Gioffrè: «Lobby masso-bancarie e colletti bianchi creano così il buco nei conti della Sanità»

Consuntivi in attesa di approvazione da quasi un decennio, interessi incrociati, consulenze milionarie senza risultati: l'ex commissario mette a nudo le criticità dietro il debito monstre del settore, con la Calabria unica incapace di uscire dal Piano di Rientro. E alimenta il dubbio che a qualcuno la situazione faccia molto comodo

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La metafora veicola una suggestione da scrittore, ma la sostanza restituisce il pragmatismo del managerSanto Gioffrè nella vita ha fatto e fa entrambe le cose. Dunque, se gli si chiede cosa pensi della creazione dell’Azienda Zero come cura per la sanità calabrese, risponde così: «Mi sembra un tentativo di prendersi la carne e lasciare le ossa alle Asp».

La lobby masso-bancaria e la Sanità calabrese

Lui un’Asp l’ha guidata. Nel 2015 è stato commissario straordinario dell’Azienda più inguaiata di Calabria, quella di Reggio, raccontando poi quell’esperienza in un libro-testimonianza sulla «grande truffa nella sanità calabrese» . Quanto il suo sguardo sul «sistema» sia disincantato lo si intuisce subito: «C’è, almeno dal 2005, una lobby masso-bancaria che in combutta con i colletti bianchi ha creato un meccanismo attraverso il quale si è reso impossibile conoscere o risalire alla vera contabilità delle Asp».

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L’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria

Il nodo, secondo Santo Gioffrè, sta tutto lì: «Se non ricostruiscono il debito, portando a galla tutti gli interessi che ci sono dietro, possono inventarsi pure la luna». Dunque l’Azienda zero «in linea di principio potrebbe anche funzionare, ma in un contesto sano». In quello attuale, «se non sai se ciò che stai pagando è già stato pagato, come fai?». C’è poco da girarci attorno: «Bisogna accertare chi si è preso i soldi, quanti ne ha presi e come li ha presi. Un’operazione di questo tipo si vuole fare? Serve una volontà di ferro».

Il debito mai quantificato

Proprio in questi giorni Roberto Occhiuto si è mostrato sicuro: «Abbiamo messo su una procedura – ha annunciato su Facebook – per accertare il debito entro il 31 dicembre 2022». Se ne occuperanno dei «gruppi di lavoro» che, tra il Dipartimento regionale e le Aziende del servizio sanitario, dovrebbero avere il supporto della Guardia di finanza per provare a capire quanto sia grande il buco nei conti. E così riuscire dove hanno fallito, in 12 anni di commissariamento, fior di generali delle stesse Fiamme gialle e dei carabinieri.

Fin dall’avvio del Piano di rientro (era la vigilia di Natale del 2009) sono stati macinati commissari e spesi miliardi senza cavare un ragno dal buco. Con l’aggravante che ci si è avvalsi di una società, la Kpmg Advisory, che doveva appunto dare una mano nella ricognizione e riconciliazione del debito pregresso. È finita malissimo. Carlo Guccione ha dichiarato in consiglio regionale che, dal 2008, questa società ha ricevuto compensi per 11 milioni di euro. Ma l’entità del debito ancora non la sappiamo.

La Kpmg e quell’ufficio regionale

La storiaccia calabrese della Kpmg si incrocia, a questo proposito, con quella di una sigla poco nota ai non addetti ai lavori, BDE, che significa Bad Debt Entity. «Si trattava di un ufficio creato in Regione nel 2010 con l’intento di ripianare i debiti delle Aziende sanitarie e ospedaliere», spiega il manager-scrittore. I soldi, circa 500 milioni di euro, arrivavano da un mutuo contratto dalla Regione. «I debiti si pagavano in base alla certificazione delle fatture effettuata da Kpmg. Dopo 4 anni (fine ottobre del 2014) le somme residue sono state date, con una specie di forfait, alle Aziende: “pagate voi”, dissero da Catanzaro. E le Aziende cominciarono a fare le transazioni in base alle tabelle fornite da Kpmg».

