Puntuale come l’allergia a primavera, è arrivato anche stavolta il richiamo alla magia del Mediterraneo. È stato subito un fiorire di sigle accattivanti: Hub Mediterraneo, Stati generali del Mediterraneo, Missione Mediterraneo e via dicendo.
Se analizziamo i programmi di governo dal 1980 in poi, parliamo quindi di oltre 40 anni, troviamo sempre un rinvio alla necessità del nostro Paese di puntare verso scelte di posizionamento culturale e commerciale capaci di privilegiare la nostra natura mediterranea piuttosto che inseguire la locomotiva tedesca e nord europea con i suoi numeri, per noi, irraggiungibili.
Soprattutto per il Sud, si diceva e si dice, il Mediterraneo deve diventare un’opportunità strategica, dato il nostro posizionamento geografico e la presenza di infrastrutture importanti quali il Porto di Gioia Tauro.
Tutto bene se non fosse per un unico piccolo dettaglio che non appare ben considerato nelle riflessioni sinora espresse dalle forze politiche, sociali ed imprenditoriali: di quale Mediterraneo parliamo?
Ma che cos’è questo Mediterraneo?
Usciamo dall’equivoco e dalla genericità. Non esiste il Mediterraneo. Esistono diversi Mediterranei che dovremmo avere il coraggio, politico, di valutare e, parallelamente, di scegliere.
Ci riferiamo al Mediterraneo Occidentale? E cioè a Marocco, Algeria e Tunisia?
Ci riferiamo al Mediterraneo Centrale? E cioè a Libia ed Egitto?
Ci riferiamo al Mediterraneo Orientale? E cioè a Israele, Libano, Siria, Turchia?
E nel caso del Mezzogiorno, e della Calabria in particolare, quale dovrebbe essere il criterio di selezione geo-politico di queste tre aree?
Se è vero, da un lato, che la recente crisi energetica e migratoria ha finito per sdoganare relazioni culturali (di facciata) con paesi mediterranei in possesso di DNA democratici non proprio affini alla realtà europea (Algeria e Turchia in primis), siamo proprio sicuri che la creazione di nuove relazioni commerciali possa bastare a fare del Mediterraneo una prospettiva di sviluppo stabile e concreta per il Sud?
Paese che vai, problema che trovi
La mia impressione è che non basti. Intanto Tunisia, Marocco, Israele, e per tanti versi anche la Turchia, sono nostri diretti concorrenti, spesso anche vincenti in termini di leadership di prezzo, in molti segmenti dell’agroalimentare (olivicoltura e agrumicolo soprattutto) e del turismo di massa (Egitto e Turchia soprattutto).
La Libia non ha governance politica certa. La Tunisia è vicina al default. L’Algeria e il Marocco sono sempre a un passo dal dichiararsi guerra per la questione del Sahara occidentale. Nel Libano secondo Save the Children il 37% della popolazione ha addirittura problemi di nutrizione. Di Siria è quasi pleonastico parlare.
Mediterraneo, Sud e Calabria
Allora signori, per piacere, facciamo uno sforzo di onestà intellettuale. Che significa diventare hub del Mediterraneo? Che significa puntare al Mediterraneo? Parliamo di internazionalizzazione attiva o passiva?
Mi spiego meglio: stiamo forse provando ad indossare, come italiani, l’abito di un neo-colonialismo strisciante travestito da solidarismo europeo? E l’Italia, oltre alle forniture di gas da ottenere da regimi dittatoriali, ha i mezzi e la finanza pubblica per interpretare questo ruolo senza sfiorare il ridicolo? E il Sud e la Calabria, alle prese con LEP che il ministro Calderoli intende assicurare stornando gli euro del Fondo Coesione non spesi (colpevolmente) dalle Regioni, che ruolo avranno? Venderemo le melanzane sott’olio ai tunisini o le settimane al mare, magari a Tropea, agli egiziani?
Intanto la Cina…
Qual è la politica industriale che il Paese ha immaginato e per quale paese del Mediterraneo? Qualcuno si è accorto, ad esempio, che gli investimenti diretti cinesi nel Mediterraneo sono avvenuti in infrastrutture strategiche come i porti attraverso l’acquisizione di partecipazioni nelle relative società di gestione? Parliamo di Marsiglia, Ambarli, Valencia, Pireo, Port Said, Marsaxlokk, Cherchell, Haifa, Istanbul.
Certo, si dirà, questa non è una buona ragione per desistere ma, vivaddio, potremmo ragionare su singoli progetti e su singoli paesi e non ricorrere sempre alla formula salvifica di Mediterraneo che finisce per non significare nulla?
Obiettivi, non slogan
E allora perché non provare a costruire da subito un Master plan con indicazione di Paese, Settori, Progetti, Obiettivi e Sostenibilità finanziaria cercando di dare alla politica il senso del governo per obiettivi e non per slogan ormai quarantennali e davvero desueti?
Il Mediterraneo ringrazia per le risposte che la politica riuscirà, sicuramente, a dare.