Cosenza è stata indicata come l’Atene delle Calabrie per via dell’Accademia ma essa in realtà era una sorta di confraternita in cui i potentati della città, di tanto in tanto, si riunivano per dare sfoggio d’erudizione. Uno storico del passato scriveva che i soci dell’Accademia Cosentina, per lungo tempo si dedicarono al poetare scompigliato, recitando nelle rare sessioni «rancide poesie» e qualche verso «Dio sa come raffazzonato».
I tronfi ciarlatani dell’Accademia Cosentina
Nel 1750, Spiriti precisava che il fine dell’Accademia non era quello di rischiarare aspetti sconosciuti del mondo greco o romano, approfondire controversie di storia sacra o profana, speculare sulle scienze fisiche, matematiche o filosofiche. Gli accademici, infatti, recitavano i loro componimenti poetici accompagnati «dal suono di dabbudà o colascione, insipidi poetastri accozzavano sillabe affacenti alle loro orecchie». Credendo di aver già meritato, così, l’ambito titolo di poeta andavano in giro per la città tronfi e pettoruti: tali ciarlatani ambiziosi e senza alcun merito pensavano di coprire la loro ignoranza con lo specioso titolo di accademico!
Versi per la nobildnona d’Althann
Un volume del 1724, edito a cura dell’Accademia Cosentina, ci offre un quadro del clima politico e culturale che si respirava al suo interno. Nella pubblicazione sono raccolti diversi componimenti recitati durante una pubblica adunanza in memoria della contessa Anna Maria d’Althann. Lionardo Jacuccio scriveva che gli accademici cosentini avevano l’antica e nobile costumanza di celebrare con «funebri pompe di prose e di rime» la memoria delle persone «grandi e valorose» e, considerato che nelle principali città del regno si faceva risuonare «fra tanto strepito» la fama della contessa, essi non potevano certo «starsene oziosi tacendo».
Egli, quindi, invitava i virtuosi accademici a piangerla e lodarla in rime poetiche da dare alle stampe e divulgare. Ben quarantadue accademici, che non conoscevano la nobildonna, risposero all’appello componendo odi, egogle ed epigrammi in cui si esaltano le doti eccezionali della defunta.
Telesio fu isolato dai cosentini
Gli intellettuali della provincia di Cosenza che coraggiosamente si sono battuti per affermare le loro verità hanno pagato un caro prezzo. Tra il Cinquecento e il Seicento, nella provincia cosentina molti pensatori e scienziati sono stati emarginati, esiliati, perseguitati e considerati traditori. Bernardino Telesio, uno dei primi filosofi europei ad abbandonare ogni considerazione metafisica della natura e a sostenere che la conoscenza deve basarsi sullo studio dei principi naturali, trascorse gli ultimi anni della vita isolato dai concittadini e, scomunicato per le speculazioni filosofiche, le sue messe all’Indice.
Giovan Battista Amico, autore di un trattato scientifico in cui discute e sviluppa la teoria delle sfere omocentriche così com’era accolta nella filosofia aristotelica, unanimemente giudicato uno scienziato pieno d’ingegno, fu aggredito e ucciso a Padova, probabilmente da sicari al servizio di qualcuno interessato ad un suo manoscritto mai ritrovato.
Il trattamento riservato a Campanella
Il celebre Campanella che soggiornò in città, autore di scritti in cui sosteneva che la natura va conosciuta nei suoi principi e che tutti gli esseri sono dotati di sensibilità e di conoscenza, fu perseguitato dal Tribunale dell’Inquisizione. Accusato di avere organizzato una congiura che mirava alla liberazione della Calabria dal dominio spagnolo, subì terribili torture, fu condannato a morte e riuscì a salvarsi solo fingendosi pazzo, rimanendo in galera per ventisette anni.
Il religioso perseguitato
Paolo Antonio Foscarini, vicario provinciale dell’Ordine dei Carmelitani, fu perseguitato per aver pubblicato scritti in cui sosteneva che le scienze e le arti portano ad una migliore conoscenza di Dio e che le teorie di Copernico non contraddicevano le Sacre Scritture. Fu accusato di avere esposto i testi sacri diversamente da come erano stati interpretati dai padri e le sue opere messe all’Indice.
L’economista politico
Antonio Serra, autore di un geniale trattato di economia politica in cui analizza le cause della scarsità di risorse monetarie nel Regno di Napoli e indica i modi per invertire il povero sistema produttivo, si trovava nelle carceri napoletane della Vicaria, secondo alcuni per un reato di falsa moneta, secondo altri perché aveva partecipato ad un tentativo insurrezionale.
