Lorenzo Rossi è un divulgatore scientifico. Romagnolo, studioso e ricercatore, è coordinatore e responsabile nel Museo di scienze naturali di Cesena. Il suo canale Youtube, CriptoZoo, è seguitissimo. In poco tempo ha richiamato più di 22mila follower che crescono con un ritmo di mille al mese. In esso racconta verità scientifiche sulle creature misteriose, gli animali forse estinti o forse no, che abiterebbero ancora in remote zone del pianeta. Così, per una forma di ribaltamento del ruolo, il grande esperto di mostri marini, yeti e big foot è divenuto il più temuto avversario di chi crede nella loro esistenza.
Nei suoi video su Youtube, partendo dalla storia degli avvistamenti di questi “criptidi”, documenta e confuta in modo minuzioso il carattere solo fantastico di tanti presunti incontri ravvicinati. A Cosenza negli ultimi anni è venuto due volte per presentare i suoi libri. Ad accoglierlo e ascoltarlo si è radunato un nutrito pubblico composto da bambini, mattacchioni, docenti universitari, curiosi e appassionati di criptozoologia. Gli intrecci tra antropologia, storia, paleontologia, mitologia e scienze naturali rendono piacevole e interessante ogni suo racconto che così stimola lo studio e l’approfondimento interdisciplinare. Lorenzo ha con la Calabria un rapporto molto sentimentale.
In un suo viaggio in Sila, pochi anni fa, ha indagato sugli avvistamenti di una specie ritenuta estinta in quest’area geografica. Cosa ha scoperto?
«Ero interessato a delle storie sulla presenza della lince. Mi era stato riferito che in una macelleria di San Giovanni in Fiore, fino a qualche decennio fa, era esposta una lince imbalsamata e che sarebbe stata abbattuta nella Sila greca. Ho trovato riscontro, ma nessuna prova. In macelleria mi hanno detto: “Sì, sì, avevamo questo reperto, ma purtroppo dopo la morte di nostro padre abbiamo buttato via molti degli oggetti che gli erano appartenuti, tra i quali anche quella lince impagliata”».
Perché è attratto dalla Sila?
«La Sila e le foreste casentinesi sono a mio avviso i luoghi più belli da un punto di vista dell’interesse naturalistico in Italia. Ed è molto affascinante non solo per la presenza del lupo, che è diventata iconica, ma anche per il ritorno della lontra in alcune zone».
Ci sono state segnalazioni confermate?
«Sì, la lontra è una specie in espansione ed è presente, per esempio, nel fiume Lese. Può arrivare anche a vivere in bacini artificiali».
Anche nei tre laghi artificiali, Cecita, Arvo e Ampollino?
«Sì, al Cecita è stata segnalata».
È significativo, perché se l’aria della Sila è accreditata come la migliore d’Europa, purtroppo pare che l’acqua dei bacini artificiali sia molto contaminata.
«Fino a poco tempo fa la lontra era un indicatore della qualità dell’acqua. Oggi invece si è notato che pur di sopravvivere riesce a insediarsi in luoghi che sono gli ultimi in cui ti aspetteresti di trovarla. Se finiscono gli spazi a lei congeniali, prova a vivere dove può. Non ho elementi conoscitivi sulla qualità dell’acqua in questi laghi. È tuttavia un buon segnale che la lontra ci sia. Anche se le condizioni del lago non sono ideali, è comunque migliore di altri contesti acquatici, se questo animale decide di abitarvi».
Qualche anno fa, a proposito dei ricorrenti avvistamenti di una strana creatura sul Pollino, “lu scurzune ccu li ricchie” (il serpente con le orecchie), ha fornito una spiegazione molto attendibile e interessante. Potrebbe esporla?
«Molte di queste storie riguardano tutto l’arco alpino e quello appenninico. Tanti avvistamenti di “serpente baffuto” o “serpe-gatto” possono nascere dalle osservazioni della lontra. È un animale che vive per la maggior parte del tempo in acqua. Se la osserviamo nell’atto di nuotare, col pelo liscio, lucido e nero, può sembrare un grosso serpente. Quando cammina a terra, si muove spostandosi a balzi. Un tratto che viene descritto a proposito di questi presunti strani serpenti con le orecchie e i baffi sarebbero i fischi. E sappiamo che la lontra li emette».
Sul Pollino alcuni dicono che vivano lungo i fiumi e scavino le tane lungo le sponde. Sappiamo che anche la lontra si comporta così, quindi diventa abbastanza compatibile con gli avvistamenti. È normale che quando una figura entra nell’immaginario, sebbene la sua presunta esistenza si basi su qualcosa di reale, poi prende vita a sé».
