Convincere le persone, specie quelle sussiegose per natura, che il pallone, cioè il calcio, non è figlio di un dio minore da lasciare a quegli invasati dei tifosi è impresa difficile, in alcuni casi impossibile. Lo è sicuramente con il presidente del Cosenza Calcio, Eugenio Guarascio, che solo per educazione – virtù che possiede in misura quasi pari alla parsimonia – si dichiara d’accordo. La realtà dice il contrario se per la terza volta, quest’anno con ottime chances, punta alla retrocessione. Non è una scelta, forse. È però sicuramente un’aspirazione, come accade alle persone che, attratte dal fascino nascosto della mediocrità, pur potendosi permettere entrambi tra un attico e un sottoscala optano per il secondo perché “è più comodo”.
Il calcio e la società
Noi che della calabresità abbiamo una componente essenziale – la capa tosta – restiamo convinti di una cosa: il calcio pesa e condiziona molto la vita sociale. Coinvolge oltre il razionale moltissime persone, anche quelle che vivono sempre in giacca e cravatta o pochette (modello Conte) ma poi in tribuna si scatenano senza pudore, scadendo nel pecoreccio. Il calcio pesa sull’economia, anche se ora meno perché le migliaia di tifosi in trasferta si sono ridotte per la concorrenza delle pay-tv. Pesa sulla politica, che ha visto molti presidenti di società eletti al Parlamento. È, infine, un magnifico elemento identitario.
Gli effetti di Guarascio su Cosenza
Accade cosi che se il calcio va male – a Cosenza va malissimo da anni – gli effetti negativi si diffondono sulla vita della città. Ciò, nel nostro caso, carica di imperdonabili responsabilità Guarascio. E lui, per di più, mostra senza pudore che del calcio capisce poco. Chi ha il privilegio di dargli qualche suggerimento (destinato a non essere seguìto a prescindere) può testimoniare che di pallone non sa niente, ma non sa neppure di non sapere.
Gi dicono di non riprendere Occhiuzzi? E lui lo riassume. Di richiamare Zaffaroni? E lui si butta su Bisoli per la “cazzimma” da sergente dei Marines che urla alle reclute. Poco importa che quel signore milanese abbia fatto meglio – e con una rosa più sghangherata dell’attuale – di Occhiuzzi e Bisoli messi assieme. Guarascio, inemendabile, insiste su quest’ultimo. Il pallone ci tiene proprio a bucarlo.
La città dei palloni bucati
Ora, affermato che il pallone a Cosenza è irrimediabilmente bucato e che si interseca con altri fenomeni sociali, culturali e politici, sorge un timore. Quello che dopo aver guardato la realtà, dentro e fuori lo stadio, Cosenza sia diventata o rischi di diventare la “città dei palloni bucati”. In senso reale e traslato.