Cosenza ciellina: un amarcord da ciclostile

Le sedi, l'appartenenza e i simboli. La galassia di Comunione e liberazione negli anni dell'impegno politico e culturale nella città dei bruzi

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Via Padre Giglio numero 27, via Rivocati numero 94, piazza Archi di Ciaccio numero 21, via Monte San Michele numero 6, corso Telesio numero 17, sono gli indirizzi di alcune delle sedi del movimento di Comunione e Liberazione a Cosenza, negli anni che vanno dal 1976 al 1989, quando ne facevo parte.

Giovani e impegnati

Ognuno di questi indirizzi è legato a momenti diversi di vita del nostro gruppo di amici, perché eravamo anche amici, dato che passavamo insieme molto tempo, tra gli incontri, i volantinaggi, le manifestazioni pubbliche, la vendita militante della nostra stampa. Per fortuna eravamo amici, quindi abbiamo vissuto con una certa leggerezza o forse incoscienza, la decisione di proporci in città e nella neonata Università della Calabria, ancora in costruzione, come la risposta ai dubbi esistenziali, sociali e politici non solo nostri, ma dell’intera umanità.

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Il Polifunzionale dell’Unical

Comunione e liberazione: ciclostili mistici

Oggi guardo con indulgenza a quel gruppo di ragazzini che eravamo, in mezzo ad altri gruppi, animati dalle stesse certezze granitiche, ma con riferimenti diversissimi e opposti. Queste convinzioni, queste letture della realtà del nostro tempo venivano messe a punto negli incontri, che avvenivano nelle sedi ricordate prima e in altre ancora.
Come tutte le sedi dei gruppi e dei movimenti politici, l’arredo era piuttosto precario e approssimativo: sedie spaiate, un tavolo, qualche scaffale per la carta e l’inchiostro, necessari per l’indispensabile ciclostile, il top della tecnologia comunicativa degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Preparare un volantino e vederlo uscire, una copia alla volta, dal rullo del ciclostile, era un’operazione solenne, mistica, iniziatica. Solo pochi eletti avevano il permesso e la capacità di manovrare il prezioso apparato, da cui dipendeva il nostro apostolato, la nostra presenza.

Il Pantheon ciellino a Cosenza

Sui volantini e pure sui manifesti confezionati artigianalmente, con un pennarello, bisognava ricordarsi di scrivere “manoscritto in proprio”, in fondo, altrimenti si violava non so quale norma del Codice civile. Ne conservo pochi, di questi sbiaditi foglietti, forse se facessi visita all’Ufficio politico della Questura potrei recuperare gli altri, ammesso che in Questura abbiano un archivio ordinato. L’Ufficio politico raccoglieva amorevolmente tutte le stampe, di tutti i gruppi, anche i più sfigati, quelli a cui nessuno dava credito. Per poi studiarli, analizzarli e classificarli, secondo il livello della nostra e altrui pericolosità per l’ordine costituito. Mi piacerebbe anche sfogliare la graduatoria dei gruppi acquisita agli atti.
L’arredo era simile anche nelle sedi degli altri gruppi, di sinistra o di destra.

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Monsignor Oscar Romero

Cambiavano i poster alle pareti, i ritratti dei santi protettori, Marx, Che Guevara, Evola. I gruppi cattolici tradizionali, ospitati negli oratori parrocchiali, accanto ai simboli religiosi, appendevano un ritratto di monsignor Camara, oppure di monsignor Romero, o di madre Teresa o di Escrivà de Balaguer, secondo le simpatie e gli orientamenti.
Noi ciellini, notoriamente movimentisti, avevamo le sedi, perché le sale parrocchiali erano riservate all’Azione cattolica. Sto elencando questi particolari perché essendo nato nel 1961 temo che le persone un po’ più giovani di me facciano fatica a immaginare cosa fosse la realtà dei gruppi di quei fatidici decenni.

Per questo, per colmare la distanza, insieme all’editore Demetrio Guzzardi, che era uno degli spericolati ragazzi di cui sopra, abbiamo predisposto tante schede, come quella che riporta gli indirizzi sopracitati. Le schede fanno parte di un mio libro di 152 pagine, e ci sono quelle dedicate ai libri, alle riviste, a case editrici, luoghi e iniziative (Ciellini ad Arcavacata (1976-1989), Cosenza, editoriale progetto 2000, 2023).
Lo abbiamo fatto soprattutto per noi, per riflettere, dopo quarant’anni, sulla nostra storia, su momenti decisivi per la nostra formazione e la vita successiva, che abbiamo deciso di spendere in Calabria, anche dopo il distacco da Comunione e Liberazione, per una serie di situazioni che sarebbe lungo spiegare. Se non lo si fa dopo quarant’anni, il punto sulla vicenda, poi bisogna affidarsi ai posteri, vallo a sapere se i posteri ne avranno voglia.

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Demetrio Guzzardi

Formidabili quegli anni a Comunione e liberazione

In quegli anni, in quelle brutte sedi, abbiamo conosciuto gli amici della vita, e pure, in qualche caso fortunato, le compagne della vita. Anche solo per questo ci è sembrato che ne valesse la pena, di affrontare l’impresa, scavando nella memoria e nelle vecchie carte.
Alcune persone non ci sono più, di altre si sono perse le tracce. Con qualcuno ancora capita di incontrarsi e parlare. Non so se è lo stato d’animo dei commilitoni, dei reduci, quello che si prova, quando ci si incontra tra persone legate da una profonda esperienza di militanza e di appartenenza. Esiste ancora oggi un sentimento di questo tipo? Come spiegarlo a chi non l’ha vissuto? Proprio ora che le appartenenze sembrano così vaghe, fluide, affidate ai gruppi sui social. Non usavamo tessere, a differenza di altri movimenti, ma l’appartenenza ci sembrava scolpita nella roccia.
Facendo questo libro, dalle bozze alla stampa, mi sono chiesto quali luoghi, quale sentimento di appartenenza avranno nella memoria i ragazzi, quelli che oggi hanno venti o anche trent’anni.

