Secondo tradizione, l’Italia ha bisogno della spinta dell’Europa per mettere mano alle riforme. La politica mostra da anni di non avere la capacità di governare e domare la spinta che nasce da interessi diversi, divenendo cosi incapace di assicurare l’efficienza delle strutture istituzionali e del sistema industriale e la qualità dei servizi, facendosi imbrigliare dagli interessi lobbistici di oligarchie senza interesse se non per il proprio tornaconto.
Il rapporto tra pubblico e privato
Del resto, accade lo stesso sotto l’urgenza di minacciose crisi finanziarie e in un contesto politico fortemente delegittimato dalla magistratura milanese, al tempo di Mani pulite. Il Governo Prodi fece alcune riforme in nome della “ privatizzazione”, l’imprenditore pubblico si ritrasse e vendette al “peggiore” offerente – vedi caso Telecom Italia con il “nocciolino di azioni” (0,0 e spicci) con cui l’ avvocato Agnelli si prese la società – finendo cosi per regalare asset fondamentali al privato che è più affidabile e stimabile, a prescindere.
Ora siamo in una stagione in cui non opera la moral suasion dell’Unione europea. Al contrario, si esercita, forse per la prima volta in questa forma, la governance di un ampio e ambizioso progetto riformatore a tutto campo, impegnando risorse finanziarie mai così cospicue. Le oligarchie e gli interessi malsani e occulti non sono scomparsi. Ma è scontato che ora non potranno trattare con quel tipo di governanti che hanno trasformato un evento drammatico come il crollo del Ponte Morandi in un beneficio ulteriore per la società concessionaria dei Benetton, minacciata a vanvera e per demagogia di vedersi ritirare la concessione, peraltro garantita da un contratto granitico, ad esclusiva tutela del contraente privato.
Calabria e cambiamento, binomio possibile?
Se quindi, come siamo obbligati a credere, dobbiamo cambiare in profondo questo Paese, occorre anche dire che non è affatto detto che l’operazione riesca ovunque in Italia. Ci sono regioni che hanno accumulato una tale montagna di ritardi, problemi, fallimenti, inganni che rischiano di restare fuori almeno parzialmente dalla occasione riformatrice, pressoché unica, del PNRR.
Non ripeto le considerazioni e i dati macroeconomici che Pietro Spirito, economista e top manager prestigioso, riporta nel suo articolo che compare su questa pagina del giornale.
Provo a trarne alcune cause e i relativi effetti.
La Calabria ha – salvo poche eccezioni – una mediocre classe politica. Il servaggio diffuso purtroppo tra i cittadini e la disistima che spacca e attraversa ogni forza politica è un dato di fatto. Le elezioni, temo, non premieranno i migliori ma i più scaltri e protetti da relazioni oscure. Il che significa che il nuovo Governo regionale probabilmente somiglierà come una goccia d’acqua a quello che l’ ha preceduto.
Servono persone all’altezza
Le riforme – che interessano l’area istituzionale, amministrativa, tecnica e produttiva e i servizi primari, Sanità e Magistratura – non potranno contare in Calabria (ma per il vero non solo in Calabria) su risorse professionali pregiate e all’altezza delle difficoltà da affrontare.
Un burocrazia sanitaria che a Reggio e Cosenza non ha neppure superato la pratica della contabilità “orale” – come se una fattura fosse una favola di Esopo – è inutile e spesso dannosa.
Se questa inadeguatezza, tecnica e manageriale, ora rischia di rendere non difficile ma pressoché impossibile la gestione diretta degli interventi strutturali e procedurali connessi al PNRR forse ci sarebbe da chiedere ai baroni universitari e alle lobbies che li hanno insediati se non sia stato un drammatico danno e un’inaccettabile colpa aver di fatto obbligato decine di migliaia di giovani, peraltro molti ben formati dalle Università locali e ben dotati, a lasciare la Calabria per trovare opportunità e riconoscimenti prestigiosi in giro per il mondo.
Manca in Calabria, tra l’altro, la consapevolezza che siamo questa volta ad un vero e, si spera, salutare punto di svolta. Quindi riti, parole vuote e abusate, una diffusa abitudine a non guardare lontano e appiattirsi su modelli di vita e su un rapporto con la realtà vuoti e ingannevoli sono non solo censurabili, ma incompatibili con questa stagione, ricca ad un tempo di dolore, difficoltà e nuove opportunità.
Un treno con le ruote quadrate
Io immagino il nostro Paese come un treno che traina venti vagoni, come venti sono le regioni, sfruttando la forza motrice che oggi non è solo quella dei locomotori, ma è energia diffusa sull’intero convoglio. Non tutti i vagoni sono uguali, ma temo che rischiamo di avere il vagone Calabria in coda al treno. Come è in coda in quasi tutte le classifiche europee, con un problema strutturale grave e non facile da risolvere. Ha le ruote dei carri bizzarramente quadrate, non rotonde.
Poiché è impossibile per il “treno Italia” viaggiare in sicurezza e velocità con questa anomalia, è probabile che il “carro Calabria” venga sganciato dal resto del convoglio, in attesa di una riparazione che come è norma dalle nostre parti avrà i tempi lunghi – anche decenni – che possiamo calcolare dal passato al presente, e come abbiamo scritto in un altro articolo di qualche settimana fa ha fatto della Calabria la terra del “non finito”.