Il chirurgo Severino
Marco Aurelio Severino, ritenuto uno dei fondatori della moderna chirurgia, famoso in tutta Europa per le lezioni e gli interventi chirurgici, fu processato dal Tribunale dell’Inquisizione, imprigionato e spogliato di tutte le cariche. Morì durante la peste del 1656 mentre assisteva gli ammalati e fu seppellito in una tomba senza nome nella chiesa di San Biagio de’ Librari.
Il filosofo e lo scacchista
Tommaso Cornelio, filosofo e medico di gran valore, considerato uno dei protagonisti della rivoluzione scientifica italiana del Seicento, vagò per l’Italia e subì dure persecuzioni da parte del Tribunale dell’Inquisizione. Gioacchino Greco, conosciuto anche come il Calabrese, scacchista famoso in tutte le corti europee e autore di un codice sul gioco pubblicato in diverse lingue, nel 1634 si recò nelle Indie Occidentali dalle quali non fece mai ritorno.
L’elenco degli studiosi cosentini perseguitati o costretti ad abbandonare la loro terra è lungo.
Il fondamento mitico della città
L’atteggiamento dei cosentini dopo secoli non è cambiato. La rielaborazione storica di Alarico, Federico II e Carlo V degli studiosi locali, fa parte di quel processo che Hobsbawn e Ranger hanno definito «invenzione della tradizione»: manipolare e appropriarsi di personaggi e avvenimenti che diano lustro a una comunità. A questa esigenza rispondono le manifestazioni volte a celebrare i protagonisti di avvenimenti famosi. Riprodurre e ricostruire il passato con mezzi e linguaggi immediatamente fruibili, ricreare situazioni emotive in cui ognuno si riconosce spontaneamente all’interno della comunità. L’obiettivo è quello di dare fondamento mitico alla storia della propria città, processo ideologico in cui storia e mito si confondono.
Le verità manipolate
Gli eventi celebrativi dedicati a re e imperatori contengono verità deliberatamente manipolate, come scrive Debord, il falso forma il gusto e si rifà il vero per farlo assomigliare al falso. Molti studiosi e amministratori, convinti che i cittadini non hanno alcuna competenza, sono portati a falsificare la storia o a fornire racconti inverosimili. Alarico, ad esempio, il cui nome incuteva nelle popolazioni italiche un fremito di terrore, viene familiarizzato al punto da diventare una icona cittadina. Egli non è più l’odiato e temuto barbaro ma un antenato-eroe da celebrare, un re dalla folta chioma e dagli occhi azzurri, amante della tolleranza e della pace!
L’invenzione della storia
Le manifestazioni dedicate a personaggi storici fanno parte di una industria del consenso che, come scrivevano Horkheimer e Adorno, liquida la funzione critica della cultura e favorisce l’inerzia intellettuale, una fabbrica di feticizzazione del sapere che a volte appare originale ma che, in realtà, elegge lo stereotipo a norma.
L’obiettivo di questa strategia culturale caratterizzata da effimere iniziative, è offrire una fruizione dell’evento senza alcuno sforzo da parte del consumatore, distrarre momentaneamente gli individui proponendo semplificazioni e illusioni, mettere in scena sogni collettivi e forme archetipe dell’immaginario su cui gli uomini ordinano da sempre i propri sogni. L’invenzione della storia per celebrare il primato culturale della città, tuttavia, spesso si rivela inconsistente.
Alarico superstar
Le celebrazioni dedicate a grandi personalità come Alarico in cui prevale l’aspetto ludico e di consumo sono prive di valore sentimentale. I cittadini vi partecipano come a una grande fiera, non sono attratti dai contenuti che il più delle volte appaiono loro incomprensibili. Gli organizzatori, volendo appagare i gusti e gli interessi di tutti, alla fine riescono a soddisfare solo quelli di pochi; pur se animati da nobili intenti, non riescono a rendere tali iniziative «tradizione».
Una memoria ricostruita o inventata, per conquistare legittimità e consenso sociale, ha bisogno di contenuti condivisi; per essere vitale occorre che i suoi sistemi rappresentativi convergano con l’universo culturale dei gruppi coinvolti. Feste, cerimonie e ritualità, sebbene a volte caratterizzate da grande successo di pubblico, per affermarsi devono attivare un meccanismo spontaneo di identificazione da consentire alla collettività di riconoscersi in una storia comune.