Ma a svegliarci dal torpore deve essere un prefetto?

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Ho avuto il privilegio di parlare più volte, fuori da ogni ufficialità e senza formalismi, con l’ormai ex prefetto Cinzia Guercio, che nel lasciare Cosenza ha pronunciato parole schiette, inusuali per gli alti funzionari dello Stato. In occasione di una visita di congedo presso il Comando provinciale dei Carabinieri ha parlato con simpatia della Calabria, ma rivolgendosi ai calabresi li ha invitati a «svegliarsi dal torpore» di cui sembrano preda , ad usare il voto «come strumento di cambiamento» e in conclusione a «guardare oltre la siepe».

È difficile dire meglio questa sollecitazione da parte di chi ama la Calabria. Ma con franchezza dobbiamo confessare che questa nostra splendida terra, in particolare questa nostra città di Cosenza, facciamo fatica oggi a riconoscerla rispetto ad un passato neppure troppo lontano: dimessa, stordita da una rappresentazione onirica falsa, privata di riferimenti e luoghi per la cultura e per il confronto delle idee, ferita da cantieri senza fine e forse senza scopo.

Il torpore, forse solo apparente, nella realtà significa acquiescenza allo spettacolo di una classe dirigente, amministrativa e politica spesso mediocre, autoreferenziale, poco stimata perché poco stimabile (con le ovvie fortunate eccezioni). Significa fingere che contino ancora manipolatori di voti e dispensatori di favori che hanno fatto il bello e cattivo tempo distribuendo posti di lavoro fasulli, non perché tutti ne hanno diritto, ma per comprare fedeltà servili.

E in tanti continuano nel torpore evocato dall’ex prefetto senza accorgersi che quei dispensatori di piccole prebende hanno ormai gli scaffali delle loro “bancarelle” vuoti e se promettono lo fanno con inganno. La realtà non mente: oltre 700.000 calabresi negli ultimi vent’anni hanno lasciato la Calabria, i giovani di maggior valore non hanno trovato modo di provare qui le proprie capacità. E purtroppo in grande maggioranza, pur potendo, non torneranno indietro. Con questi ritmi nel 2040 la Calabria avrà meno di un milione di abitanti e le città “calabresi” saranno tutte fuori dallo Stivale, da Milano in su, verso l’Europa e il mondo.

Questi concetti li ha espressi con chiarezza, affetto e intelligenza un eccellente prefetto, romana, mentre dovremmo essere noi calabresi a urlare queste parole e spiegare che il cosiddetto torpore può essere sinonimo di acquiescenza, pavidità, disinteresse per le sorti delle nostre comunità. In poche parole, una condizione insopportabile.

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