C’è anche chi ha ipotizzato che i serpenti, quando fanno la muta, possano avere delle scaglie sulla testa ed essere quindi scambiati per animali sconosciuti.
Sì, ma la mia idea è che la base reale di questi avvistamenti sia la lontra».
Tra i suoi studi recenti, uno dei più interessanti riguarda l’estinto lupo siciliano. Era simile ai lupi della Sila e del Pollino?
Su questa popolazione l’ultimo studio sui genomi completi è ancora in corso e lo sta conducendo l’università di Copenhagen. Sembra che il lupo siciliano derivi dalla popolazione appenninica. Alla fine dell’era glaciale, il ponte di terra tra Calabria e Sicilia si interruppe ed è probabile che gli ultimi esemplari di questo lupo proveniente dalla Calabria siano rimasti isolati laggiù. Così, in questi 20mila anni, si sono differenziati anche visibilmente. Il lupo siciliano era più piccolo di quello appenninico e privo delle strisce nere sugli avambracci. Anche il suo colore risultava molto particolare».
Come nasce l’interesse per il lupo siciliano?
Tutta la nostra ricerca è iniziata perché per caso ci siamo imbattuti nei diari di un naturalista siciliano, il Minà Palumbo, che descriveva i lupi siciliani di un colore “lionato”, cioè quello del leone. I lupi dell’Appennino non hanno questo colore. Quindi siamo andati a cercare gli esemplari imbalsamanti nei vari musei italiani. Ce ne sono pochissimi. Uno al museo della Specola di Firenze, uno al museo di scienze naturali di Palermo, uno al museo di Termini Imerese e due al museo di Terrasini. Questi lupi sono gialli. Al museo della Specola hanno conservato anche il cartellino, scritto a suo tempo da un grande studioso delle scienze naturali italiane, Enrico Giglioli: “Esemplare mirabilissimo per la mancanza delle strisce negli avambracci e per il colore giallo chiaro”. Quindi già nell’800 aveva intuito queste differenze».
Gli studi sul lupo a quale periodo risalgono?
Non è mai stato studiato in Italia in modo approfondito, fino agli anni Sessanta, quando nell’Appennino iniziò a estinguersi. Nel frattempo, già dagli anni Trenta, il lupo siciliano si era estinto. Noi abbiamo descritto questa nuova sottospecie, denominandola Canis lupus cristaldii, in onore di un professore siciliano di anatomia comparata, Mauro Cristaldi. Adesso aspettiamo la conferma degli studi sul Dna, perché non tutti sono d’accordo sul fatto che si tratti di una sottospecie».
Ogni tanto i cacciatori sostengono di aver avvistato delle linci tra i boschi dell’Aspromonte. È verosimile che ne esistano ancora in Calabria oppure questo animale qui si è estinto?
Già affermare che “esistono ancora” sarebbe un passo grande. Il problema di base è se siano mai esistite in epoca storica. Da quel che sappiamo, empiricamente gli ultimi resti di lince risalgono all’età del bronzo. C’è però una sterminata bibliografia di naturalisti italiani e stranieri, che riportano resoconti, in Calabria, come in altre regioni attraversate dall’Appennino, sulla presenza di un animale che viene chiamato a volte “gattopardo”, altre “lupo cerviero”, “felipardo”, lonza”, descritto come una lince. Da qui nasce l’ipotesi affascinante sulla sopravvivenza di questa specie fino all’800 o addirittura all’inizio del ‘900. Una ricerca è stata effettuata anche dal già direttore del parco d’Abruzzo, Franco Tassi. Purtroppo sono state raccolte testimonianze, toponimi, riferimenti, ma mai una prova fisica concreta».
L’ha cercata solo a San Giovanni in Fiore?
No, sono stato anche in un bar nei pressi del lago Arvo, dove un carabiniere mi aveva rivelato d’aver visto un’altra lince imbalsamata».
E c’era davvero?
Ho trovato il bar e prima di entrare ho scattato una foto e l’ho mandata al carabiniere per verificare che fosse proprio quello. Lui mi ha risposto di sì. Allora sono entrato nel bar, ma si trattava di un gatto selvatico imbalsamato. Gli ho chiesto prima se il bar fosse quello, perché altrimenti avrebbe potuto dire che effettivamente era un gatto selvatico ma si trattava di un altro bar».
Non si fidava del testimone?
Certo che mi fidavo! Però so che i ricordi, a volte, cambiano nella nostra mente».
Dopo il ritrovamento dei resti di Elephas antiquus sulle sponde del lago Cecita, lo studioso Domenico Canino ha ravvisato dei collegamenti con “l’elefante di Campana”, il megalite che a pochi chilometri dal lago sarebbe stato scolpito da una misteriosa civiltà, migliaia di anni fa. Lei non è d’accordo. Perché?
