Pochi e ostinati a difesa del “bene comune”

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Ho ricevuto e letto  ieri con ammirazione  il testo – lo definirei “racconto breve” – da Gilda Decaro, una persona che ho incontrato sempre in prima linea a difesa di quel tesoro che è la Civica, patrimonio di cultura, di memorie, di arte, di storia nobile.

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Gilda De Caro, presidente di Civicamica

Cosenza, “bene comune” da difendere

Come lei ci sono altri e soprattutto altre che si spendono per quel “misterioso”,  perché ignoto ai più, “bene comune”. Si tratta di una contraddizione, un non senso, non certo solo a Cosenza e in tempi in cui uno sfacciato individualismo è stato prima promosso attraverso i canali televisivi privati  e poi assunto come valore dalla politica costruita intorno a leader e leaderini di cartapesta, talora imbrattati di cerone, veri Promoter  dei diritti dell’io.

I diversi “noi” che animano Cosenza

Il “noi” trova spazio quasi solo quando ci riferisce al gruppo di amici di bisboccia, alle condivisioni del tifo per la propria squadra di calcio, meno ai compagni di scuola espulsi dalla loro piccola ma essenziale comunità, la classe, da quel maleficio chiamato Covid.

Certo ci sono molti che dicono con orgoglio e consapevolezza “noi”, perché le imprese difficili e soprattutto utili a  tutti, come la battaglia per la Civica, per il sipario del Rendano, per curare il valore identitario dei nostri luoghi e tante altre, non tollerano il protagonismo solitario. La comunità è costruita da una miriade di noi, nella politica, nell’amministrazione, nella offerta culturale in tutte le sue declinazioni, nella riscoperta che stare e fare insieme è parte della nostra vocazione naturale.

La socialità fra i tavolini dei bar, ma non basta

Gilda De Caro, come molti altri, è sospesa tra severità per una decadenza di Cosenza – che non ci piace perché l’amiamo –  e una generosa comprensione delle sue crepe fisiche – a partire dal centro storico ovviamente ma non solo – e dei segni di un progressivo spegnimento di vitalità e ambizione per la rinascita, del senso della socialità che si vive, quasi obbligatoriamente, intorno ai tavolini dei bar e alle tavolate delle pizzerie.

Non è da censurare questo fenomeno sia perché è tipico dei luoghi come i nostri dove ci si affida, con la ristorazione, ad  “un’economia di sopravvivenza” in assenza di altro e poi perché, come ricorda Gilda De Caro, quali sarebbero le alternative? Cosenza è piena di edifici pubblici e anche prestigiosi chiusi o sottoutilizzati e di migliaia di abitazioni vuote perché –  come si dice –  “non c’è mercato”.

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Il centro storico di Cosenza

Trovare nel passato la bellezza assente oggi

C’è uno squilibrio irrisolvibile: si cementifica senza pietà, si mettono i lucchetti senza vergogna. Si pensi all’osservatorio astronomico. E poi la triste chiusura  – dopo 22 anni – della Officina delle Arti, luogo di cultura affidato all’amore e alla passione testarda di Edoardo Tarsia. L’elenco continua con la chiusura – sabato e domenica – dei musei anche importanti, ennesimo non sense che lascia perplessi i pochi turisti o i cocciuti fruitori dell’arte. Se non vediamo dinanzi a noi un futuro possibile e migliore – come suggerisce la De Caro – rivolgiamoci al passato perché lì è il bello, lì è la nostra nobiltà, lì è la riserva di energie per costruire un futuro possibile e degno  per Cosenza.

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