Ieri, alle cinque e mezza del pomeriggio, la mia mente è andata al teletrasporto. Che stramberia, penserete. E a ragione.
Ma nel tumulto che mi ha investito quando Sasà Albanese mi ha confermato che Mimmo Lucano era stato (sostanzialmente) assolto, la ragione non c’entra. Perché in quel momento l’unico gesto che avrei voluto compiere era quello di abbracciare Mimmo, dal quale però mi separavano 130 chilometri.
Mimmo, poco tempo fa mi aveva dichiarato in un’intervista che sarebbe andato in galera senza chiedere sconti di alcun genere. Condannatemi, aveva detto. Prendetevi fino in fondo le vostre responsabilità. Dopo aver coperto la distanza tra Reggio a Riace l’ho trovato lì dove m’aspettavo che fosse: in piazza, non in galera.
A Riace, il paese dei miracoli, dove umanità, solidarietà, amore non sono parole. Sono volti, baci, abbracci, sorrisi, mani che si stringono e si protendono per soccorrere chi zoppica, chi è stanco, chi è affamato.
Mimmo Lucano: Riace di tutti i colori
Mani di colore diverso, perché nella Riace di Mimmo il colore che conta è quello del sangue, uguale per tutti. Del cielo, uguale per tutti. Del grano o delle foglie degli alberi, uguale per tutti.
Abbraccio Mimmo a occhi chiusi, ma vedo bene che in quell’istante lui è il mondo intero, con le sue brutture e le sue bellezze. Imperfetto, a volte sordo. Però in momenti come questi meraviglioso.
Tanti amici e compagni sono lì, a condividere la luce dopo un tunnel buio e triste. Troppo, insopportabilmente lungo. Certo, nell’attraversarlo, Mimmo Lucano ha dimostrato una resistenza erculea. La tenebra nella quale ha camminato è stata penetrata da tanti raggi di sole: i suoi estimatori, sparsi in tutto il mondo. Tuttavia, credo che non ne sarebbe venuto fuori se non avesse avuto, dentro di sé, la forza delle sue idee. Incrollabili. Rocce che alcun corso d’acqua ruggente e violento avrebbe potuto trascinare via.
I principi di una vita, saldi in lui fin da ragazzo. Quelli l’hanno guidato già prima di Riace, e quindi hanno segnato anche quell’esperienza. Non poteva cedere e non ha ceduto. E anche il suo più grande timore, quello di perdere credibilità davanti alla sua gente, per colpa delle accuse e del processo, si è squagliato ieri come neve al sole.
Una giornata storica (in questo caso certamente sì) terminata tra sorrisi e abbracci, tra canti e brindisi. Con il grande Peppino Lavorato, dalla solita postura fiera e gentile da vecchio combattente, a dirigere il coro di Bella ciao.
Più si va in là con gli anni, pensavo tornando a casa, più le occasioni per gioire si rarefanno. Sono gemme preziose da custodire gelosamente. Quella che abbiamo incastonato ieri nelle nostre vite è una delle più raffinate e pregiate. Il nostro Mimmo potrà continuare nella sua missione, che consiste semplicemente nell’aiutare il prossimo. Con la consapevolezza di poterlo fare perché la solidarietà, da ieri, non è più un reato.