Nelle elezioni europee delle scorse settimane si è indubbiamente registrato, in diversi paesi, un successo delle formazioni di destra, ma siamo anche sicuri che l’8 e il 9 giugno scorsi si sia realizzata in Italia una grande avanzata delle destre e che, di conseguenza, il governo Meloni nel suo insieme, cioè nella somma dei voti dei partiti che lo compongono, abbia conquistato maggiori consensi rispetto alle elezioni precedenti? La risposta a questa domanda è di capitale importanza in questo particolare momento della vita democratica, in quanto è proprio sul presupposto di un trionfale consenso ricevuto a sostegno delle proprie strategie che poggia l’offensiva, da parte delle forze di governo, a sostegno di due importantissime leggi di riforma (quella sul premierato e quella sull’autonomia differenziata), attualmente in via di approvazione.
La Costituzione modificata
Queste due riforme modificano in profondità la Costituzione scritta (con riferimento ai poteri del Presidente del Consiglio e, di conseguenza, all’intero sistema di equilibrio tra i poteri che i Padri Costituenti hanno posto a caposaldo della nostra democrazia) e la Costituzione materiale (nella parte che, richiamando la Costituzione scritta, garantisce attraverso le leggi normali la redistribuzione delle risorse tra le aree più sviluppate e quelle meno sviluppate dell’Italia e, di conseguenza, in nome del diritto alla salute, la parità di trattamento per ogni cittadino italiano, veneto o calabrese, nell’essenziale settore dei servizi socio-sanitari). La risposta corretta alla domanda posta ha a che fare con la legittimità sostanziale che deriva (o meno) a un governo e a un progetto di riforma di rilievo costituzionale dal consenso popolare fornito dagli elettori, cioè dal popolo sovrano. Riguarda quindi la lettura completa e corretta, anziché parziale, incompleta e in definitiva fuorviante, dei risultati elettorali.
I dati elettorali interpretati male
La distorsione nella lettura del dato elettorale, nel caso di queste elezioni, riguarda: a) la correlazione evidente, eppure omessa o sottovalutata, tra il partito del non voto (che nel 2024 ha superato il 51% dell’elettorato complessivo) ed il voto espresso a favore dei partiti di maggioranza e di opposizione; b) la comparazione con i risultati delle elezioni precedenti. In entrambi i casi, possiamo facilmente constatare che i commenti hanno ignorato il quadro complessivo, che risulta dal confronto tra voto e non voto e tra elezioni successive, supponendo erroneamente il trionfo elettorale di Meloni & C in queste elezioni, mentre le cose sono andate in maniera completamente differente, in quanto queste forze hanno subito un evidente arretramento. Punto a): gli astensionisti, quando superano un certo numero (o, come oggi, diventano addirittura maggioranza assoluta) decidono indirettamente chi vince e chi perde, perché modificano di fatto le regole abituali del gioco elettorale. Infatti, diamo solitamente per scontato che, in una democrazia, i vincitori e gli sconfitti in una competizione elettorale siano l’espressione del popolo sovrano che, a larga maggioranza, esprime le sue scelte tra le liste in competizione.
Se a votare ci va un minoranza
Cosa accade, viceversa, quando a votare è soltanto una minoranza degli aventi diritto? Facciamo un esempio per intenderci: può accadere che, pur con una percentuale di consensi assai bassa (magari uguale al 10-12% dell’intero elettorato), un leader che sappia compattare al suo fianco alcune altre liste capaci di ottenere nel loro insieme più o meno la stessa percentuale di consensi (diciamo un 10-12% all’incirca, così da raggiungere insieme un 20-24% sul totale del corpo elettorale), abbia comunque più consensi di una opposizione divisa (non si dimentichi il peso derivante dalla capacità di saper utilizzare al meglio le tecniche di calcolo elettorale nella formazione delle liste, come pure il peso delle schede bianche e nulle), raggiunga così la maggioranza relativa, conquisti in tal modo la forza per governare lecitamente, pur rappresentando nei fatti, con la sua intera coalizione, la miseria di 1 cittadino su 5 o poco più. Guarda caso, l’insieme delle formazioni riconducibili all’attuale governo (FdI, FI, Lega) ha raggiunto pochi giorni fa solo il 22% dei consensi dell’elettorato italiano, che è composto da 51 milioni di cittadini. Rappresenta, pertanto, 11 dei 51 milioni di italiani chiamati alle urne. Si obietterà: ma l’8 e il 9 giugno si è votato per l’Europa, che c’entra con il governo? C’entra moltissimo, perché la Premier ha personalizzato e “nazionalizzato” tantissimo la campagna elettorale, appunto sottolineando che era a caccia dei consensi necessari per portare a compimento le sue riforme. E cosa ci dice la comparazione tra il recente voto europeo con i risultati dei partiti di centro-destra nelle elezioni politiche del 2022 e in quelle europee del 2019? Si tratta di elezioni molto differenti tra di loro per vari motivi, quindi la comparazione ha un valore solo indicativo, ma è comunque assai utile.
I dati a confronto
Veniamo ai dati: nelle europee del 2019 i partiti italiani di centro destra (CD) ottennero, nel loro insieme, 13 milioni e 225 mila suffragi (votò il 54,5% dell’elettorato; il CD ottenne il 49,4% dei votanti effettivi e quasi il 25% dell’elettorato completo; si registrò l’exploit di Salvini e della Lega, che superò il 34,2% dei consensi, mentre FdI ottenne il 6,4%). Nelle politiche del 2022 la stessa coalizione ottenne nel complesso 12 milioni e 300 mila suffragi (votò il 63,9% degli aventi diritto; il CD ottenne il consenso del 44% dei votanti, pari al 27% dell’elettorato totale, si realizzò l’exploit di Fratelli d’Italia, che raggiunse il 26%, e il flop della Lega, con l’8,8%). Nelle europee del 2024 le stesse forze politiche, complessivamente, hanno ottenuto 11 milioni di voti (1 milione e 300 mila voti in meno rispetto al 2022, oltre 2 milioni di consensi in meno rispetto al 2019), pari al 47% dei votanti e al 22,7% dell’elettorato totale; FdI è risultato il partito più votato, con il 28,8% dei consensi espressi, pari al 13% dell’elettorato intero. Questi sono i numeri reali: altro che avanzata! Nel trionfo dell’astensionismo, il centro destra contiene le perdite restando unito e redistribuendo i voti in diminuzione soprattutto al suo interno; il centro sinistra, viceversa, perde voti e si divide autolesionisticamente. Il popolo rinuncia in maggioranza ad esercitare il suo potere sovrano, l’elettorato latita, la democrazia si dimezza.
Legittimità a governare e legittimità a cambiare le regole della democrazia
In conclusione: il governo Meloni ha pieni e legittimi titoli per governare e proporre riforme, in questa grave crisi della democrazia? Senza dubbio, sì. Gode di un consenso elettorale così ampio da fornirle la legittimità popolare necessaria per cambiare le regole costituzionali? Senza dubbio, no. Anzi, si intravede una pericolosa distorsione del principio democratico: la legittimità popolare scarseggia ed a questo problema radicale, invece che con il buongoverno e con il recupero del popolo sovrano alla partecipazione, si vuole rispondere rendendo il potere politico più autoreferenziale, lontano, verticistico.
Antonio Costabile
Università della Calabria