Jole, Nobel e Gegè: il Cav di Calabria ingegnere all’Unical

La laurea honoris causa ad Arcavacata, la nascita degli azzurri tra il Pollino e lo Stretto, le gaffe, i diktat e l'eredità di Berlusconi a queste latitudini: perché se Silvio non c'è più, il berlusconismo resta più vivo che mai

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Certamente non aveva letto Gramsci, figuriamoci, ma Silvio Berlusconi il messaggio del comunista sardo l’aveva intuito bene. Aveva capito che la conquista del potere per essere duratura ed efficace, deve essere preceduta dalla conquista dell’egemonia culturale. E quella battaglia il Cavaliere l’aveva vinta piano piano. Modificando la società italiana, forgiando letteralmente un Paese nuovo, costruito sul desiderio di un benessere privato. Una grande operazione di distrazione collettiva, di ottimismo infondato, che rifuggiva ogni forma di impegno.

Una rivoluzione senza spargere sangue

Le sue armate erano le sue televisioni, che entravano ogni giorno nelle case di tutti e atomizzavano la società, risultando mille volte più efficaci. Una rivoluzione senza sangue, fatta con le tette prominenti delle ballerine di Drive In, di programmi ridanciani, costruiti su battute facili e un po’ sguaiate, mille miglia lontane dall’eleganza vigilata dei programmi della vecchia Rai. Il potere politico è venuto dopo, quando fu necessario capitalizzare la mutazione antropologica imposta da anni di dominio televisivo. Ma anche il quel caso lo strumento televisivo, in vario modo determinò la nascita e il trionfo del berlusconismo. Come quando nel ’94 il Cavaliere asfaltò Achille Occhetto nel confronto televisivo.

Pier Silvio Berlusconi e le ragazze di Drive In durante una puntata della trasmissione

Berlusconi vs Occhetto: la modernità conquista la politica

Ad arbitrare quella partita che divenne la Waterloo di Occhetto c’era un giovanissimo Mentana. Il leader della sinistra era vestito tristemente di marrone, come un qualunque funzionario di partito, pronto ad argomentare con ragionamenti lunghi e complessi. Ma dall’altra parte c’era un nuovo mostro, con il doppio petto blu di alta sartoria e la cravatta di Marinella che costavano quanto tutto il guardaroba del segretario post comunista.
Non era solo una questione d’immagine, anche se questa svolse un ruolo fondamentale, ma pure di parole: lunghe e complicate quelle del leader della sinistra, brevi come slogan pubblicitari quelle di Berlusconi.
E se hai plasmato la testa di milioni di persone avendoli trasformati da cittadini in massa e da elettori in pubblico, allora stravinci.
Era la modernità che si impadroniva della politica.

Berlusconi, Occhiuto e i Gentile: Forza Italia arriva in Calabria

Ancora oggi quel confronto televisivo viene analizzato nelle aule dove si studia comunicazione di massa, esattamente come si rivede il confronto tra Nixon e Kennedy. Ma quel trionfo fu solo la battaglia finale. La guerra era cominciata prima, quando Berlusconi aveva piegato la grande struttura di Publitalia alle esigenze politiche, facendola diventare un partito. Ogni ufficio dell’agenzia di raccolta pubblicitaria divenne una sezione della nascente Forza Italia. E ogni figura di vertice di quella struttura si trasformò in coordinatore per investitura imperiale.

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Pino e Tonino Gentile

Fu così che in Calabria Giovambattista Caligiuri, Gegè per gli amici, uomo di punta di Publitalia, costruì dal nulla un partito la cui forza elettorale venne presa in prestito dai fratelli Gentile, allora potentissimi. Così potenti da scacciare un giovane ma già rampante Roberto Occhiuto, che pure tra gli Azzurri avrebbe voluto stare.
L’ingresso dei Gentile non fu indolore. I militanti (che però non si chiamavano così) occuparono la sede di Corso Mazzini con i soffitti affrescati. Si opponevano all’ingresso dei potenti fratelli, che a loro sembravano il vecchio.
La rivolta durò fino a quando da Berlusconi in persona giunse l’ordine di sgombrarli. Perché è vero che quelli erano i Club della libertà, ma i Gentile servivano per vincere.

Berlusconi e la Calabria tra Regione e Parlamento

E infatti anche in Calabria i berlusconiani stravinsero a lungo, governando la Regione, ma anche mandando in Parlamento parecchi calabresi. Per esempio Jole Santelli, che divenne pure sottosegretario in un paio di governi Berlusconi. Parecchio tempo dopo il centrodestra la candidò alla guida della Calabria proprio su decisione del Cavaliere. Berlusconi però ebbe a lamentarsi, con la consueta tendenza alla volgarità scambiata per simpatia, del fatto che lei «in 26 anni non gliela aveva mai data».

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Il comizio di Berlusconi con la celebre battutaccia su Jole Santelli

In Calabria Berlusconi venne pure a prendersi una laurea honoris causa, diventando ingegnere. Quel simbolico titolo accademico acquisito nel ’91, però, dovette sembrare troppo poco ai suoi adoratori calabresi. E infatti fu Tonino Gentile a proporne – senza percepire il rischio dell’esagerazione –  la candidatura al premio Nobel.
Del resto la fedeltà può andare oltre ogni limite. E non furono pochi i calabresi eletti in Forza Italia che votarono nel 2011 assieme a mezzo Parlamento asserendo che davvero Berlusconi credeva che Ruby Rubacuori fosse la nipote di Mubarak.

L’eredità di Berlusconi e il berlusconismo in Calabria

Oggi, a dispetto della canzoncina cantata a squarciagola a margine dei comizi, Silvio non c’è più. Quel che Berlusconi lascia è un Paese mutato per sempre, deluso dalla impossibilità di inseguire un benessere ingannevole come una pubblicità, ma più povero moralmente e culturalmente.
La sua eredità è una destra nazionale muscolare che si è nutrita di quel populismo di cui il Cavaliere era stato fautore, ma che lo aveva prontamente sepolto ancora da vivo.
In Calabria Berlusconi ci lascia la politica delle promesse, degli annunci trionfanti, dei larghi sorrisi. Perché il berlusconismo sopravvive al suo creatore.

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Silvio Berlusconi con Roberto Occhiuto

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