Muccino per Tokyo, tutti tacciono e noi paghiamo

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Dunque il funambolico f.f. presidente della Regione Calabria ha potuto cimentarsi anche nella post regia del corto di Muccino. Ha sganciato alla Rai un’altra mezza milionata di euro per trasmetterlo dopo il lifting e diffondere tra il grande pubblico quel filmato che era stato visto quasi solo da calabresi imbufaliti. Gli stessi che, utilizzando un po’ di ironia e una dose abbondante di sconcerto e rabbia, ne avevano fatto circolare in rete diverse versioni sfottenti, certo più efficaci dell’originale.

Come definire l’operazione Muccino?

Chi scrive – che nella sua precedente vita professionale di spot pubblicitari s’è occupato, e non poco – ha definito il corto di Muccino una porcata. Anzi una maxi porcata, solo per compararla con i precedenti penosi tentativi di promuovere la Calabria, come lo spot con i Bronzi di Riace raffigurati come due gaglioffi che se le danno di santa ragione. Cosi l’immagine dei calabresi violenti ne usciva ancora rafforzata.

Sempre rifacendomi ad un altro non lungo passaggio della mia poliedrica (non vuole essere un complimento) vita professionale, in veste di avvocato ho utilizzato il linguaggio giuridico, non più quello estetico, per qualificare la summenzionata maxiporcata, definendola corpo di reato.

Come può essere definito un lavoro del genere se un produttore di spettacoli televisivi e filmati destinati ai circuiti più importanti, Rai compresa, da me interpellato, saputa la cifra folle concordata dalla Regione con la Viola, incaricata di realizzarlo, ha parlato di «furto» intendendo che con quel budget milionario la Rai realizza un spettacolo in prima serata? Come definire un filmato che, strapagato per una durata di 8 minuti, tolti i titoli di testa e di coda, dura poco più di 5 minuti? Dunque, corpo di reato ci sta tutto.

Il silenzio dei protagonisti

Pescando poi sempre nella bisaccia dei miei mestieri ho scelto quello che ho fatto tutta la vita: il giornalista che prima di scrivere di solito pensa, indaga, approfondisce. Ho quindi scritto alla Viola chiedendo lumi, soprattutto dopo aver notato che questa società metteva in vetrina le sue produzioni ma non faceva cenno al “ corto-maxiporcata-corpo di reato”. Risposte? Zero.

Poiché nella vulgata noi calabresi siamo testardi, ed io calabrese e cosentino testardo lo sono per vocazione, ho pregato un amico e autorevolissimo avvocato di Cosenza di chiedere ciò che la legge prevede: l’accesso agli atti alla Regione. La nostra massima istituzione territoriale, che notoriamente ha il culto della Legge, prima ha risposto per chiedere cosa volessimo sapere, non bastando i molteplici rifermenti normativi dell’avvocato. Poi, a seguito di nuova e ancora più esplicita richiesta, la Regione ha applicato un codice che le piace di più evidentemente: il silenzio.

Un freno al ridicolo

Ultimo passaggio per saperne di più, nel silenzio timido dell’informazione: ho telefonato ad un consigliere regionale , di cui potete leggere in un articolo pubblicato da I Calabresi, che aveva presentato un’interrogazione sul corto a risposta scritta, quindi obbligante per l’interrogato. Avrebbe dovuto darmi copia del contratto stipulato per la produzione del corto, per la pubblica amministrazione è un atto pubblico. Ma anche in questo caso mi è andata male.

Cosa restava da fare, avendo pagato di tasca mia già onorari di due avvocati, a Roma e, come dicevo, a Cosenza? Il ricorso al Tar di Catanzaro. E qui, avendo precedenti con la giustizia amministrativa sconfortanti, mi sono arreso per non diventare ridicolo. In fondo, a rendermi tale insieme ai miei corregionali aveva già provveduto Muccino con coppole e finocchietti.

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