Quando non c’erano i social

I luoghi fisici forse non sono insostituibili, noi ne abbiamo cambiato tanti, ma negli appartamenti ci ritrovavamo a parlare, a confrontarci. Poi continuavamo a parlare pure dopo gli incontri e i volantinaggi, tornando a casa, spesso a piedi. A volte a passaggi o a piedi siamo andati a Bivio Morelli, un sobborgo fuori dai confini comunali che ai tempi era poco urbanizzato e con ampie zone verdi. Lì facevamo una sorta di volontariato, soprattutto con i ragazzini del posto, che secondo noi erano un po’ isolati. Non eravamo gli unici in città a organizzare attività simili. Lo facevano anche altri gruppi, non solo tra i cattolici.
Tutte queste iniziative, incontri, manifestazioni, vendite militanti, presupponevano che le persone si vedessero e avessero tempo e voglia di parlare, di ascoltare almeno, anche per pochi minuti. Oggi le opportunità di comunicare sono infinite e meravigliose, rispetto al nostro glorioso ciclostile. Il problema è convincere l’interlocutore a spostare lo sguardo dal cellulare, togliere le cuffie dalle orecchie, e magari scendere dal monopattino elettrico o da altri aggeggi, che non ho nessuna intenzione di provare a utilizzare.
Oggi i movimenti e i gruppi sono un’altra cosa, mi pare. Tanti, specie quelli politici giovanili, non esistono più, almeno nelle arcaiche forme della militanza e dell’appartenenza a me note. Altri navigano in rete, pare che perfino nelle parrocchie siano in funzione gruppi social, per gli avvisi, per far circolare dei testi, per comunicare gli orari del catechismo. Fede in rete: Hai incontrato Gesù? Sì, No, Non lo so. (Barrare una sola casella).

Le ragazze e i ragazzi di pomeriggio si muovono come formiche operose, secondo gli interessi e l’estro del momento, tra palestre, scuole di calcio, corsi di danza, di musica e di inglese. I bambini vengono trasbordati da una ludoteca all’altra, hanno in agenda tante di quelle feste che fanno concorrenza ai Vip più invidiati. Quale messia potrebbe riuscire a dirottarli verso un cortile, verso un oratorio, verso un centro sociale per un dibattito politico (brividi di orrore al pensiero)? Se anche un volenteroso evangelizzatore si esibisse in una serie spettacolare di miracoli, magari in piazza Bilotti, credo che, al massimo, gli chiederebbero quale ultima versione sta utilizzando. Per la Play Station miracolosa. Questo effetto speciale del miracolo, che applicazione è?

Scuole d’inglese al posto delle sedi di CL

Credo che alcune ex sedi ospitino, attualmente, scuole di alta formazione per la lingua inglese. Ce ne sono così tante in città che, andando a spasso, ci si dovrebbe sentire come a Piccadilly Circus. Invece, per fortuna, mi sento rassicurato quando mi ritrovo nella solita atmosfera mediorientale delle strade della mia giovinezza. Tutti col naso sul cellulare, ci mancherebbe, ma nel consueto pittoresco chiacchierare ad alta voce dei fatti propri e altrui. Privacy in salsa calabra.
Davanti ai bar ci sono i tradizionali gruppi maschili che presidiano il territorio, ci sono i plotoni di ragazzi, e quelli di mezza età in fuga dai problemi di famiglia, poi i vecchi, veterani della riserva. Le ragazze seguono altri misteriosi percorsi, i due schieramenti si vedranno di notte. Di notte niente più libri sul comodino. Solo gli sfigati possono leggere di notte.
L’atmosfera mi tranquillizza sul successo dei corsi di inglese di altissimo livello. Forse quelli che superano gli esami, B2 e C2, poi vanno via, a Piccadilly Circus, Oxford, Cambridge e dintorni. Cosa dovrebbero fare, a Cosenza, col loro impeccabile accento di Oxford?

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Una manifestazione di Comunione e liberazione

Che fine hanno fatto volantini, megafoni e striscioni?

I cellulari e la rete ci assicurano il posto nel terzo millennio, ma cosa ci portiamo dietro? Con quale bagaglio affrontiamo la globalità? Abbiamo lottato con sgomento per padroneggiare il Pc e il mouse, trenta anni fa, sapendo che era in gioco il nostro posto nel mondo.
La mia classe di ferro, 1961, la più numerosa del secolo, conserva ancora memoria del tempo arcaico del ciclostile, del telefono a gettoni, delle contrapposizioni ideologiche. Tutti tenevamo a essere diversi, a sbandierare i nostri testi sacri. Ogni gruppo aveva i suoi.
Dovremmo fare ancora uno sforzo per recuperare il nostro vissuto. Cosa accadeva nelle sedi degli altri gruppi? Quale modello di ciclostile utilizzavano? Cosa pensavano, gli altri, di noi? Cosa ne è stato dei più fieri e intransigenti contestatori? Quale buco nero ha inghiottito tutti i volantini, i megafoni, gli striscioni, le tessere e le agende su cui stavamo a scrivere come forsennati? E la nostra pretesa di leggere la realtà e giudicarla era solo assurda? Quelli che ci giudicavano degli esaltati avevano ragione? Bisogna stare con i piedi per terra? Cosa rimane di quegli anni? Come raccontarli ai ragazzi e alle ragazze della movida notturna?

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