Una destra che avrebbe odiato il pretaccio di Barbiana

L'insegnamento di Don Milani contro la retorica della scuola del merito. Quella che non raccoglierà il messaggio rivoluzionario di un sacerdote contro l'ingiustizia sociale

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Chissà questa destra di governo e di rigurgiti autoritari quanto avrebbe odiato quel pretaccio di Barbiana. Probabilmente parecchio. Probabilmente gli avrebbe riversato addosso tutto il fango mediatico di cui sarebbe stata capace, del resto uno che fa il prete ma non predica l’obbedienza è già uno strano, se poi si mette in testa che siamo tutti uguali e abbiamo diritto alle stesse opportunità, anzi chi sta indietro di più, allora va contro l’idea di scuola del merito fondato sul privilegio di classe e quindi, insomma, è uno pericoloso.

Altro che Barbiana, a don Milani la destra di oggi avrebbe riservato un destino ben più crudele che un confino in montagna: schiacciato sui social e sui media addomesticati da quegli «scrittori salariati» che oggi si trovano a buon mercato.

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Rivoluzionario. Un aggettivo per Don Milani

Perfino la Fondazione Agnelli

Don Lorenzo Milani nasceva cento anni fa e il suo agire politico – perché di questo si è trattato – avrebbe trovato il culmine nel maggio del ’67 con la pubblicazione di Lettera a una professoressa, il manifesto sull’ingiustizia della scuola. È difficile trovare qualcuno che critichi apertamente la visione di don Milani, perfino la Fondazione Agnelli, che prospetta da sempre futuri neo liberisti e mercantili per l’istruzione, sul suo sito pubblica articoli positivi sull’esperienza della scuola di Barbiana. Il motivo è che è impopolare dire che la scuola deve fare la selezione, occorre far passare questo messaggio in modo obliquo, in maniera che sembri accettabile.

Contro la scuola dei “migliori”

Don Milani ha avuto molti discepoli, ma tra essi non la politica che della scuola ha fatto sempre la Cenerentola, (è di oggi la notizia che il governo Meloni annuncia il taglio di 79 mila posti negli asili) o peggio una trincea da conquistare. Ed ecco che torna la scuola che fa andare avanti i “migliori”, solo che questi, ieri come oggi, sono “i figli del dottore”, dei tempi di Milani, quelli che provengono da famiglie con massime risorse e per ciò stesso con ottime opportunità.
Don Milani della scuola del merito e del logo grottesco che evocava fasci littori (poi ritirato dal ministero perché certe cose sono pessime pure per loro), non avrebbe riso, perché era pure piuttosto incazzoso, ma avrebbe spiegato che il merito è un inganno, una trappola classista per separare e fare differenze. Perché le disuguaglianze nella scuola ci sono ancora, anzi sono acuite, a più livelli.

Una questione di lavagne Bosch

Alcuni anni fa, nel corso di un convegno nazionale sulle esperienze dei licei economico-sociali presso un grande istituto milanese, emerse che uno dei partner di quella scuola era la Bosch, che i ragazzi facevano tirocini nell’azienda e ogni anno le classi avevano una Lim (lavagna interattiva multimediale) nuova e il mio pensiero andò a quei docenti calabresi che invece l’ingiustizia sociale e la fatica di fare uguaglianza devono affrontarla a mani nude. La Bosch non sana la inuguaglianza sociale, ma senza quelle risorse è più difficile, perché alla fine è una questione di soldi e di opportunità. Basti pensare al salto compiuto dalla Calabria nella sola vera rivoluzione compiuta da queste parti, cioè la nascita dell’Unical, grazie alla quale si è passati in un tempo ragionevolmente breve da una generazione di semi analfabeti a una di laureati.

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Don Milani fa lezione in classe

Le parole di Don Milani

E dentro questo contesto che le parole d’ordine di Lorenzo Milani disvelano la loro potente attualità: il prendersi cura degli altri, come segno d’opposizione ai “mene frego” di ieri e riproposti oggi, la negazione dell’obbedienza come virtù e la rivendicazione del diritto a “non tacere”, che sarebbe stato più compiutamente rappresentato negli anni successivi da un altro prete eretico, Don Sardelli, l’antimilitarismo, il rifiuto di fare la differenza tra italiani e stranieri e infine l’idea mai tramontata di fare della scuola il luogo di riscatto, di emancipazione, di reale mobilità sociale, insomma il sapere come potere rivoluzionario di cambiamento personale e collettivo. Perché la scuola deve essere sovversiva e a spiegarcelo, tra gli altri, c’è stato pure un prete.

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