Le località che si affacciano sullo Jonio calabrese hanno caratteristiche spesso identiche. Per esempio le strade e le traverse interne portano i nomi delle capitali europee e il mare a tratti scompare tra “non finiti” e palazzine a tre piani. «Ma qui costruiscono come a Milano, però siamo sul mare», sussurra tra la meraviglia e l’indignazione una giornalista della Rai al suo cameraman.
Steccato di Cutro una settimana dopo. Stracolma di gente. Accorrono dalle parrocchie vicine. Isola Capo Rizzuto, Cutro, Botricello per citarne solo alcune. È terra di confine anche questa, la provincia di Catanzaro termina per fare posto a quella di Crotone.
Un popolo in cammino
C’è un popolo in cammino dietro a una croce a Cutro. È una croce costruita sui resti del barcone. Li ha raccolti il parroco di Steccato di Cutro e affidati alle mani sapienti di un artigiano e artista locale, Maurizio Giglio. C’è silenzio. Un silenzio a tratti surreale, un ritorno in quei luoghi tragici come se fosse doveroso esserci per non dimenticare. Un atto che non è solo pietà e preghiera ma è indignazione per quello che è accaduto. La meditazione all’ultima stazione della Via Crucis esterna questo sentimento chiaramente e senza mezzi termini: «Mentre i governi discutono, chiusi nei palazzi del potere, il Sahara, le foreste balcaniche e i mari si riempiono di scheletri di persone che non hanno resistito alla fatica, alla fame, alla sete. Quanto dolore costano i nuovi esodi!».
Non è l’unico monito lanciato, se ne rintracciano diversi nelle meditazioni lungo il percorso. Egoismo, indifferenza, maltrattamenti, sfruttamento le parole che più si rincorrono. Un campionario di brutalità e barbarie del nostro tempo. Sono atteggiamenti appesi a quella croce. Come a non voler dimenticare, come a voler fissare quanto accaduto. Ci sono i vescovi di Cosenza e Lamezia oltre a quello di Crotone. Con loro l’Imam della zona. C’è la preghiera finale sulla spiaggia di Steccato di Cutro. Una spiaggia affollata che si appresta ad accogliere una notte di luna piena. A largo le vedette dei Vigili del Fuoco e della Guardia Costiera continuano le ricerche. Zainetti, un paio di scarpe da tennis, una bottiglia d’acqua. Restano lì a memoria, ultimi resti della vita che si respirava su quel barcone.
La croce di Cutro
Sembra l’Africa questo pezzo di costa. Piccole dune raggiungono il mare. Più in là si intravede Isola Capo Rizzuto. La morfologia non lascia spazio all’interpretazione. Il Mediterraneo non può dividere quelle terre che prima erano unite, incastrate come un puzzle. Ci sono i pescatori di uomini, i primi ad aver prestato soccorso mischiati alla folla. Uno porta una piccola croce fatta con due canne incrociate. La gente lo ferma, i giornalisti pure. È generoso nel racconto, non è vanto il suo, non c’è protagonismo.
La spiaggia accoglie tutte e tutti in un silenzio, con lo sguardo verso l’orizzonte, alle terre altre, al di là del mare. Quelle terre sognate da generazioni di pescatori di Steccato. Lì ci fermiamo, attoniti a pensare e riflettere. Al centro una croce, simbolo oggi di credenti e non credenti. Ripartire dalla vergogna inchiodata a quei resti può sicuramente aiutarci. Ripartiamo da qui.
Andrea Bevacqua
Docente e attivista