Marco Esposito è giornalista professionista di lungo corso. Già redattore economico di Milano Finanza e in forza a La Voce di Indro Montanelli, passa nel 1995 a Repubblica. Quindi, nel 2000, approda a Il Mattino di Napoli, dove guida la redazione economica.
Insignito nel 2008 col premio Sele d’Oro per gli articoli sul federalismo fiscale, Esposito diventa nel 2009 responsabile delle Politiche per il Mezzogiorno di Italia dei valori. Entra nella giunta De Magistris nel 2011 come assessore alle attività produttive e vi resta fino al 2013, quando viene eletto segretario di Unione Mediterranea.
Eposito torna al giornalismo nel 2015 e prosegue le inchieste sul federalismo fiscale. Nel 2018 pubblica con Rubbettino Zero al Sud. Due anni dopo esce per Piemme (Mondadori) Fake Sud. con prefazione di Alessandro Barbero.

Il Piano nazionale ripresa e resilienza riprende due scenari: uno riguarda il “prima” dell’invasione russa, l’altro, ovviamente, il “dopo”. Cosa è cambiato? Quali saranno gli aspetti che dovranno essere manutenuti?
«Il Pnrr è una risposta collettiva dei Paesi dell’Ue alla pandemia. Non era mai accaduto che si facesse debito comune. Forse un giorno scopriremo che questa reazione imprevista ha mandato all’aria i piani di chi, dall’esterno e dall’interno, puntava a destabilizzare l’Ue. Mi auguro che l’invasione russa e lo scontro sul gas portino una continuità strategica: solo le risposte collettive possono essere efficaci, appunto».
Il Piano sembra rivolto essenzialmente al passato, ma pare privo di una visione strategica che proietti l’Italia, ed il Mezzogiorno in particolare, verso il futuro. Come si può correggere questa impostazione?
«Un Paese sano ha grandi sogni e risorse per forza di cose limitate. I primi indicano la direzione di marcia e i secondi dettano in concreto i tempi di realizzazione. L’Italia però era, da tempo, un Paese malato, privo di sogni e quindi di grandi progetti. Così, lo ha denunciato il Parlamento europeo, nel Pnrr ci siamo impegnati soprattutto a “reimpacchettare” (non a caso, si è usato il termine “repackaging”) vecchi progetti, senza reale valore aggiunto. Correggere in corsa è difficile. Però credo che la crisi internazionale aperta dalla Russia spingerà l’Europa a rivedere il Pnrr, dilatandone i tempi rispetto al termine del 30 giugno 2026 e accelerando sull’innovazione energetica e digitale, con un occhio particolare alla sfida della comunicazione globale. Il Mezzogiorno italiano può essere protagonista in entrambi campi».

Si parla del Mezzogiorno per conservarlo in naftalina. Il comportamento è simile a quello degli Spagnoli con gli Incas: chincaglieria in cambio le risorse del territorio. Stavolta lo specchietto per le allodole è nella riserva del 40% dei fondi. Come si può ribaltare questo apparecchio francamente irritante?
«Prodi diceva che la regola europea del 3% per il deficit era stupida come lo sono tutte le regole rigide. Anche il 40% è stupido. Tuttavia credo che l’assenza di una soglia avrebbe portato risultati peggiori. Il punto è che a noi meridionali non dovrebbe importare di “quanti soldi” arrivano. Invece dovremmo pretendere uguali diritti di cittadinanza: asili nido, tempo pieno a scuola, trasporti, sanità, assistenza sociale. Questi diritti non possono mutare in base alla residenza. Nel 2022 abbiamo assegnato un fabbisogno standard per i servizi di istruzione pubblica del 4,9% del totale nazionale al Comune di Milano e del 2,1% al Comune di Napoli, ma Napoli non è meno della metà di Milano e i suoi studenti non dovrebbero avere “per legge” meno diritto al tempo pieno o al trasporto scolastico. Per cambiare questo stato di cose dovremmo indignarci. Lo abbiamo fatto, nel 2018, contro gli zeri per gli asili nido e nel giro di un anno quegli zeri li hanno dovuti cancellare».

