I processi politici esistono. Quello che ha dovuto affrontare Mimmo Lucano, dal quale aveva subito una condanna di tredici anni, puniva una visione differente dell’accoglienza. Una idea migliore di essere “questa sporca razza”, come avrebbe detto Beckett. Insomma, una umanità migliore.
La sentenza di primo grado puniva la solidarietà in un mondo costruito come sostanzialmente ostile verso “l’altro”, basato sulla disuguaglianza che accanisce i meno uguali, già discriminati, contro quelli che stanno ancora più sotto, gli ultimi.
Puniva in modo grottesco (e con motivazioni raccapriccianti per chiunque percepisca il senso del Diritto) una persona che aveva osato dimostrare che si poteva vincere l’egoismo, dando vita a una piccola oasi di uguaglianza e opportunità, di riscatto e rinascita.
Verso quest’oasi si era rivolto anche lo sguardo internazionale, interessato a capire come fosse stato possibile in questa remota periferia del pianeta realizzare l’utopia di un mondo almeno un poco meno ingiusto.
Fine dell’obbrobrio per Mimmo Lucano
Oggi l’obbrobrio è stato cancellato: il processo di secondo grado ridimensiona la pena da tredici anni a uno e mezzo per irregolarità amministrative e ne sospende l’esecuzione.
Tutto questo avviene dopo circa cinque anni dall’arresto e dalla fine di quella esperienza di umanità solidale, di rinascita di un piccolo paese, di ritrovamento smarrito di umanità. L’Appello nega le accuse più pesanti: associazione a delinquere, peculato, frode. A chi, con stupore degli accusatori, spiegava che nelle tasche di Lucano non c’era nemmeno un euro, la sentenza di primo grado replicava che questa povertà era frutto della sua furbizia. Un modo troppo semplicistico per dire che quella esperienza doveva spegnersi subendo anche l’onta dell’infamia.
Alla fine, più ancora della gravità della sentenza di primo grado, era questo l’oltraggio con cui seppellire Lucano: trasformarlo da realizzatore di idee coraggiose in un piccolo bandito. Non ci sono riusciti. Lucano non andrà in carcere per avere dato dignità a chi non ne aveva più e proseguirà quel che in questi anni non ha mai interrotto: costruire il suo piccolo prezioso mondo di accoglienza.
Sia scritto sui muri, sui libri di scuola, sia scritto e gridato nelle piazze: la solidarietà non è mai stata un reato.