Reggio, Rem e Paul McCartney: che musica per Francesco Villari

La pandemia e le Cartoline rock che diventano un locale nella città dello Stretto. Una famiglia di storici e una passione per il giornalismo. Dal Mucchio Selvaggio a Repubblica

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Francesco Villari è andato via molto presto da Reggio: subito dopo il liceo. Arrivato a Roma, già durante l’università,  ha messo a frutto quella che era sempre stata la sua passione: il giornalismo musicale. A ICalabresi racconta il suo cammino. Che lo ha portato a intervistare big del rock. E collaborare con mostri sacri della musica leggera italiana.

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Francesco Villari, giornalista e scrittore di Reggio Calabria

 

Dove è nato il fuoco sacro per il giornalismo?

«Sono entrato nella prestigiosa Università della Musica, che era stata creata da due grandi maestri, Gino Castaldo ed Ernesto Assante. Lì si imparava concretamente a scrivere una recensione di un pezzo, di un disco o di un concerto. Il preside della facoltà era Gianfranco Salvatore, famoso etnomusicologo. Da subito, le opportunità erano tante: così ho cominciato con la rivista Tutti Frutti, che era la bibbia del giornalismo di cultura alternativa in quei primi anni Novanta. Da lì sono passato al Mucchio Selvaggio, Rumore e naturalmente anche la bellissima esperienza con Musica del quotidiano La Repubblica. Era un cammino a metà esatta tra il pratico e il teorico, al punto che dai nostri laboratori universitari è nata proprio la squadra che ha creato l’inserto del quotidiano, allora ancora guidato da Scalfari».

Quanto è durato il percorso lì dentro?

«Tre anni. Come un master post-universitario».

Quando ancora eri a Reggio e hai capito che questa doveva essere la tua strada, come l’hanno presa in famiglia?

«Io vengo da una famiglia che fortunatamente ha sempre avuto una maggiore apertura mentale, ma è chiaro che la “vena artistica” viene sempre vista con sospetto. La mia è una famiglia di storici, quindi ha vissuto di qualcosa di molto tangente all’arte. Rosario Villari si è occupato di storia moderna, Lucio di storia contemporanea, mio padre Nicola di storia del folklore. Quindi, come per discendenza spontanea, io mi occupo di storia della musica. Inizialmente mi hanno consigliato di approcciarmi a qualcosa di più concreto, già all’epoca si pensava che queste strade fossero un po’ complicate e nonostante questo io sono sempre stato un sognatore. Alla fine è andata anche bene».

All’inizio dove vivevi a Roma?

«All’inizio la classica vita del fuorisede calabrese a Roma: le prime case in comune con alcuni amici in zona Tiburtina e Prenestina, poi invece sono diventato pariolino».

Com’è iniziata la collaborazione con “Tutti Frutti”?

«È stata la mia prima esperienza. Cinquanta-sessanta recensioni di dischi a settimana. Poi anche tanti concerti. Erano gli anni del Palladium alla Garbatella, del Palaeur. All’epoca nascevano i Modena City Ramblers, i Bluvertigo, gli Almamegretta: la scena alternativa italiana era fiorente e io ero lì ad assistere. Poi l’intervista agli Oasis».

Paul McCartney

E sono arrivate anche le “trasferte”.

«Sì, per il Mucchio. La mia prima trasferta importante a New York nel 1994, per intervistare i REM, che ancora non erano famosi, sarebbero esplosi più avanti con l’album Out of time, ma in Europa ancora non li conosceva nessuno. Poi a Londra con Paul Mc Cartney, una leggenda davanti ai miei occhi. Abbiamo parlato del suo album Off the ground, che era appena uscito. La mitologia vera».

E i cantautori italiani?

«Sono arrivate le occasioni per intervistare anche loro. De André, De Gregori, Dalla, Battiato. Con Franco ho addirittura realizzato un disco, in collaborazione con il Banco del Mutuo Soccorso. Si intitolava Imago Mundi».

Hai continuato anche con “Rumore”. Esperienze di rilievo?

