Piano telematico, lo spartiacque su cui si è infranto il sogno del Cud

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Nel gran discutere di Dad in conseguenza del virus, ha fatto bene Giacomantonio, su queste colonne, a riaprire il dossier Cud, Consorzio Università a Distanza, iniziativa degli anni Ottanta del secolo scorso varata in Calabria ad opera di Sergio De Julio.
Un Consorzio fra vari soggetti, nazionali e internazionali, a carattere culturale e imprenditoriale, che si calava – così sembrava, così era progettato – nella realtà di quegli anni, carichi di tensione verso l’innovazione, la formazione, la modernità condivisa, in un contesto qual è quello calabrese bisognoso di interventi radicali.

Il Cud e gli orticelli

Ci fu fin da subito chi non fece salti di gioia nell’apprendere del progetto, così come fece storcere il muso la precedente nascita del Cisam, Centro interdipertimentale studi aree montane, anche questo grazie a Sergio De Julio.
Che cos’è che disturbava in questi consorzi e centri interdipartimentali, se non l’idea stessa del consorzio e dell’inter fra i dipartimenti, l’azione fra più attori, cioè, il coordinamento tra più istanze, il superamento dell’atomismo e dell’orticello da recintare e difendere. Una prassi, cioè, consolidata e che proprio nell’università, che era nata anche per scardinare questo retaggio, vedeva il centro propulsore perché ciò si inverasse.

Solo che, per porsi su un altro versante, certe azioni abbisognano di tempi e di modi altrimenti si ricade nel cosiddetto “teorema Andreatta” secondo cui la shocking wave di importare sulle colline di Arcavacata cervelli culturalmente “eversivi” (non solo culturalmente e anche senza virgolette) poteva essere l’arma giusta per svegliare i calabresi. E invece la melassa calabrese assorbì e in buona misura depotenziò il teorema, così come il passo in avanti del Cud fu visto come troppo divaricante, indipendente e libero da padrinaggi politici di vario genere e colore.

Erano quelli, in aggiunta, tempi in cui per davvero si poteva prescindere dal rapporto diretto, in presenza, fra docente e discente, si poteva d’emblée, superare il gap della riottosità e della scarsa empatia calabrese ponendo giovani e meno giovani davanti un computer, oppure aveva ragione Negroponte individuando proprio nelle caratteristiche geografiche e orografiche, di collegamento, quelle che Placanica individua come ostacoli strutturali nella comunicazione e nella stessa indole calabrese, i migliori e più potenti atout per fare uscire i calabresi dall’isolamento?

Padri padroni e padrini

Fatto sta che fu gioco facile da parte di chi voleva continuare ad esercitare il suo ruolo di padre padrone incontrastato liquidare baracca e burattini avvalendosi di fatto di uno strumento forte qual era il nascente Piano Telematico, un “contenitore” ampio e ricco che ebbe nei padrinaggi politici un partner attento quanto dominante.
E il depotenziamento del Cud risultò, ahimè, vincente grazie a un argomento sottile e insidioso che fu palesemente esposto: quello che addebitava al Cud stesso l’incapacità di attrarre e di vivere di investimenti e commesse che non fossero solo quelle statali o comunque pubblici: un’accusa, come si vede, di assistenzialismo, quell’assistenzialismo che il Cud era nato per combattere.
Ciò che avvenne all’interno delle politiche del Piano telematico, delle sue azioni, costituisce una sorta di banco di prova per le classi dirigenti calabresi, non solo politiche, un vero e proprio spartiacque fra il prima e il dopo: lì, sarebbe quanto mai opportuno accendere i riflettori.

Massimo Veltri
Professore ordinario all’Unical ed ex senatore della Repubblica

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