Che l’uomo fosse s-pregiudicato lo si sapeva da tempo, che poi è esattamente il motivo per il quale oggi è sotto accusa, e dunque è bastato poco perché cadesse quell’ultima foglia di fico della “s”. Così, pochi minuti dopo la pubblicazione della foto segnaletica, dalla sua gioiosa macchina da guerra comunicativa è partita un’altra campagna di contro-comunicazione all’insegna di “Breaking news: The Mugshot is here”, ultimora, c’è la foto segnaletica. Un’altra perché già lo scorso aprile il Nostro – si fa per dire – aveva fatto stampare delle magliette con una falsa foto segnaletica con la scritta “not guilty”, acquistabile con un contributo di 36 dollari per sostenerne la campagna elettorale per le prossime presidenziali.
Le “never surrender” di oggi, complice l’inflazione, that my lady, you can’t understand anything here anymore! (che signora mia qua non si capisce più niente), quotano 47 dollari, ma ai supporter disposti anche alla galera pur di seguire il loro pifferaio non fa certo impressione questo pugno di dollari in più.
La foto di Trump? Era tutto previsto dal suo team
Merchandising a parte, il fatto è che come già per altri esempi della storia, nostrani inclusi, il passaggio dall’uomo al suffisso segna l’ulteriore arretramento di una certa società ancora legata a valori etici. E quest’ultima versione del trumpismo avvalora pericolosamente la vulgata degli avvisi di garanzia come must curriculari, più altre degenerazioni varie ed eventuali. Ma siamo qui a parlare di una foto, la prima e unica foto segnaletica mai scattata a un presidente americano, che nelle letture dei maggiori media USA viene descritta come il ritratto di una sfida, lanciata con lo sguardo basso e torvo, vestendo i colori della bandiera americana – abito blu scuro, camicia bianca, cravatta rosso vivo – come da copione patriottico. Al contrario di Rudolph Giuliani, che abbozza una smorfia di sorriso incredulo come altri coimputati, Trump in realtà sta comunicando ancora una volta con il suo “popolo”, concedendogli quella versione di sé e della sua politica che si aspettano: il leader combattivo che promette battaglia anche da quella situazione, che tenta così di girare a proprio favore. Cosa d’altra parte studiata e preparata da tempo, come rivela l’espressione della falsa foto segnaletica di aprile, stesso sguardo basso e stesso atteggiamento duro di sfida. Di certo è una foto destinata a diventare iconica, di quelle pop che troviamo stampate su tazze da thè e in ogni dove, e non per le stesse ragioni del poster Hope di Obama.
E come per ogni foto segnaletica, equiparata al rango di fototessera, non sapremo mai chi ne sia l’autore; ma qui, in realtà, l’autore è chi ha scelto la posa, il come mostrarsi al mondo.
Attilio Lauria
giornalista