«L’intervista con Roger Taylor, batterista dei Queen. Anche gli Spearhead di Michael Franti, un gruppo hip hop molto interessante, crossover tra i generi».

Francesco Villari, quale è stato l’incontro più strano?

«Senza dubbio quello con Fish dei Marillion. Lui era completamente sbronzo. Paolo Maiorino, un caro amico dirigente della Emi dell’epoca, mi chiese se avevo bisogno di un traduttore. Io mi piccai perché pensavo di non averne bisogno. Dopo capii il perché. Fish era un boscaiolo scozzese, era come se parlasse un sardo. Facevo finta di capire tutto. Così mi sono dovuto inventare l’intervista. Lo so che non si dovrebbe dire. Ma è quello che ho fatto, tanto ormai non mi possono più radiare. Però il giorno dopo mi chiamò l’ufficio stampa del cantante per farmi i complimenti».

A un certo punto qualcosa cambiò nell’editoria musicale.

«Musica ha cominciato a uscire autonomamente ma non ha funzionato. Le altre riviste e gli altri giornali stavano cambiando molto rapidamente, diventando le “fanzine” prezzolate dalle case discografiche. Non si scriveva più di un disco che piaceva davvero, ma lo si faceva per far piacere a loro. Ho cominciato a fare produzione, altre cose. Poi, per motivi sentimentali, sono tornato a Reggio nel 2012».

E com’è iniziata la nuova avventura di “Cartoline Rock”?

«Non potevo rinunciare alla musica e alla scrittura musicale. Così è nata la pagina Facebook (che oggi ha quasi settemila iscritti), mi serviva come sfogo per continuare a seguire la mia passione ma all’inizio non pensavo che il mezzo dei social media potesse avere così tante potenzialità di diffusione. Poi invece si è creata una bellissima rete, con Castaldo, Assante e anche con Carlo Massarini, poi Gegé Telesforo, Ellade Bandini e tanti altri. A un certo punto questa comunità spontanea è cresciuta un po’ anche per la dimensione “forzata” online (eravamo ancora in piena pandemia) con un megaevento alternativo il Primo Maggio del 2020, realizzato dagli studi di Radio Touring 104».

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Vota Jim Morrison e Jimi Hendrix, la “campagna elettorale” di Cartoline rock

E così hai capito che volevi uscire dal guscio virtuale?

«Sì, ho capito che questa comunità voleva guardarsi in faccia, erano stati anni complicati. Così ho creato Cartoline Club. Una specie di hang out di Cartoline Rock: ho cominciato a organizzare eventi musicali, di letteratura, cinema, teatro, stand up comedy. Il locale, prima nella zona di via Aschenez (al centro di Reggio). D’estate abbiamo avuto la nostra appendice Cartoline beach club, su una terrazza sul mare in zona Pentimele e da poco abbiamo una nuova sede più grande, in via Friuli (zona Parco Caserta)».

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Cartoline Club a Reggio Calabria

Che oggi è un locale a tutto tondo.

«Sì, facciamo musica live, di tutti i generi. 140 eventi ad oggi. Per iscriversi al circolo bastano 5 euro al mese e si può pagare con una o due annualità. Coinvolgiamo già una serie di artisti che vengono da un po’ tutta la Calabria. Facciamo anche serate di reading di poesia e letteratura, presentazioni di libri rassegne cinematografiche, la stand up comedy curata dal direttore artistico Rocco Barbaro. La rassegna jazz e quella blues. Poi c’è Rock Tales, curata da me con il chitarrista Salvatore Familiari e con la pittrice Luisa Malaspina che dipinge dal vivo. Ogni volta analizziamo un tema diverso affrontato dal rock, attraverso un filo conduttore di canzoni che ne hanno parlato. C’è un bar con piccola ristorazione all’interno, così ci si può anche fermare a consumare qualcosa. Non manca niente al Cartoline Club!».

La pittrice Luisa Malaspina dipinge dal vivo al “Cartoline Club” di Reggio Calabria

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