Sbranata dai cani, «Randagi o meno la tragedia era evitabile»

Massimo Bozzo da assessore a Cosenza si è occupato per anni di randagismo: «Quando un branco scorrazza così in un'area picnic esiste un'evidente lacuna nella sorveglianza»

Condividi

Recenti

La tragedia di Simona Cavallaro? «Evitabilissima». Ma, quando una ragazza di vent’anni muore sbranata dai cani «ogni altra considerazione passa in secondo piano, perché c’è un evidente problema di sicurezza da cui non si può prescindere».
Parole di Massimo Bozzo, ex assessore con deleghe alla Sanità, al Randagismo, al Personale e alla qualità della vita durante la prima amministrazione Occhiuto e poi consulente dello stesso Occhiuto per le emergenze igienico-sanitarie e il randagismo.

Bozzo, sotto shock e indignato come tanti cittadini, interviene sulla vicenda di Satriano (Cz), culminata con la morte della ventenne, tuttora al vaglio degli inquirenti (che hanno puntato le proprie lenti su un pastore) ed espone il suo punto di vista sulla lotta al randagismo, maturato in circa dieci anni di esperienza. Non senza aver prima chiarito la propria posizione: «Non mi ricandiderò alle imminenti Amministrative di Cosenza, quindi in quel che dico non c’è alcuno scopo elettoralistico».

Dunque, tragedia evitabilissima, dovuta a problemi di sicurezza

«Quando un branco di cani scorrazza sul territorio senza alcun controllo, vuol dire che c’è una evidente lacuna nella sorveglianza. A quanto ho appreso dalla stampa, l’aggressione costata la vita alla povera Simona è avvenuta in un’area pic nic. Se le cose stanno così, mi chiedo: che ci facevano quei cani in una zona aperta al pubblico? Questa domanda vale sia se i cani erano randagi, come si è ipotizzato in un primo momento, sia se, come cercano di appurare gli inquirenti, erano semplicemente incustoditi».

Insomma, forse quei cani dovevano custodire un gregge ma avrebbero dovuto essere custoditi a loro volta. È così?
«Certo, altrimenti il pastore che ci sta a fare? Per sbrogliare meglio questa vicenda, è d’obbligo una domanda: la presenza di un microchip, che gli inquirenti cercano di appurare sui cani finora catturati, è essenziale per poter definire un animale proprietà di qualcuno o, semplicemente, randagio?
Il microchip, quando c’è, consente di risalire al proprietario con la massima certezza. L’assenza di microchip rende l’animale tecnicamente randagio. Tuttavia, ciò non esclude che si possa risalire a un ipotetico possessore sulla base di dati di fatto».
Quindi, tra la proprietà netta e il randagismo c’è uno stadio intermedio, che non esclude le responsabilità

«Certamente, solo che nel caso del semplice possesso – cioè di un animale che può essere ricondotto a qualcuno anche in assenza del microchip – aumentano le responsabilità degli enti a cui spetta la vigilanza, sia sotto il profilo della sicurezza sia sotto quello sanitario. E cioè, il Comune, in prima battuta, e le autorità sanitarie. Senza contare il ruolo importante dei Carabinieri forestali, che spesso suppliscono alle carenze d’organico della Polizia municipale».

E in che modo si declinerebbe questa responsabilità concorrente?

«Rispondo con alcune domande: gli spostamenti del gregge dovevano o no essere controllati periodicamente? Inoltre, qualcuno ha mai verificato se assieme al gregge c’era il branco di cani? Ancora: se questi cani risultassero sprovvisti di microchip, come mai le autorità sanitarie – che comunque dovrebbero verificare le condizioni del gregge – non hanno fatto presente al pastore la necessità di microchippare gli animali? Ci sono molti punti che non tornano».

Ricapitoliamo: ci sono tre tipi di responsabilità, in casi come questi. Una responsabilità prevalente del proprietario se gli animali sono microchippati, una responsabilità concorrente, tra proprietario e autorità pubbliche, qualora non abbiano microchip e una responsabilità totale delle autorità nel caso di randagismo.

«Esatto. Per questo, mi sono mosso in maniera dura e determinata a Cosenza, dove il problema del randagismo ha raggiunto a più riprese livelli forti e, a volte insostenibili».

Con che risultati?

«Mi limito a esporre i numeri, che parlano da soli: in cinque anni abbiamo tolto oltre 1.200 cani randagi dalle strade della città, di cui siamo riusciti a farne adottare 1.100, previa sterilizzazione. Così facendo, abbiamo ottenuto anche un risultato economico non proprio irrilevante: la riduzione del 75% delle presenze nei canili-rifugio, per un risparmio complessivo di 300mila euro all’anno. Non mi pare poco nella nostra regione, in cui le spese totali dovute al randagismo ammontano a 20 milioni annui.
Quindi Cosenza ha dato un bel contributo alla riduzione del fenomeno.
È difficile dirlo in questo periodo, perché d’estate gli abbandoni di animali, che sono alla base del randagismo, tendono ad aumentare. I risultati concreti potremo verificarli in autunno, in seguito alle catture di animali randagi o incustoditi».

Ma esiste una risposta definitiva al randagismo e, più in generale, all’incuria verso gli animali?

«La sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Chiediamoci come mai, dalla Toscana in sù, il randagismo è praticamente assente, e, allo stesso tempo, c’è una forte presenza di associazioni animaliste, che cooperano con le autorità. Il contenimento del randagismo che abbiamo praticato a Cosenza, con la partecipazione delle associazioni, dimostra come questo fenomeno si possa contrastare senza aggravi per le casse pubbliche ma, anzi, con risparmi importanti. Però è necessario che i cittadini si rendano conto e facciano le loro pressioni: in democrazia sono loro che fanno la differenza».

Torniamo alla vicenda di Satriano. La povera Simona è stata uccisa da pastori maremmani, cani di grande stazza e, come li hanno definiti gli stessi inquirenti, molto aggressivi. Nei loro riguardi valgono le stesse raccomandazioni per la lotta al randagismo?

«Microchippati o meno, erano incustoditi. Senz’altro la sterilizzazione è raccomandabile quando fanno branco: i maremmani sono cani dotati di un fortissimo senso del territorio che, unito alla loro missione biologica (la difesa del gregge) può trasformarli in armi, anche micidiali, date le dimensioni. Non devono essere sterilizzati solo i cani da riproduzione, cioè quegli esemplari di particolare pregio di cui si desidera conservare le caratteristiche genetiche».

Simona è stata vittima, oltre che dei cani, di una sciatteria collettiva?

«Non saprei dire, anche perché Satriano è un Comune attivo nel contrasto del randagismo. La risposta definitiva tocca all’autorità giudiziaria. Io mi sono limitato a dire cosa devono fare le amministrazioni per contrastare il randagismo e l’abbandono. Quindi per prevenire episodi tragici come quello di Simona».

Sostieni ICalabresi.it

L'indipendenza è il requisito principale per un'informazione di qualità. Con una piccola offerta (anche il prezzo di un caffè) puoi aiutarci in questa avventura. Se ti piace quel che leggi, contribuisci.

Iscriviti alla Newsletter

Ricevi in anteprima sul tuo cellulare le nostre inchieste esclusive.