«Addeso siete fantasmini». Così c’è scritto in uno dei molti bigliettini che, insieme a mazzi di fiori, lumini, poster adornano il piazzale antistante il PalaMilone a Crotone.
A scriverlo è stata Antonia e credo si tratti di una bimba molto piccola. Ha scritto quella frase, per me la più potente, rivolgendosi idealmente ai piccoli e alle piccole che sulla spiaggia di Steccato di Cutro hanno trovato la morte.
Antonia ha ragione, molta più ragione di quanta ne abbiamo spesso noi adulti: quei bimbi e quelle bimbe sono ora fantasmini e i fantasmini non fanno paura. Aleggiano allegramente coi loro lenzuolini al più facendo qualche piccolo dispetto. Una delle verità che probabilmente un giorno dovremo raccontare ad Antonia è che i migranti, siano essi madri, padri, sorelle, fratelli, figli e figli, fantasmi lo sono anche prima di morire ché anzi da vivi fanno ancora più paura.
Fantasmi in fuga dalla paura
Eppure i e le migranti (come quelli morti a Cutro) proprio dalla paura scappano: dalla paura di morire, di essere perseguitati, vessati, costretti a vivere in condizioni inumane, degradanti e crudeli. Cercano rifugio dalla paura perché nella paura non si può vivere. E l’Europa ha paura di loro, l’Italia ha paura di loro anche se non sono tanti, anche se non incidono sui nostri livelli di benessere, anche se non ci rubano il lavoro. Ed è così che l’Europa sta dimenticando o ha già dimenticato quella promessa/premessa che ci eravamo fatti nel secondo dopoguerra: dare rifugio a chi fugge dalle persecuzioni e non respingere nessuno verso quei luoghi in cui la vita può essere messa in pericolo.
Potrei elencarvi tutte le convenzioni internazionali, i regolamenti e le direttive comunitarie e anche gli articoli della Costituzione repubblicana che parlano di rifugio, di asilo, di protezione sussidiaria. Sono una costituzionalista e studio ormai da venti anni il diritto dei migranti. Di tutto questo apparato normativo e dei princìpi che lo ispirano chi detiene il potere politico ormai si disinteressa e anzi si fa bellamente e disumanamente sfoggio dell’ignoranza.
Eppure…
Ma c’è un eppure e ad Antonia io un giorno spero di poterlo raccontare. A Crotone, negli abbracci delle/dei mie/i assistenti sociali, nelle lacrime e nella rabbia di operatori e operatrici del sociale, nella compostezza dolorosa della gente che quei corpi hanno voluto omaggiare, ho risentito il Tito di Fabrizio De André: «nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l’amore».
Donatella Loprieno
Docente Dispes, Università della Calabria