Centrodestra uno e trino: che fine ha fatto il dio mercato?

La coalizione al governo deve fare i conti con le sue diverse anime. Come conciliare totem keynesiani, nostalgie dirigiste e una nuova economia sociale?

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Vorrei iniziare con una domanda provocazione: che fine ha fatto “la mano invisibile del mercato” nelle scelte del centrodestra?
Già solo a leggere i programmi economici, si intuisce un caos spaventoso. Si passa dalle grandi opere infrastrutturali, tipo Ponte sullo Stretto e Alta Velocità ferroviaria (quale volano keynesiano dello sviluppo e della creazione di ricchezza) alla flat-tax di Laffer, quale strategia fiscale a supporto della crescita e dei consumi ( e qui siamo in piena supply side economics) fino ad arrivare, nelle scelte degli enti locali territoriali, addirittura, alla gestione semi diretta (simil-IRI per intenderci) di impianti termali, di aeroporti e chissà di cos’altro ancora.

Centrodestra: tanti voti e poche idee?

La risposta più ovvia, ma da evitare, è sempre quella: attese le diversità delle anime politiche che lo abitano, il centrodestra resterebbe un efficacissimo cartello elettorale ma un debolissimo progetto politico ed economico.
Tale caratteristica legittimerebbe le asimmetrie ideologiche e il coacervo, apparentemente irrazionale, di approcci alle questioni di politica economica. Troppo semplice, quasi banale.
La mia impressione è che ciò sia dovuto a qualcosa di più problematico: si tratterebbe, al contrario, di una risposta politica alla complessità di una fase storica che non consente lussi, quali l’eleganza metodologica piuttosto che l’ortodossia ideologica, nella definizione delle policy.

Il nuovo governo guidato da Giorgia Meloni (FdI) posa in occasione del giuramento

Il centrodestra ha abbandonato ormai da tempo la polverosa identità del sogno berlusconiano per sfociare in un pragmatismo deputato a fare sintesi tra liberismo-liberalismo, sovranismo e destra sociale.
A ben vedere, le tre anime ideologiche del centrodestra stanno provando a cedere quote parte della propria sovranità culturale a vantaggio di un passaggio successivo capace di riallinearle sotto una comune veste strutturale.
Sarà, forse, la formula istituzionale del (semi) presidenzialismo la nuova frontiera comune del centro destra? E quale DNA economico animerà il nuovo contenitore liberale dei conservatori italiani?

Che si fa con la destra sociale?

Deglobalizzazione ed emergenze ambientali, di sicuro, offriranno poco spazio a nostalgie di governance ispirate al liberismo puro.
D’altra parte, considerando che, in termini elettorali, allo stato, Lega e Forza Italia, insieme, pesano meno di Fratelli d’Italia, appare ovvio immaginare una precisa riconfigurazione delle direttrici di politica economica, non propriamente ispirate al sovranismo e al liberismo della Lega e di alcuni settori di Forza Italia.

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Le percentuali alle Politiche 2022

Tuttavia, e qui sta la novità, molti politologici e troppi economisti tendono, inspiegabilmente, a sottovalutare la significativa matrice di destra sociale che caratterizza Fratelli d’Italia. Identificare la destra sociale nella destra liberista (o presunta tale) di Berlusconi e Salvini rappresenterebbe un grande errore e non restituirebbe la vera immagine della coalizione attualmente al governo. Le battaglie su periferie, ceti deboli, ruolo dello Stato, emarginati, famiglie, artigiani sono da sempre il terreno di coltura della destra sociale e di Fratelli d’Italia.

Liberali all’italiana: il centrodestra e il mercato

L’impressione è che si vada verso una nuova economia sociale di mercato capace di coniugare crescita e redistribuzione passando per il rafforzamento pubblico degli asset infrastrutturali (energia, autonomia alimentare, digitale, trasporti) senza arrossire dinanzi alla necessità della difesa degli interessi nazionali.
Presidenzialismo, identità nazionale, nuove autonomie territoriali, Europa, mercato, politiche redistributive: il nuovo partito dei liberali italiani, forse, sta già muovendo i primi passi.

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Attenzione tuttavia a non confondere, come spesso accade, tale possibile evoluzione con il modello renano (o neo corporativo) prevalente in Germania o Giappone, dove coesistono libertà di mercato, concertazione, dirigismo e, soprattutto, sindacati proattivi.
La sfida italiana è più sottile e, nello stesso tempo, meno agevole.
Dinanzi ad uno scenario inedito, fatto contemporaneamente di lotta al debito pubblico e di inflazione a doppia cifra, che politica economica e fiscale possiamo permetterci? E ancora, cosa significa essere liberali o attenti al sociale, con risorse pubbliche mai così rare e con imprese mai così insicure in termini di aspettative?

Oltre le Regioni

Occorre, forse, che questo centrodestra ripensi il paradigma dell’economia sociale di mercato. Un primo ordito metodologico potrebbe consistere nel rilancio (finalmente) del capitale civico, dell’economia civile e del protagonismo territoriale delle categorie. Costruire cioè unità geopolitiche diverse dalle attuali Regioni (troppo indistinte ed inefficienti) ed aggregare policy e territori sulla base di filiere produttive e sociali condivise.
Il centrodestra potrebbe tentare di approcciare, ad esempio, la questione meridionale rivoluzionando la scala degli interventi e piuttosto che varare l’ennesimo piano decennale per il Sud (fatalmente destinato al flop, al pari dei suoi predecessori come la legge 64/1986) puntare finalmente su programmi di filiera capaci di aggregare territori omogenei e non “Regioni” ormai prive di senso identitario e politico.

La sede della Giunta regionale della Calabria a Germaneto

È ora di dire basta ai soliti POR e agli ormai ventennali partenariati regionali fantasma che nulla discutono, tutto approvano e poco spendono.
Il dibattito è aperto. Servirebbe un po’ di coraggio. Politico. Anche europeo.

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