
Ma anche il peso dello svantaggio sociale ti accompagna e ti condiziona. Tra i corsi della Bocconi e il lavoro precario e demansionato c’è una bella differenza.
Per chi frequenta i primi sostenere i costi “europei” di Milano, che ormai se la batte con Londra e Parigi, non è un grosso problema; per la grande maggioranza con “stipendi italiani”, cioè tra i più bassi d’Europa, permettersi un letto in periferia è già un lusso.
Nessuno ne parla. I giornali scrivono che per “vivere” a Milano una famiglia media deve avere al minimo un reddito di 3.300 euro. Ma non si fanno domande: quanti, in concreto, raggiungono quel minimo? E, soprattutto, che senso ha falcidiare la “qualità della vita” per “sopravvivere” a Milano o altre città del nord? Quanti emigrati poi tornano a casa a fare (da laureati) commessi e camerieri con contratti precari o senza contratti e con retribuzioni di poche centinaia di euro grazie a cui nel sud sopravvivi meglio che coi 1.200 euro al mese che potresti guadagnare a Milano?
Meglio neet o paria?
Quelli che, stufi di essere i “paria” di una società di anziani, decidono di tornare al rito della paghetta familiare o al reddito di cittadinanza (un’idea giusta realizzata nel modo peggiore e cialtronesco) sono o non sono censibili come Neet? Per noi lo sono. E questo già da solo rende pressoché inutili i gazebo del Neet working tour dinanzi al Comune di Cosenza con tanto di foto sorridente della ministra e del sindaco.
Da ultimo, senza presumere di aver esaurito il tema, c’è il fenomeno che nessuno vuole spiegare: centinaia di migliaia di persone lasciano un lavoro stabile e pagato per entrare di fatto a vantaggio di una vita migliore (ricordando che la vita si è allungata, ma sempre una rimane) nella categoria dei Neet.
Come li classifichiamo, Neet privilegiati? O persone che non accettano uno scambio tra stipendi di sussistenza e azzeramento del tempo per leggere un libro, andare in un museo o al cinema o per fare una semplice passeggiata (cioè per vivere da “umani”)?