Finché non sono d’accordo io, non è importante, però esiste un’intera comunità scientifica che ritiene l’elefante della Sila niente più e niente meno di una roccia erosa dalle condizioni atmosferiche. Non c’è una pubblicazione scientifica a sostenere che questa pietra sia stata scolpita da mano umana. Chi promuove una tesi contraria dovrebbe produrre una pubblicazione che indichi questa possibilità. Nutro grande rispetto nei confronti dell’architetto Canino. Io però questo elefante non ce lo vedo. La specie in questione si chiamava elefante “dalle zanne dritte”, ma ciò non significa che le avesse come quelle del monolite di Campana. E poi c’è un problema: quando sarebbe stato scolpito?».
Però sulle rive del lago Cecita è stato scoperto il fossile di un elefante.
Ma se nei pressi di Loch Ness io scopro resti di plesiosauro, non vuol dire che ci sia questa specie. Significa che 65 milioni di anni fa i plesiosauri ci furono, ma all’epoca il lago nemmeno esisteva. Non basta dire che se c’è il fossile di quell’animale, nei paraggi qualcuno lo abbia potuto scolpire, perché il fossile risale a un’era in cui non esisteva una civiltà capace di farlo. Dunque sicuramente non si può affermare che quell’animale sia servito da modello quando era vivo».
Si potrebbe, piuttosto, ipotizzare che qualcuno lo abbia scolpito ispirandosi ai fossili?
Sì, c’è però un problema: ricostruire con precisione un animale dai resti fossili non è stato mai facile, tantomeno lo fu nel passato remoto. Determinante è la data di estinzione. Canino sostiene che questo elefante si sarebbe estinto 12mila anni fa. In realtà, in Europa si estinse molto prima, da 50 a 34mila anni fa. Se un giorno scoprissimo che invece si è estinto poche migliaia di anni fa, cambierebbe tutto».
Ci sono altre sculture simili nel resto del mondo?
Mi vengono in mente, per esempio, quelle di Göbekli Tepe, in Turchia. Sono datate dai 9500 agli 8mila anni fa. Un elefante in Sila, che anticipi questa civiltà, non lo vedo probabile. Se si dimostra, sarebbe una scoperta incredibile. Però mi chiedo: una civiltà così avanzata avrebbe mai potuto lasciare tracce di questo tipo, senza che di essa rimanesse nient’altro?».
Nel libro “Guida alla Calabria misteriosa”, lo scrittore Giulio Palange riporta le voci popolari sull’improbabile coccodrillo avvistato lungo le sponde del fiume Crati, in contrada Soverano a Bisignano, in provincia di Cosenza. Lei ha sempre confutato, dati alla mano, l’esistenza del cosiddetto mostro di Loch Ness in Scozia. Nel 2006, ha effettuato un sopralluogo in Mongolia settentrionale per studiare di persona le misteriose tracce sulla sabbia, lasciate da una creatura non identificata lungo le sponde del lago Hargyas Nuur. Rispetto a quest’ultimo caso, è più possibilista?
Che tristezza! A due giorni di viaggio dal lago, fui costretto a tornare indietro, perché mi ammalai e stavo malissimo. È molto grande e pescoso. Potrebbe quindi ospitare grossi animali. Nessuno ha indagato ulteriormente queste tracce. Potrebbe trattarsi dei lastroni di ghiaccio che sospinti dal vento approdano a riva. Comunque, se dovessi cercare dei mostri nei laghi, è lì che andrei».
Un paio di anni fa, ha curato la pubblicazione di un libro, non ancora tradotto in italiano, che raccoglie diversi saggi di scienziati e ricercatori sul rapporto tra umanità e resto del regno animale. Il tema è di grande attualità, in tempo di sindemia e zoonosi. Il libro era stato pensato prima del 2019?
Il titolo è “Problematic wildlife, volume 2”. Quando ci si occupa di ambiente, conservazione, rapporto tra fauna e animali, qualche previsione si può fare. Questa pandemia non è stata una sorpresa. Sapevamo che sarebbe arrivata dalla Cina. La gente comune non ascolta finché non è troppo tardi e poi è capace di negare persino l’evidenza. Siamo in ritardo atroce sulle pandemie, sul riscaldamento globale e su tante altre problematiche».
Sta lavorando a un nuovo libro?
Sì, racconterò i motivi storici che hanno spinto negli anni Ottanta alcuni studiosi ad effettuare ricerche su dinosauri ancora vivi in Africa. Può sembrare molto buffo. In realtà ci sono serie motivazioni storiche alla base di quelle ricerche. Mi piace parlare del rapporto tra la pseudoscienza e la scienza. Sarà un viaggio tra i dinosauri, quasi senza parlare di loro».