Elezioni come Teatro, qualcuno fischierà gli attori?

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Non è una forzatura paragonare una campagna elettorale, anche a prescindere dalla collocazione in un contesto territoriale specifico, ad una rappresentazione teatrale.
Gli attori, cioè i candidati, pur con ruoli diversi, protagonisti o comprimari, (rap)presentano se stessi e i loro programmi recitando una parte. E seguendo un canovaccio puntano a guadagnare gli applausi, cioè il consenso, degli spettatori.

Tanti attori, pochi spettatori

A Cosenza – la sola città capoluogo chiamata ad eleggere il proprio sindaco e, con il resto della Calabria, il proprio presidente – calca il palcoscenico non una sparuta compagnia teatrale, ma addirittura 869 teatranti.
Un numero esorbitante e sorprendente considerando che gli attori/candidati “recitano” davanti ad una platea con un pubblico ridotto. In teatro e anche fuori di esso, perché la città ha solo 65.000 abitanti e un numero di spettatori/elettori di circa 44.000 persone che assegneranno a sindaco e consiglieri solo 32 poltrone.

Il pubblico di una volta

In una rappresentazione teatrale vera gli spettatori hanno il diritto di giudicare in libertà, applaudendo e fischiando gli attori. In altre epoche lanciare pomodori contro i malcapitati teatranti era pratica ricorrente.
Del resto in tempi antichi – dal teatro latino di Plauto e Terenzio a quello shakespeariano e oltre – il “colloquio” e il confronto anche irriverente tra chi era sul palcoscenico e chi vi stava davanti era consuetudine. E agli attori toccava non recitare con un testo più o meno imparato a memoria, ma replicare, spiegare. Insomma, come usa dire oggi, a relazionarsi realmente con il pubblico.

La platea di oggi

Nell’odierna rappresentazione invece l’attore protagonista è solo chi cerca i voti del pubblico votante. Promette e dichiara lui solo, talora straparla a vanvera, spessissimo lavora di fantasia con mirabolanti promesse destinate di norma a restare lettera morta.
Il pubblico, come quello antico, siede in platea. Ma a differenza del passato ha a disposizione solo una scelta da compiere: manifestare il proprio apprezzamento, bufale e fantasmagorie comprese, e fare intendere all’oratore-attore-candidato che il voto suo, dei parenti fino al quarto grado, degli amici e conoscenti in numero indefinito, è assicurato. A patto, però, che tanta ostentata fedeltà preveda all’occorrenza un certo contraccambio.

Prendiamo, ad esempio, gli attori che recitavano nel ‘500 Re Lear e gli spettatori che assistevano su scomodissime panche di legno (quando andava bene) e tuttavia erano parte attiva e libera di manifestare dissenso e consenso anche in modi grossolani. Si respirava qualche refolo di libertà allora o oppure oggi, quando la platea è di fatto obbligata a camuffare il dissenso – salvo essere messi alla porta da un manipolo di buttafuori – e in aggiunta con una fasulla offerta di voti in libertà?

I soliti ignoti

Ed ancora, che beneficio ne ricavano – abbandonando la metafora teatrale- i cittadini da una offerta politica affidata ad una pletora di candidati ignoti ai più, e spesso inconsapevoli di esserlo, che considerano le teste dei loro elettori utili per calcolare a preventivo e contare a consuntivo l’esito delle urne, e non soggetti protagonisti nella comunità di appartenenza? Quest’ultima non è “cosa” degli eletti e dei loro protettori, ma un’area dove vivere con consapevolezza e libertà essendone i cittadini i veri padroni.

Dal teatro, utilizzato come metafora, alla realtà si compie un vero e proprio salto. In alto? Forse, ma è improbabile. Tale e quale a prima le elezioni? Assai probabile. In basso? Difficile, perché molti in basso sono già caduti in una società scivolata, specie nel Sud e in Calabria, nell’area della marginalità sociale e dell’indigenza.

La politica, la buona politica, i buoni candidati, le forze politiche che mantengono – pure se infragilito – il senso del proprio ruolo nel segno dell’equità esistono. Faticano a farsi largo nella pletora dei commedianti, ma esistono. E il popolo, se non si acconcia alle lusinghe fasulle del conformismo e del gregarismo, può contare, decidere, premiare e sanzionare.

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