Il primo Silvio e la rivoluzione liberale

Leader federatore ed europeista. Con Pera, Martino, Baget Bozzo e Urbani aveva costruito una Forza Italia carica di idee innovative. Poi col tempo tutto cambiò

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Silvio Berlusconi ha avuto un grande merito: ha offerto identità, spazio politico e rappresentanza ad una miscellanea di anime culturali da sempre presenti nel Paese.
Liberisti e cattolici liberali, neo corporativisti, nazionalisti, europeisti, socialisti, atlantisti, riformisti: tutto, in una precisa fase storica, è entrato a far parte di Forza Italia.
La narrazione, spesso disonesta, del berlusconismo ha finito per cancellare questa straordinaria intuizione di Silvio Berlusconi: sdoganare, come si diceva spesso, aree e bisogni precisi che in un grande Paese come il nostro risultavano schiacciati dal mainstream della sinistra e del sindacalismo manierista e militare della Triplice che tutto occupava e tutto gestiva.

Berlusconi sdoganò politicamente anche gli ex missini come Gianfranco Fini

Affascinati da quella Forza Italia

Ecco perché un liberista come il sottoscritto, amante del libero mercato e della deregolamentazione, si lasciò affascinare, insieme a ad altri amici, dal progetto di Forza Italia. La rivoluzione liberale, la curva di Laffer, lo Stato che arretra, le privatizzazioni erano luoghi magici dell’immaginario dei liberisti di quegli anni.
Silvio Berlusconi ha avuto il merito di creare un luogo politico dove declinare questa visione della società.
Gli uomini della prima Forza Italia erano Pera, Martino, Baget Bozzo, Urbani: intellettuali di prestigio che fungevano da garanti del disegno politico e della grande intuizione di Silvio Berlusconi.

Antonio Martino, ex ministro degli Esteri e della Difesa nei governi Berlusconi

Il primo Berlusconi e poi?

Occorre distinguere, con coraggio, il primo Berlusconi dal Berlusconismo degli anni successivi. Le idee, anche quelle grandi, camminano sulle spalle degli uomini. Se sbagli gli uomini e le donne a cui affidare il progetto, fatalmente, finisci per indebolirlo. Ed è esattamente ciò che è capitato, negli anni, al disegno di Berlusconi. Non passi dal 34% al 7% dei consensi elettorali per caso.
Ma tutto ciò non deve cancellare il portato storico dell’intuizione di Silvio Berlusconi: se solo si fosse riusciti a mantenere la barra dritta quando la maggioranza berlusconiana sfiorava il 40% oggi, forse, parleremmo di un’Italia diversa con più attenzione al merito e all’equità fiscale.

Cosa lascia all’Italia

Questo nulla toglie alla stagione ideale del primo Berlusconi. Questo Paese deve a Silvio Berlusconi il merito storico di aver salvaguardato, tutelato e rappresentato un bisogno di modernità e di europeismo, di moderazione e di valori liberali, di mercato ma anche di attenzione al sociale.
Il berlusconismo eticamente debole, immaginato dalla sinistra, è frutto di una deriva inarrestabile del sistema di potere e dei tanti cerchi magici che hanno accompagnato la stagione finale del leader.
Ma questo Paese al di là delle tante contraddizioni deve dire grazie a Silvio Berlusconi.
Senza di lui avremmo avuto meno alternanza democratica, meno innovazione istituzionale, meno mercato e soprattutto tanta retorica di sinistra.
Berlusconi non era un santo. Nessuno di noi lo è.
Grazie presidente.

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