L’armatore Mario Mattioli inizia a lavorare nei primi ’80 nelle aziende di famiglia legate al Gruppo Cafiero Mattioli, dove ricopre numerosi incarichi, fino all’attuale presidenza di Ca.Fi.Ma. Cafiero Mattioli Finanziaria Spa.
Per venti anni è stato membro del Consiglio confederale e del Comitato esecutivo di Confitarma-Confederazione Italiana Armatori.
Dall’11 ottobre 2017 è presidente di Confitarma. Inoltre, è stato presidente di Assorimorchiatori. È inoltre vicepresidente dell’Accademia italiana della Marina mercantile, vicepresidente dell’Unione industriali Napoli con delega per la Formazione e il Centro studi.
Siamo bombardati dalle notizie di guerra in Ucraina. Che caratteristiche presenta questo conflitto, visto dal mare? Come cambierà le nostre vite?
«Le notizie che arrivano dai teatri di guerra sono sempre raccapriccianti. E guardare a questo conflitto dal mare non tranquillizza. La guerra in Ucraina e le relative sanzioni che Usa ed Europa stanno imponendo alla Russia aumenteranno la pressione sul commercio globale. L’interruzione dei traffici marittimi in queste aree si ripercuote sulle catene logistiche internazionali, con gravi conseguenze per vasti settori dell’industria che dipendono da tutte le importazioni e non solo da gas e petrolio».
La guerra evidenzia la necessità di una transizione energetica più accelerata rispetto a quanto credevamo necessario. Quale contributo può dare l’economia marittima al ridisegno del sistema energetico nazionale?
«La guerra ha imposto l’attuazione repentina della transizione energetica. Tuttavia, questa transizione è in corso da tempo nei trasporti marittimi. I dati dimostrano quanto lo shipping mondiale sia impegnato nella decarbonizzazione. In particolare a raggiungere la riduzione di Co2 decisa dall’Imo, che prevede entro il 2050 la riduzione del 50% delle emissioni rispetto al 2008. Serve, però, un’azione condivisa a livello internazionale, per evitare che interventi di diversa tipologia (e quindi con diversi impatti) adottati dai singoli Paesi danneggino la competitività.
Per lo shipping la partita si giocherà con l’individuazione di fonti del nuovo green fuel a cominciare dallo sviluppo delle reti di distribuzione e rifornimento. Ma per rendere concreta la transizione ecologica occorrono ricerca e sviluppo, strumenti finanziari adeguati e, soprattutto, occorre sapere che i tempi non sono così immediati come invece appare dai tanti slogan sul tema.
La transizione è ineludibile, ma il governo ci deve sostenere. Le azioni e le proposte che potrebbero dare slancio al nostro Paese partono da un assunto semplice, che gli armatori ribadiscono con forza: rimettere il mare al centro. Confitarma si prepara così alle numerose sfide del settore, specie quelle che ci impegneranno nella rotta verso l’impatto zero».
La globalizzazione è sorta dall’economia marittima e dalle rotte transcontinentali, che hanno generato il decentramento produttivo spinto. Sarà così anche nei prossimi decenni, oppure assisteremo a un ripiegamento della globalizzazione su scala macro regionale?
«Il trasporto marittimo ha dato prova del suo ruolo strategico di garanzia alla continuità delle catene di approvvigionamento globale durante la pandemia. Anche di recente, ha consentito il regolare flusso delle merci e dell’energia da cui dipendiamo. Basti pensare che in Italia, in pieno lockdown (cioè nel 2020) il Covid ha colpito più il fatturato delle aziende con una flessione media del 20/25%, che la consistenza della flotta di bandiera che mantiene la sua posizione nella graduatoria mondiale con circa 14,5 milioni di gt. Quindi non credo che assisteremo ad una totale “regionalizzazione” della globalizzazione. Credo, tuttavia, che per alcune commodity strategiche i singoli Stati cercheranno di dipendere sempre meno dall’estero».
Quale politica marittima dovrebbe esprimere l’Europa per essere attore delle trasformazioni globali? Quale sarebbe il ruolo del Mediterraneo in questo scenario?
«Credo che Draghi nella sua recente visita al Parlamento abbia spiegato benissimo cosa è la politica europea del futuro. Innanzitutto, occorre maggiore attenzione al Mediterraneo, data la sua funzione di ponte verso l’Africa e il Medio Oriente. Non possiamo guardare al Mediterraneo solo come a un confine, su cui ergere barriere. Sul Mediterraneo si affacciano molti Paesi giovani, pronti a infondere il proprio entusiasmo nel rapporto con l’Europa. L’Ue deve costruire con i Paesi mediterranei, come dice Draghi, “un reale partenariato non solo economico, ma anche politico e sociale. Il Mediterraneo deve essere un polo di pace, di prosperità, di progresso”. Soprattutto nella politica energetica, i paesi del Mediterraneo possono giocare un ruolo fondamentale per il futuro dell’Europa. Specie se si considerano la posizione strategica del Mezzogiorno e la sua esigenza di sviluppo. Ciò è tanto più valido a seguito della guerra in Ucraina, che ha mostrato la forte dipendenza di molti paesi dalla Russia. In primis l’Italia, che importa circa il 40% del gas naturale dalla Russia».