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Una delle sedi dela Kpmg, colosso internazionale della revisione contabile

Il meccanismo si inceppa

In uno schema di transazione utilizzato spesso dalle Aziende si sostiene che grazie alla BDE ci sarebbe stata «una riduzione del livello di indebitamento verso gli istituti tesorieri e un decremento dei relativi interessi passivi sulle anticipazioni di cassa nel corso dell’esercizio 2015». Qualcosa però deve essersi poi inceppato visto che negli anni successivi sono emerse «varie difficoltà da parte delle Aziende Sanitarie nell’efficace utilizzo delle risorse ricevute per il pagamento del debito pregresso, dovute principalmente alla carenza di figure professionali e competenze tecnico specialistiche nello svolgimento delle attività amministrative per il perfezionamento con i debitori di transazioni e nella emissione dei mandati di pagamento, nonché a difficoltà connesse alla verifica delle partite debitorie già pagate in esecuzione di assegnazioni giudiziarie, al fine di evitare pagamenti multipli per medesime fatture».

Le origini del bilancio orale secondo Santo Gioffrè

Ecco, le fatture pagate due volte ai privati. È proprio ciò che si è puntualmente verificato – come di recente confermato dalla Corte dei conti – e che Gioffrè ha denunciato. Da anni va ripetendo, carte alla mano, cosa si celi dietro i «pignoramenti non regolarizzati» a cui «mai nessuno, dal governo a ogni istituzione che ne avrebbe il dovere, ha voluto mettere mano». Come funzionava il sistema? «Le aziende creditrici si rivolgevano al giudice, che ordinava il pignoramento presso terzi, cioè alla banca che svolgeva il servizio di Tesoreria per l’Azienda. L’istituto bancario però non trasmetteva all’Asp le minute delle fatture che pagava. È questa l’origine del famigerato “bilancio orale” che ha sconquassato tutto. L’Asp non negativizzava quel debito, che rimaneva sempre attivo, anche se i soldi se li erano presi».

Dietro ci sarebbe la «lobby» che, grazie ai mancati controlli e a qualche complicità nelle stanze delle Asp, avrebbe provocato una lievitazione spropositata di pignoramenti non regolarizzati. Che quando Gioffrè si è insediato, a marzo del 2015, ammontavano a «circa 400 milioni di euro», ai quali va aggiunto il resto del contenzioso. «Quando ho capito il meccanismo mi sono messo in testa di ricostruire il bilancio, per farlo però avevo bisogno di venti persone che esaminassero ogni tipo di pagamento fatto. E lì mi hanno fermato».

In nove anni 600 commissari ad acta

Questo fa capire perché nessuno, dal 2013, sia riuscito ad approvare il bilancio dell’Asp di Reggio, dove in due anni si sono insediati «ben 600 commissari ad acta per il recupero crediti». Gioffrè legge incredulo la relazione in cui un suo predecessore parlava – era il 2014 – di «quasi 349 milioni corrispondenti a mandati di pagamento effettuati ma non ancora contabilmente imputati e regolarizzati». Vi si aggiungeva che «nel passaggio di consegne dal vecchio al nuovo tesoriere non sarebbero state fornite le carte e tutto ciò che veniva pagato non veniva inserito nel sistema di contabilità».

Tutte fuori dal Piano di Rientro, Calabria esclusa

Questa sarebbe l’origine di un disastro debitorio che, negli anni successivi, sarebbe arrivato a sfiorare, solo a Reggio, il miliardo di euro. Tutto a causa di una «complicità verticale» che ha reso «marcio» l’intero settore. La controprova? Semplice: «Su 10 Regioni entrate in Piano di rientro ormai oltre un decennio fa 9 ne sono uscite. La Calabria invece rimane in questa condizione e rischia di non uscirne mai. Perché il Piano di rientro ha a che fare con la finanza e l’economia. I calabresi sono numeri».

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La sede della Regione Calabria a Germaneto

«Tutto ciò – conclude amaramente Gioffrè – ha prodotto un blocco delle assunzioni che ha fatto saltare due generazioni di professionisti e ha ridotto la capacità di dare risposte terapeutiche e di prevenzione. Con un aumento di mortalità pari al 4% rispetto alle regioni che non sono più in Piano di rientro. Non ci sono medici. C’è una sola università. Intanto paghiamo 330 milioni all’anno alle regioni del Nord per la mobilità passiva. Il sospetto che da Roma vogliano mantenerci in questa condizione sorge, eccome».

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