Le “bimbe di Conte” sono sparite. Non se ne ha traccia percorrendo lo Stivale da nord a sud, compresa quella Calabria che aveva accolto il professore con entusiasmo sincero, gridolini e palpitazioni accelerate, saltelli gioiosi e sventolare di fazzoletti, lasciando il privilegio della pochette al solo capo.
Dopo aver visto tanto clima festaiolo a Cosenza nel cuore dell’isola pedonale – la solo sobria sul palco mi sembrò essere la candidata a sindaca Bianca Rende – mi venne l’idea di scriverne, con la sola modalità possibile: l’ironia, che ti permette una sorta di ambiguità sospesa tra la depressione e il divertimento.

Da Berlinguer, Moro e Almirante a Conte
La mia generazione amava la politica, vi partecipava, non mancava di andare ai comizi per ascoltare i leader della propria parte. Si applaudiva quando le parole dell’oratore lo meritavano, si scandiva il nome del leader con cori da stadio, si fischiava senza cattiveria quando veniva citato il nome di qualche avversario. Tutto si concludeva con la musica degli inni della propria parte: Bandiera rossa, Inno dei lavoratori, Roma che sorgi ecc.
Immaginarsi che Berlinguer, Moro o Almirante assistessero compiaciuti al concerto di gridolini e saltarelli era pura follia.

L’antipolitica tra parole e fatti
Conte ha avuto, solo lui, un merito: ha incrementato la partecipazione e il culto devoto di molte signore e signorine. Discutibile nei modi, ma sempre meglio che la frase ricorrente dalle nostre parti «io non mi occupo di politica», in gergo dialettale «iu unnni saccio nente ‘i ‘sta polititica». Questa ostentata ignoranza della politica forse nasce da una innata ritrosia della gente a dire cosa ne pensa. Non della politica in particolare, ma di tutto ciò che consenta di farti identificare come portatore di un’idea, di un fragile convincimento, di un etereo desiderio.
Il risultato è visibile a tutti: il pensiero ricorrente (anche se inespresso con suoni labiali) è che «la politica fa schifo», i politici sono tutti ladri. Che ci vorrebbe una pulizzata generale. La pratica ricorrente è che nel chiuso della cabina elettorale – dove nessuno ti vede e ti sente – questi “spregiatori seriali” della politica votano sempre le stesse facce.
E se per il naturale ciclo della vita e della morte qualche personaggio al quale ci si è fidelizzati scompare dalla scena, vanno subito a cercare il rimpiazzo, stesso cognome del de cuius, una evidente somiglianza del vivo con il morto, sino a scoprire che si tratta di padre e figlio o figlia o nipote e pronipote. Messa la croce sulla scheda può ricominciare la litania sulla politica che fa schifo…
Il culto di Conte
Ma siamo partiti dalle bimbe cosentine dell’uomo con la pochette. Ne scrissi su I Calabresi e mi investì una valanga di insulti. Rischi del mestiere. Resta il fatto che, tralasciandone gli aspetti più folcloristici, l’innamoramento politico e antropologico per Giuseppi è stato fino a poche settimane fa vero e persistente.
A parte i sondaggi che ancora lo premiano (o lo premiavano) forse perché avendo guidato due governi con tutti i colori dell’arcobaleno finisce con l’accontentare tutti, a parte l’amore allucinato di Travaglio che la Gruber ci fa sorbire una sera sì e una no, non si può negare che il prof. foggiano abbia avuto un credito politico istantaneo che manco De Gasperi e Mancini.

Da ultimo, Conte, recatosi a portare un saluto al congresso di LEU – quel minipartito con la faccia dolente del ministro della Salute – ha ricevuto l’accoglienza dei congressisti in piedi (i giornali non hanno specificato se saltellanti con gridolini) per tributargli un’ovazione di applausi.
Si capisce e si perdona tutto in Italia – trasformismo, servilismo, idiozia pura – ma cavolo, LEU non dovrebbe essere una costoletta della cosiddetta sinistra, per intendersi quella rappresentata da un PD ircocervo con la testa della DC e il corpo degli ex post comunisti?
Da campo largo a camposanto
Rimarrà nella storia politica italiana la genialata del buon Zingaretti, che in preda a daltonismo ha subito eletto Conte, capo del Governo più a destra della Repubblica, come il leader dello schieramento progressista. E, siccome forse non legge i giornali e gli è sfuggito che il Movimento 5 Stelle era da tempo in liquefazione, ha pure inventato l’immagine del “campo largo”. Facile per il il giornalista Geremicca de La Stampa ribattezzarlo Camposanto. Amen!
