Non sorprende constatare che dopo gli ultimi fatti disastrosi delle Marche e della Sicilia la maggior parte delle considerazioni abbia riguardato l’abusivismo. Che c’entra, certo, ma prima, a monte, c’entra altro. Né il rosario senza fine che si sta sgranando sotto i nostri occhi da decenni – e riguarda la Calabria come ogni parte d’Italia, nessuna esclusa, con frane, alluvioni, devastazioni, lutti, risorse ingentissime spese posteventi e quasi altrettanti soldi disponibili e non utilizzati – basta ad accendere la scintilla della messa in sicurezza prima di ogni altra cosa. Che non significa inseguire un improponibile rischio zero ma nemmeno adagiarsi su una non ammissibile deregulation, ma previsione e prevenzione sì, però. Così come pianificazione e utilizzo del territorio secondo criteri basati sulle conoscenze, l’equilibrio fra i diversi comparti territoriali, urbani ed extraurbani e il controllo da parte di ha ruolo e responsabilità.
Dagli Usa all’Italia
Un tempo non lontano solo a parlare di “piano” si richiamavano echi di modernità, di razionalità, di proiezione in avanti. Di certo le misure messe in essere dalla Tennessee Valley Authority varata da Roosevelt dopo il giovedì nero del ‘29 diedero una spinta poderosa alla “progettazione” e alla gestione del territorio in accordo alla multidisciplinarietà e all’utilizzo plurimo delle risorse.
La diffusione in Italia di quanto si stava facendo Oltreoceano sul Politecnico di Elio Vittorini funzionò da spinta ai primi governi di centrosinistra in Italia con Giolitti ministro per varare una stagione virtuosa e carica di promesse in tal senso: quelle della pianificazione, della previsione, della prevenzione.
Solo che i piani si moltiplicarono in misura esponenziale, invalse una loro concezione fin troppo rigida e poco modulabile. Le risorse cominciarono a scarseggiare. Così – anche per la sovrapposizione fra essi che di fatto creò una situazione fra l’eccessivamente vincolistico da una parte, la contraddittorietà dall’altra – quella stagione tramontò, in corrispondenza, e non è secondario, con un edonismo diffuso che piano piano prendeva piede.
Interviene l’Europa. E sono guai
Nel settore acqua-suolo lo strumento principe è stato il Piano di bacino che, a partire dal 1989 quando il Parlamento approvò il Programma Decennale per la Difesa del Suolo, individua comparti territoriali, strumenti, istituti, risorse, best practices per una ottimale politica di utilizzo del territorio. Ha dato frutti estremamente significativi, se pure molto osteggiato da chi lo giudicò un mezzo per limitare e vincolare e sottrarre poteri ai tanti cacicchi locali, avvalendosi degli straordinari risultati via via ottenuti in discipline quali l’idraulica, la geologia, la geotecnica.
Le università e il Cnr costituirono magna pars di quel poderoso processo messo in moto, che nei fatti si arrestò nel 2000 con le Direttive Europee che mutarono volto e corpo al nostro apparato normativo e alle sue diverse articolazioni. Lo mutarono senza che ne conseguissero risultati positivi, fino a giungere a tutto il primo ventennio del terzo millennio con un territorio in balia di se stesso, confuso in termini di centri di competenze, responsabilità spalmate e irrintracciabili, controlli, cambiamento climatici e tutto quanto stiamo vivendo.
Basta scaricabarile
Recuperare la tensione e l’attenzione dei decenni passati, sulla scorta delle esperienze nel frattempo maturate e dei risultati conseguiti è così un imperativo etico oltre che politico per rispondere alla domanda di intervento e di responsabilità che sorge dai cittadini. Per onorare le vittime, senza ricorrere a una indecorosa caccia al colpevole. O al gioco preferito degli italiani: lo scaricabarile.
Massimo Veltri
Professore ordinario all’Unical ed ex senatore della Repubblica