Oggi è consigliere comunale di Napoli, ma Antonio Bassolino ne è stato sindaco per due mandati consecutivi. Deputato alla Camera per due legislature nel gruppo PCI-PDS, poi ministro del Lavoro e della Previdenza sociale nel primo governo D’Alema, presidente della Regione Campania per due mandati di fila. Già esponente del PCI, del PDS e dei DS, è stato tra i fondatori del Partito Democratico, che ha in seguito abbandonato nel 2017.
Viviamo tempi drammatici. Da due mesi, nel cuore dell’Europa è tornata la guerra, con l’aggressione della Russia all’Ucraina. Cosa cambierà questo terribile conflitto nelle relazioni internazionali e nelle nostre vite?
«L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è un fatto molto grave. Bisogna sempre usare un linguaggio di verità: siamo di fronte all’aggressione di un paese libero e sovrano da parte di un altro. Bisogna fare ogni sforzo perché si ponga fine al conflitto armato e si affermi la strada del negoziato e della pace. Più forte deve dunque essere il ruolo dell’Europa che proprio in questa tempesta ha di fronte a se stessa il compito di ripensare e rilanciare il suo ruolo e di cominciare finalmente a dare vita ad una propria e comune politica estera e di difesa».

Con la pandemia l’Europa ha impresso un passo di accelerazione, con la decisione di varare un programma di rilancio con risorse comuni, anche indebitandosi sul mercato finanziario. Stiamo cogliendo questa opportunità, come europei, come italiani e come meridionali?
«Sulla pandemia l’Europa è riuscita ad andare oltre le politiche di austerità degli anni scorsi e a varare impegnativi programmi di investimenti sul terreno dello sviluppo e nel campo sociale. È un passo in avanti, ed ognuno deve fare la sua parte. Per un paese come il nostro, in particolare per il Mezzogiorno, è una grande opportunità. La sfida è tutta aperta ed è in corso. Dalla capacità delle istituzioni, delle forze politiche e sociali di saperne essere all’altezza dipende in gran parte il futuro del nostro paese».
Ma il PNRR riesce a cogliere e ad esprimere tutte le esigenze di trasformazione che sono necessarie per il rilancio delle regioni meridionali?
«È necessario considerare il PNRR assieme alle altre risorse europee e alle nostre scelte nazionali. Questo vale soprattutto per il nostro Sud. Saper utilizzare tutte le risorse disponibili è fondamentale anche per creare un ambiente favorevole all’attrazione e all’impegno di capitali imprenditoriali privati. Sono dunque indispensabili una piena collaborazione tra tutte le istituzioni nazionali, regionali e comunali e, aggiungo, un clima che consenta la nascita di un patto sociale e per lo sviluppo con le forze produttive e sindacali».
Nella politica nazionale si sta manifestando quella maturità necessaria per comprendere che senza la ripresa del Mezzogiorno non potrà ripartire l’economia del nostro Paese?
«Soltanto in parte, ed invece è proprio questa la questione fondamentale. È nel Mezzogiorno la principale chiave di volta per consentire a tutto il paese di fare il salto necessario valorizzando tante potenzialità ancora inespresse. È nel Nord che deve davvero e fino in fondo maturare questa convinzione: mai come ora è nei prossimi anni il destino del paese è legato da un filo unitario. Spetta poi a noi meridionali far crescere questa consapevolezza con l’esempio di buone pratiche istituzionali ed amministrative e stare attenti a non far diffondere illusioni sudiste perché noi abbiamo di sogno di un Nord forte così come il Nord ha bisogno di un Sud molto più forte di quello di oggi».
Sono passati tre quarti di secolo dalla nascita della Cassa per il Mezzogiorno. Quanto hanno pesato nei decenni recenti la fine dell’intervento straordinario nel Sud e l’arretramento della industria pubblica nel ripiegamento delle regioni meridionali?
«La Cassa per il Mezzogiorno ha avuto fasi diverse. All’inizio – e per tutto un periodo – è stata una scelta significativa, il tentativo di portare anche in Italia il meglio delle teorie e delle esperienze anglosassoni in materia di paesi in via di sviluppo.
Fu così che si realizzarono interventi di rilievo nelle campagne e in molte città meridionali. E fu così che via via si affermava anche una industria pubblica. Poi però da fattore positivo la Cassa è andata via via cambiando negativamente nella sua funzione fino alla sua crisi e alla sua scomparsa.
Resta oggi il tema di un necessario coordinamento tra il livello nazionale delle politiche per il Mezzogiorno e le istituzioni meridionali per superare il doppio rischio del centralismo e del localismo».
Nel Mezzogiorno, ma ormai nell’intero Paese e nel mondo, si sono radicate le forze della criminalità organizzata, che hanno impresso il marchio del proprio potere economico e sociale nei nostri territori. Come possiamo tornare a combattere con decisione le forze criminali che condizionano ed inquinano anche la politica nei territori?
«La mafia, la ‘ndrangheta e la camorra sono il nostro principale nemico, un nemico interno, che vive in mezzo a noi. Queste potenze criminali vivono dentro l’economia e la società e cercano sempre di penetrare nella vita delle istituzioni e dello Stato. È dunque su tutti i terreni che dobbiamo condurre questa battaglia: su quello politico-istituzionale e su quello culturale e civile. Una grande prova viene oggi dal PNRR e dagli altri finanziamenti: impedire alla mafia e alla camorra di metterci sopra le mani è determinante per costruire un nuovo futuro per le nostre terre».
Quanto pesa nel malfunzionamento delle istituzioni un federalismo sbilenco che ha indebolito il governo centrale senza rafforzare quelli territoriali? Come si esce da questa frammentazione? Quanto può danneggiare il Mezzogiorno questa architettura istituzionale?
«Durante la pandemia si è prodotto uno sbilanciamento nei rapporti tra le istituzioni: il governo nazionale e i comuni hanno deciso di non utilizzare pienamente i loro poteri e le Regioni hanno visto accrescere le loro responsabilità e funzioni.
Si è trattato in gran parte di scelte che si sono rese necessarie per contrastare la diffusione e la pericolosità del Covid. Ora è tempo di ripristinare giusti rapporti tra le principali istituzioni (governo, regioni, comuni) e di puntare soprattutto sulla doverosa sinergia tra i poteri della Repubblica».