È noto che alcuni giorni or sono circa 40 cittadini hanno deciso di “fare una passeggiata”, non un assalto con la baionetta, nei luoghi più degradati del Centro storico di Cosenza. Volevano sensibilizzare l’opinione pubblica e i decisori politici, ad oggi produttori seriali di chiacchiere e promesse futuribili, sulla morte annunciata del cuore della città.
In un Paese civile questi cittadini sarebbero apprezzati e ringraziati proprio perché a differenza dei suddetti decisori “ci mettono la faccia” – e, nel caso specifico, le gambe – per cercare di svegliare la coscienza sopita dei cosentini. Essi hanno messo in pratica un’esperienza di cittadinanza attiva che si impegna per il bene comune. Che non finge di non vedere e di non sapere come molti fanno. Che non ricorre alla violenza, ma alla forza del buon esempio.
A Cosenza invece, almeno in questo caso – magari lo si facesse sempre con pari tempestività, senza omissioni e ottundimento dei sensi, vista e intelligenza compresi – si applica con “lodevole” rigore la Legge. Si applica infatti l’articolo 110 del Codice penale che stabilisce che «quando più persone concorrono nel medesimo reato ciascuno di essi soggiace alla pena per questo stabilita». Sempre per restare nel diritto il minimo indispensabile, aggiungo che questa norma «è vuota di contenuto e di tutela: essa non contiene al suo interno né un precetto né una sanzione e ai fini della sua applicabilità è necessario che essa venga affiancata a un’altra norma». Nel nostro caso il Regio decreto n.773 del 1931 (anno VII dell’era fascista!).
Il contesto storico, sociale e culturale
Ora liberiamoci dalle pastoie del diritto che spesso è pseudo diritto, salvo la rimembranza di una definizione che cito a memoria dal testo universitario di Filosofia del diritto: «La violenza dello Stato si chiama diritto, quella del singolo si chiama delitto». Se qualcuno nella sua furia giustizialista pensa di vedere il fumus dell’istigazione a delinquere può prendersela con il suo autore vissuto nell’800. Chiusa la parentesi tecnica, passiamo a considerazioni più politiche, in senso lato.
I meno giovani ricorderanno il dibattito vivacissimo tra gli operatori di giustizia, magistrati in prima linea, negli anni ’80 tra chi sosteneva la tesi che il diritto si “applica” e quelli che invece dicevano che la norma “si interpreta”. Nella pratica, credo correttamente almeno in astratto, la legge va applicata avendo riguardo al contesto storico, sociale e culturale.
Che questa necessaria libertà di interpretazione possa condurre poi a risultati aberranti è un altro discorso. L’elenco di sentenze incomprensibili l’abbiamo implementato di recente nel processo a Locri contro il “sovversivo” Mimmo Lucano. Se poi andiamo più indietro, anche nel mitico tempo di “Mani pulite” si è sbizzarrita la fantasia interpretativa delle norme.
Un diritto costituzionale
L’ammenda ridicolmente alta comminata ai tre presunti leader dei 40 che esercitavano il loro diritto di cittadini liberi – diritto di rango costituzionale – è un precedente pericoloso, favorito anche dalla genericità dell’ art. 110 cp di cui si è occupata la Suprema Corte. Si criminalizza, al netto della violenza, la sola manifestazione di più persone non solo di denuncia e protesta – peraltro sacrosante – ma anche di sensibilizzazione nei confronti di cittadini e decisori parimenti inerti a parte l’esercizio retorico senza senso.
Per uscire dal seminato, solo in apparenza, se 40 o 30 o 50 persone si radunassero per gridare, come sarebbe sacrosanto fare,“Guarascio vattene” dovrebbero pure loro essere sanzionate a rigor di logica.
“Il delitto”, così si chiama, sussiste non per lo specifico contenuto della protesta, ma per il concorso di più persone che si presume si siano accordate anche con il semplice passa parola senza chiedere il permesso alle autorità di pubblica sicurezza. Prassi normale e legittima in molti casi ma non in tutti, stante la diversità delle motivazioni e del valore etico della protesta PACIFICA.
Nella veste di Direttore de I Calabresi ho chiesto di conferire con il Questore senza ottenere al momento riscontro. Lo farò se utile anche con il Prefetto. Da ultimo, valuteremo se sia utile un esposto alla Procura della Repubblica.
I Calabresi cerca di informare e aiutare la riflessione dei suoi lettori.
Non finge di non vedere la realtà e le sue incomprensibili dissonanze.