Checco Zalone, Sanremo e la Calabria degli stereotipi

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Checco Zalone lo sa bene: se si parla di Calabria al grande pubblico – tanto più a Sanremo – meglio evitare la solita solfa a base di ‘nduja/soppressata, accenti un po’ sbilenchi, luoghi comuni e optare per le lodi sperticate. Per quella c’è già (e pagato pure meglio di lui) Muccino. E poi chi non lo fa dovrà scontrarsi con l’ira funesta di quella parte di regione che sistematicamente si inviperisce – non a tutti torti molto spesso – per la narrazione a tinte cupe, quando non grottesca, di una terra che alle tante ombre alterna anche luci di accecante splendore. Pure stavolta infatti, dopo l’apparizione del comico pugliese con Amadeus sul palco dell’Ariston, è scattato l’immancabile coro d’indignazione sui social. Meno unanime del solito, ma pur sempre ben nutrito.

La Calabria di Checco Zalone

La caricaturale Calabria di Checco Zalone, tuttavia, sembra né più né meno lo scenario perfetto per un breve show in forma di Cenerentola piccante che mira proprio a demolire gli stereotipi. Sketch non epocale, per carità, ma fondato su un meccanismo che è un grande classico della comicità, che dagli stereotipi ha sempre tirato fuori materiale a bizzeffe: si prendono, si gonfiano all’inverosimile e poi si fanno scoppiare. Zalone a Sanremo lo ha riproposto usando quelli sulla regione stereotipata per eccellenza, la Calabria, per demolirne altri, quelli sulla sessualità, e i pregiudizi a riguardo. Quale ambientazione migliore per provare a farlo?

De Andrè a Sanremo

Quello che ha raccontato Checco Zalone col consueto stile prosaico riecheggia a suo modo La Città vecchia di De Andrè. A Sanremo ieri, come nei più poetici ma altrettanto beffardi versi della canzone di Faber, c’era il professore che cerca disperatamente quella che disprezza di giorno, ma che di notte stabilisce il prezzo alle sue voglie. Con un dettaglio anatomico in più, per allargare il discorso all’intera comunità LBGTQ+. Una presa per i fondelli in piena regola dell’omofobia, col più stereotipato – melius abundare quam deficere – dei luoghi comuni: l’ipocrita che schifa in pubblico chi desidera di nascosto.

Nessuno è perfetto

La Calabria, insomma, più che il bersaglio di Checco Zalone sembra solo l’olio per provare a far girare al meglio gli ingranaggi del meccanismo del comico. Tentativo riuscito, fallito, felice o meno, forse poco importa. In fondo basterebbe ricordare tutti – anche (se non specie) da queste parti – che coi loro pregi e difetti i calabresi non sono a priori diavoli o santi, tantomeno perfetti. Più semplicemente (come chiunque), per restare a De Andrè, «se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo». Magari un po’ più permalosi della media, però ogni tanto ci possono ridere su anche loro. Chissà che non serva a demolire qualche altro stereotipo anche quello.

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