Il giornalista Gian Antonio Stella s’è occupato sul Corriere della Sera del 3 agosto delle Terme Luigiane, chiuse da tempo e senza certezze per il futuro E per dare conto ai lettori delle ragioni della sua scelta si è affidato alle magniloquenti definizioni che da sempre, dal tempo di Plinio il Vecchio, accompagnano il «fiore all’occhiello» del termalismo calabrese – sola voce in attivo nel disastrato bilancio della sanità regionale – per l’ accertata e apprezzata efficacia terapeutica.
Ma tanto entusiasmo si sgonfia perché, ricorda Stella , «il celebre fango delle Terme Luigiane (…) è stato sepolto sotto il fango meno salutare ma assai più puzzolente della cattiva politica e della cattiva burocrazia locali».
Danni gravissimi
Il compiacimento che avevamo provato nel vedere una volta tanto la Calabria emancipata dai riferimenti quasi rituali a mafia, massoneria deviata, corruzione (e peperoncino, assurto a simbolo della nostra terra come il bergamotto del deprecato Muccino) scompare tristemente con le battute finali dell’articolo che parla di «danni gravissimi al buon nome del turismo locale, dei pazienti che non possono permettersi di emigrare in giro per la penisola ma più ancora dei circa 250 dipendenti rimasti a spasso. Furenti e spaventati».
La nostra scelta
Se delle Terme s’è occupato un giornalista veneto più noto per le malefatte della cosiddetta “casta” che per la crisi del termalismo calabrese, sarebbe stato imperdonabile se con pari rigore e maggiore attenzione alle sorti dei lavoratori e dell’economia locale non avessimo impegnato giorni e fatica – scartabellando montagne di documenti– per capire le ragioni di tanta miopia e autolesionismo.
Abbiamo riportato ieri le parole di taluni dipendenti della società che fino ad oggi per 85 anni ha gestito le Terme Luigiane. Oggi pubblichiamo la lunga intervista della controparte, il sindaco di Acquappesa, concessionario del compendio termale insieme con il collega di Guardia Piemontese.
I nostri lettori hanno condiviso e apprezzato la scelta editoriale de ICALABRESI e in diverse migliaia hanno letto, commentato, condiviso il primo articolo. Siamo convinti che altrettanto accadrà con l’articolo che pubblichiamo oggi, a garanzia di un’informazione ampia ed equilibrata.
Ma la Regione che fa?
Fuori dal confronto diretto – scelta più facile e comoda – rimangono altri soggetti istituzionali . Lo ha fatto ieri su Il Quotidiano del Sud l’assessore al Turismo, Fausto Orsomarso, che a parte minacciare di adire la magistratura, non si sa per chi e perché ( ma il vezzo di affidarsi all’onniscienza della magistratura ce l’ha in natura, come dimostra il caso del negato inquinamento delle acque marine calabresi) non ha contribuito a chiarire il busillis.
Replica oggi il consigliere regionale della Lega – lo stesso partito dell’inarrivabile Spirlì – Pietro Molinaro, che contesta l’affermazione con cui Orsomarso aveva relegato il ruolo della Regione a “spettatore attento” – ci mancava pure che fosse disattento!– suggerendo invece per l’ente il ruolo di “vigilanza” sulle eventuali inadempienze dei concessionari. Nel nostro caso, i Comuni di Acquappesa e Guardia Piemontese.
I veri interlocutori
Anziché parlarsi addosso e a distanza, perché non farlo pubblicamente – come usa quando la politica si occupa dei problemi dei cittadini e non ne discute solo accademicamente – , vis-à-vis con i lavoratori che hanno perso il lavoro, con gli operatori commerciali – albergatori in primo luogo- già messi K.O. dal Covid, con quei calabresi che alle terme ci debbono andare, nella propria terra, specie se qui possiamo vantare una volta tanto «un fiore all’occhiello»?