Ma insomma, mi rivolgo a chi l’ha vista, e a quellichenon rivolgo l’invito a vederla: sbaglio, o alla fine una serie così strepitosamente fotografica come Ripley, in cui ogni inquadratura è un titillamento per le papille oculari, si concede anche il gusto di fare il verso a noi (a qualcuno di noi) fotografanti?
C’è una Leica che appare fra gli oggetti che Ripley posiziona in ogni stanza dove gli capita di alloggiare, quasi allestisse un set, e con la quale – in una scena lunga quanto il tempo di un click distratto alla finestra su otto puntate -, gli scappa addirittura di scattare una foto! Così come gli altri oggetti di design da esibire, anche la macchina fotografica nella trama ha una funzione d’uso del tutto relativa rispetto al suo fare status, ma un’altra interpretazione, più maliziosa, è possibile. Anzi, due: e se rimandasse alla credenza, diffusa anche tra i fotografanti, che il possesso conferisce il prestigio della credibilità autoriale? O a quell’altra credenza-corollario che la fotografia sia questione di attrezzo?
Chissà… Certo è che alla protagonista femminile, Marge, flaneur che oggi scriverebbe un blog piuttosto che una guida in forma di libro su Atrani, viene riservata un’assai più modesta Kodak Brownie 127, una di quelle in bakelite dal design Deco, lente fissa e zero regolazioni che compare sempre abbastanza di sfuggita, ma evidentemente adatta allo scopo se l’americana in costiera arriva infine alla pubblicazione.
Attilio Lauria