La formula magica, è: i bandi “competitivi”. Ma come si possono mettere a gara tra le istituzioni i diritti dei cittadini? Dove si è smarrito il senso della nostra Costituzione?
«La logica dei diritti messi a bando tra territori è agghiacciante. Chi vorrebbe vivere in un paese che mette a bando i Pronto soccorso e poi trovarsi in un posto che ne resta privo perché magari l’Azienda sanitaria locale non si è attivata? E allora come si può accettare di costruire un asilo nido o una palestra scolastica in base all’abilità del Comune di presentare la domanda? Non capire la differenza tra il bando (necessario) per stabilire quale impresa debba costruire l’asilo nido e il bando (insensato) per decidere in quale posto è utile aprire il servizio è segno di pochezza di tutta la classe dirigente. Al riguardo, non ho visto finora una reazione sufficiente da parte di sindacati, associazioni di genitori e quella che definiamo “società civile”».
Nella esecuzione degli investimenti del Pnrr si ripresentano i nodi mai risolti di un federalismo sgangherato. Quanto sta pagando il Mezzogiorno questa struttura istituzionale neofeudale che proprio al Sud dà il peggio?
«Il Sud paga da sempre l’incapacità di fare squadra. Il federalismo, per quanto sgangherato, può essere governato se gli enti locali con interessi simili – Regioni, Città metropolitane, Comuni – comprendono l’importanza di operare insieme. Lo fanno con efficacia – è noto – tre Regioni come Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna che nella loro storia non hanno mai avuto un identico indirizzo politico. Le regioni del Mezzogiorno non lo hanno fatto mai, neppure quando tutti i presidenti appartenevano al medesimo partito. Michele Emiliano, presidente della Puglia, mi raccontò che in occasione di una Fiera del Levante aveva invitato tutti i colleghi meridionali per aprire un ragionamento comune. Ma dalla sede romana del Pd arrivarono telefonate ai singoli presidenti per invitarli a disertare».

Non esiste un Mezzogiorno: ce ne sono tanti, con problemi convergenti ma con un tasso di complessità spesso differente. Come può il Pnrr affrontare questo mezzogiorno “plurale”?
«Questa storia dei tanti Sud, devo dire, non mi ha mai convinto. E’ ovvio che il Meridione non è tutto uguale. Forse è tutta uguale la Lombardia? O la Baviera? Il punto è che in statistiche fondamentali come il tasso di occupazione nella fascia di età 20-64 anni su 286 regioni europee le ultime quattro sono Sicilia, Calabria, Campania e Puglia. Ciò vuol dire che non in Italia ma in Europa c’è un gigantesco problema che riguarda un territorio che ha quasi il doppio degli abitanti della Svezia».
Il Mezzogiorno vive un declino demografico accelerato, dovuto al calo della natalità, alla ripresa dell’emigrazione dei giovani e alla scarsa attrattività verso gli immigrati. Il Pnrr affronta questo problema che potrebbe cambiare radicalmente, tra qualche decennio, il panorama sociale dei territori meridionali?
«Il Pnrr non solo non affronta il problema ma, addirittura, in alcuni bandi si dà per scontato che il declino demografico debba continuare. E si prende come riferimento non la popolazione del 2021 o, al limite, quella stimata al 2026 ma addirittura quella prevista dall’Istat per il 2035 nell’ipotesi che i flussi migratori restino stabili. Il che avverrebbe se il Pnrr non incidesse per nulla sulle opportunità a disposizione nei diversi territori. Ciò vuol dire che il Piano postula il suo fallimento. Detto questo, occorre capire che quella demografica è “la” sfida dell’intera Europa e la si vince se le nostre università diverranno attrattive per giovani di tutto il mondo. Quando è scoppiata la guerra in Ucraina, c’è stato il problema delle centinaia di studenti universitari indiani che dovevano lasciare le università di quel Paese. Il Mezzogiorno vincerà la sua sfida quando i giovani di qualsiasi paese del mondo penseranno che non c’è nulla di meglio per il proprio futuro di trascorrere gli anni di formazione in atenei prestigiosi e pronti ad accoglierli: Napoli, Bari, Cosenza, Palermo e così via».

Le organizzazioni criminali condizionano da sempre il funzionamento delle società meridionali. Quanto è elevato il rischio che questi soggetti si impadroniscano delle leve che governano gli investimenti del Pnrr per consolidare il loro potere?
«L’interesse di organizzazioni criminali a intercettare flussi di risorse pubbliche non è un rischio ma una certezza. E non solo al Sud, come dimostrano le inchieste su appalti pilotati, dal Terzo Valico al Mose. L’attenzione quindi deve essere alta, senza però spingerci nell’errore di affondare Venezia perché qualcuno ha rubato sul Mose».
Nella governance del Pnrr non pare emergere una piattaforma di comando e controllo in grado di contrastare l’inerzia di cui il Mezzogiorno è storicamente prigioniero. Potrebbe valere la pena di attivare la regola dei poteri sostitutivi quando emergono lentezze e ritardi delle istituzioni locali?
«Se mettiamo al centro i cittadini, la risposta è ovvia. La Consulta è stata chiara nel chiedere allo Stato di definire i livelli essenziali delle prestazioni prima di attuare il Pnrr e la Costituzione lo è altrettanto nell’assegnare allo Stato poteri sostitutivi qualora i Lep non siano garantiti n tutto il territorio nazionale. Purtroppo la governance del Pnrr prevede poteri sostitutivi per l’ente locale che si assicura un progetto ma poi stenta a realizzarlo, non per l’ente locale che non si attiva affatto. Si può cambiare questa linea di marcia? Certo. Se ci convinciamo che è il tempo dell’ambizione, non della pigrizia».