Non pensavo che saltando in groppa a Zeus finivo per trovarmi nel Parlamento Europeo di Bruxelles. Eppure è successo e ne sono orgogliosamente felice.
Quando, da prof, decisi di occuparmi della storia dell’Unione Europea, pensai subito di iniziare dal mito della principessa Europa, la figlia del re di Tiro, che, ammaliata e rapita da Zeus – trasformato per l’occasione in un candido e mansueto toro – si ritrovò a rappresentare un ponte fra due mondi, l’Oriente e l’Occidente, e a dare il suo nome alle terre a nord del Mediterraneo, allo spazio geografico che secoli dopo Victor Hugo immaginava come Stati Uniti d’Europa messi di fronte agli Stati Uniti d’America, pronti a “tendersi la mano al di sopra dell’oceano, scambiare fra loro merci, prodotti, artisti, scienziati”.
Ecco, questa è la mia idea di Europa: un confronto costante, un nutrimento reciproco fra civiltà, un arricchimento socio-politico-culturale per tutti. E questo è quello che ho scritto anche nel mio libro Sguardi sull’Unione Europea – Le slide raccontano edito dall’Associazione culturale Libraries Inside.
Per dare maggiore forza al mio racconto, mi sono fatta aiutare anche da grandi della letteratura che mi fanno compagnia da sempre, e quindi, fra gli altri, Dante, che ci insegna ad abbassar lo sguardo – «adima il viso» – per porci a favore di altri punti di vista e capire ciò che ancora non ci è «discoverto»; Shakespeare, con la sua lezione di umanità che fa recitare accoratamente a Shylock; Cervantes, che ci propone di andare verso l’altro come forma di riscatto per ricercare sé stessi; Joyce, la cui intera produzione letteraria ci fa riflettere sul nazionalismo esasperato che porta solo distruzione e morte; Virginia Woolf, che si è impegnata tutta la vita per dare dignità alle donne; Marguerite Yourcenar che, attraverso il suo Memorie di Adriano, ci insegna a riflettere sul significato della riconciliazione tra passato, presente e futuro.
Sguardi sull’Unione Europea, sperimentato in classe in più occasioni, attira l’attenzione degli alunni perché usa linguaggi diversi: oltre a quello storico-letterario, racconta il tema col linguaggio dell’arte, col linguaggio cinematografico e con quello musicale. Tutto ciò ha contribuito ad affermare la mia convinzione del perché essere europeisti, del perché l’Europa deve «diventare un sentimento», come sostiene Bono Vox degli U2, per vivere insieme nella nostra unica casa e annullare definitivamente la minaccia della guerra, ricordando Bob Dylan, se Dio è dalla nostra parte, fermerà la prossima guerra: è stato possibile per 80 anni, facciamo in modo che lo sia per sempre, insieme. D’altronde, come potremmo competere da singoli stati con giganti quali gli Stati Uniti, la Russia, la Cina? Riflettiamo sulle parole dei padri fondatori e delle madri fondatrici dell’Unione Europea e proviamo a non sprecare il nostro tempo, le nostre vite, a non considerarci numeri da sommare o da sottrarre nei bilanci della nostra quotidianità anonima: proviamo a sentirci persone e impariamo il rispetto reciproco. Agiamo come il capitano del film del 1983 E la nave va di Federico Fellini, quando deve spiegare ai ricchi viaggiatori della sua nave la presenza di altre persone a bordo: le loro zattere si stavano rovesciando. Raccogliere queste donne, questi bambini, queste famiglie disperate, era un dovere al quale non potevo sottrarmi.
Tutto questo ho avuto il piacere di raccontarlo anche in un’aula del Parlamento Europeo di Bruxelles il 18 marzo scorso, sostenuta e incoraggiata da cinque miei alunni, ragazzi dell’Europa, anche loro con gli occhi e il cuore pieni di passione per la conoscenza e per il bello. Nonostante la stanchezza di una giornata intensa, l’aula del Parlamento Europeo a noi destinata, gremita soprattutto di giovani delle scuole del meridione d’Italia, era comunque attenta e desiderosa di ascoltare: il mio discorso si è rivolto soprattutto a loro, come sempre nel mio percorso di insegnante ormai da decenni, un discorso che vuole avere il sapore della speranza, dell’unione tra forze che insieme possono. Il racconto si è posato anche sul Manifesto di Ventotene, un esempio di progetto di costruzione in un periodo di assoluta distruzione; ho ricordato anche la fondazione della casa editrice Einaudi, nata proprio nel momento in cui la censura offendeva il pensiero libero dei giovani che vissero nel periodo fascista, e ho rievocato il recupero di alcune delle opere d’arte confiscate dalla furia ossessiva di Hitler grazie alla conoscenza della lingua tedesca da parte di una impiegata francese che sente e annota sul suo diario quanto basta per dire “anch’io ho fatto la mia parte”.
E, a proposito della conoscenza delle lingue e della sua importanza, che bello poter assistere a come si lavora nel Parlamento Europeo con 24 lingue diverse! Un esempio concreto di diversità come ricchezza, non certo come ostacolo, input da lingue di partenza che si trasformano in output di nuova derivazione linguistica, un lavoro eccezionale oggi reso più semplice grazie alle tecnologie di ultima generazione le quali comunque, non dimentichiamolo, sono sempre affiancate dalle competenze straordinarie di traduttori professionisti, ognuno dei quali conosce perfettamente dalle quattro alle otto lingue almeno.
Facciamo quindi in modo che, nei luoghi della democrazia per eccellenza, negli spazi che danno alla parola (da qui Parlamento) il suo giusto ruolo di protagonista, si avviino discorsi di costruzione fra le parti all’insegna di una identità comunitaria propositiva che vuole continuare a vivere in pace e vuole impegnarsi a risolvere quelle mancanze, quelle incompiutezze che ancora oggi oppongono resistenza al sogno di un’unione europea libera, democratica, sicura.
L’Unione Europea, oggi più che mai, è come il pugile in difficoltà nel quadro Taking the Count di Thomas Eakins: ognuno nella propria parte deve aiutarlo ad alzarsi e, con dignità, deve portarlo alla vittoria.
Fabiola Salerno
Docente liceale di Lingua e letteratura inglese