Joe Biden ha emanato a fine febbraio un ordine presidenziale con cui ha invitato le istituzioni di governo a regolamentare l’eccessivo potere di mercato delle tre grandi Alleanze nel settore del trasporto dei containers. L’Europa, invece, consente sino al 2024, grazie alla regola di eccezione (exemption rule), non solo la legittimità delle tre Alleanze, ma anche un carico fiscale molto vantaggioso, con un onere pari al 7%. Perché questa asimmetria forte tra il regolatore americano ed il regolatore europeo?
«Purtroppo, lo scenario dei mercati mondiali è stato sconvolto dalla pandemia, iniziata circa due anni fa. Sono molte le situazioni critiche venutesi a creare, come dimostra la congestione nel porto di Shanghai, che ripropone problematiche vissute nel marzo 2021. Mi riferisco all’incidente della Ever Given nel Canale di Suez, che portò alla ribalta l’importanza del settore marittimo nei rifornimenti e la complessità delle catene di approvvigionamento globali.
Siamo di fronte ad eventi inaspettati che incidono su un sistema equilibrato su cui tutti facevamo affidamento, e che sono strettamente connessi al rialzo dei prezzi di varie commodity e ai colli di bottiglia in alcune catene globali.
Inoltre, la grave situazione dell’Ucraina innesca, oltre alle devastanti conseguenze umanitarie, ulteriori tensioni con evidenti impatti sull’attività economica mondiale, al momento ancora difficili da quantificare. L’aumento del costo del trasporto nel settore dei contenitori incide anche sull’inflazione: è chiaro che la legge del mercato determina situazioni in cui c’è chi guadagna e chi perde. Di fatto, le decisioni di Usa o Ue sono decisioni politiche. L’auspicio è che non si creino nuove problematiche per la logistica, già fortemente colpita dagli eventi straordinari degli ultimi anni».
Quale impatto avrà il Pnrr sul mondo marittimo, nazionale ed europeo? C’è una visione per gestire le transizioni imminenti, oppure ci portiamo ancora dietro i fardelli del passato senza riuscire a determinare la necessaria discontinuità?
«Il Piano nazionale di ripresa e resilienza è un’occasione irripetibile di rinascita e crescita del sistema economico nazionale ma necessita di una strategia orientata verso il mare che assicuri lo sviluppo di un sistema di collegamenti adeguato, con particolare attenzione alla transizione ecologica e digitale. Numerosi nostri partner europei, attraverso i fondi stanziati dal Next Generation Eu, investono risorse pubbliche per sostenere gli ulteriori importanti passi che le aziende del settore marittimo saranno chiamate ad effettuare sulla via della transizione ecologica.
Di fatto, a fronte di investimenti di decine di miliardi di euro che gli armatori italiani continuano a fare per mantenere e incrementare elevate performance, l’industria armatoriale non sembra essere percepita come risorsa prioritaria del Paese. Il Fondo complementare al Pnrr, che mira a rendere le nostre navi più green, stanzia circa 500 milioni di euro. Qualora fosse un primo passo per verso il rinnovo green della flotta italiana, la partenza è buona. Ricordo però che, al momento rimane esclusa da questa misura una quota molto rilevante di navi appartenenti ad imprese radicate in Italia. Perciò servono altre iniziative. Anche in questo caso, credo che siano importanti sbocchi per i numerosi progetti che interessano lo sviluppo del Mezzogiorno».
Negli ultimi anni, gli interessi armatoriali in Italia si sono disarticolati. Sono nate, oltre a Confitarma, nuove associazioni datoriali. Perché si è determinata questa frammentazione? C’è possibilità che la frattura nel tempo si componga?
«L’esistenza di rappresentanze diverse per gli stessi interessi è sempre un errore, anche nel caso degli armatori. Questo è ancora più vero in fasi storiche complesse, come la pandemia. Infatti, le divisioni, da un lato indeboliscono la categoria e, all’altro, confondono il regolatore politico che spesso “decide di non decidere”. Ad esempio, durante l’emergenza le due associazioni armatoriali hanno chiesto alla politica le stesse cose ma, per differenziarsi, lo hanno fatto in modi diversi. Il risultato è stato nullo. L’unità avrebbe creato un beneficio maggiore per le aziende di entrambe le associazioni».