Immaginate un’anima forgiata nel silenzio contemplativo delle antiche biblioteche agostiniane, dove il sussurro delle pagine sfogliate si mescola alla ricerca interiore della Verità. Da queste profonde radici, nutrite dalla linfa sapienziale di Sant’Agostino, emerge la figura di Leone XIV, il cardinale Robert Francis Prevost, ora chiamato a vestire il bianco abito papale. Il suo motto, “In illo uno unum” – “In quell’uno siamo uno” – non è semplice epigrafe, ma il respiro stesso di una vita spesa nella comunione, un eco che dalla quiete del chiostro si proietta ora sul mondo.
Da missionario in Perù fino al soglio di Pietro
Sentite il vento arido e le speranze tenaci del Perù, terra che lo ha visto missionario per lunghi, decisivi anni. Là, dove le Ande si ergono come giganti silenziosi e le periferie pulsano di una vita indomita, la sua vocazione si è temprata. Immaginate i villaggi remoti, le comunità strette attorno alla fiamma della fede in tempi difficili, segnati da ombre e incertezze. È in quel crogiuolo di umanità e sfida che si è scolpito il pastore, l’uomo capace di ascoltare il grido inespresso, di farsi ponte tra le rive scoscese dell’esistenza. La cittadinanza peruviana, più che un dato anagrafico, è un sigillo impresso nell’anima, testimonianza di un cuore che ha imparato a battere al ritmo di un altro popolo, di una Chiesa altra.

Ora, quella stessa talare bianca, simbolo universale di una vita trasfigurata e donata, avvolge le sue spalle. Non è solo un paramento, ma un vessillo di nuova luce, un invito a guardare oltre. E dalle sue prime parole, come da una sorgente a lungo attesa, fluisce l’urgenza della missionarietà, non come conquista, ma come abbraccio; della pace, non come tregua, ma come armonia faticosamente costruita; della sinodalità, quel camminare insieme, polifonia di voci unite nella stessa direzione.
Prevost e e i “piccoli principi”
Egli è descritto come un convinto sostenitore dell’enfasi di Papa Francesco sulla sinodalità, vedendola come uno strumento per affrontare la polarizzazione all’interno della Chiesa. Immagina vescovi non come “piccoli principi”, ma come pastori umili, vicini al popolo, pronti a camminare e soffrire con esso.
Certo, l’orizzonte non è privo di nubi. Le complessità del presente avvolgono la Chiesa come una fitta nebbia, un intrico di sfide che potrebbero risucchiare energie e speranze. Ma chi ha conosciuto la solitudine feconda della missione e la complessità della Curia Romana – quel delicato ingranaggio al cuore della Chiesa universale, dove ha operato come Prefetto del Dicastero per i Vescovi – porta con sé una bussola interiore affinata. La sua esperienza transcontinentale, la sua anima intrisa di due mondi, l’americano e il peruviano, lo rendono interprete privilegiato di un cattolicesimo plurale, un tessitore di dialoghi possibili.

Prevost e il nome: Leone
E poi, il nome: Leone. Una scelta che è di per sé un programma, un faro che illumina il cammino. Impossibile non scorgervi un omaggio e una profonda fonte d’ispirazione nel suo grande predecessore, Papa Leone XIII. Quel Leone che, in un’epoca di sconvolgimenti non meno profondi dei nostri – segnata dalla perdita del potere temporale, dall’ascesa di nuove ideologie e dalle sfide dell’industrializzazione – seppe guidare la Chiesa con acume strategico e coraggio profetico.
Con la “Rerum Novarum”, Leone XIII non solo affrontò la questione operaia, ma gettò le fondamenta della Dottrina Sociale della Chiesa, dimostrando come la fede cristiana potesse e dovesse dialogare criticamente e costruttivamente con le istanze della modernità. Papa Leone XIV, scegliendo questo nome, sembra voler attingere a quella stessa vena di saggezza pastorale e intellettuale, per una Chiesa che non si ritrae dal mondo, ma vi si immerge per illuminare le “res novae”, le cose nuove e spesso tumultuose del nostro oggi.

Strategie di unità
Di fronte a una Chiesa che talvolta manifesta le fatiche della divisione, la figura di Leone XIV si profila con una peculiare “forza gentile”, un amalgama di ascolto profondo, pragmatismo e una visione saldamente radicata nella sinodalità. Echi dell’approccio leonino del suo illustre predecessore sembrano risuonare nelle strategie che potrebbe adottare per ricucire gli strappi e rimettere in cammino l’intero popolo di Dio.
Al centro della sua strategia vi è, senza dubbio, l’impulso deciso verso una sinodalità vissuta. Considerata da lui non come mero slogan, ma come via maestra per affrontare le polarizzazioni interne, Leone XIV potrebbe promuovere processi consultivi e partecipativi a ogni livello ecclesiale. Le sue note “attente capacità di ascolto, capacità di sintetizzare questioni complesse e interrogativi giudiziosi” sarebbero il motore di questo stile, trasformando le divergenze da ostacoli a occasioni di confronto fecondo. Il suo “approccio discreto e riflessivo” potrebbe favorire un clima meno urlato e più incline alla costruzione paziente del consenso.
Una pastoralità vicina alle persone
Una seconda direttrice si delinea nel rafforzamento di una leadership pastorale di prossimità. La sua visione di vescovi che rifuggono ogni tentazione di potere principesco per farsi autenticamente “umili, vicini alle persone che servono, camminando e soffrendo con loro”, se diffusa e incarnata, ha il potenziale di ricostruire la fiducia dal basso. Il suo stesso ruolo di “creatore di vescovi” sotto il precedente pontificato ha mirato a promuovere “nomine più sinodali, pastori vicini al popolo e meno concentrati sui titoli ecclesiastici”. Questo richiama l’impegno di Leone XIII nel ridefinire l’influenza papale attraverso strumenti morali e pastorali, più che temporali.

La grande esperienza internazionale di Prevost
La sua identità bi-nazionale e la vasta esperienza internazionale rappresentano un capitale prezioso. Leone XIV potrebbe agire come un “ponte vivente” tra le diverse culture e sensibilità che compongono il mosaico cattolico globale. Questa capacità di comprendere e valorizzare le legittime diversità, anziché temerle, è una chiave per superare le incomprensioni. Come Leone XIII si adoperò diplomaticamente per migliorare le relazioni con Stati diversi e risolvere conflitti, così il nuovo Leone potrebbe usare la sua esperienza interculturale per tessere nuove trame di unità.
Nel segno di Bergoglio, in maniera “pragmatica”
Un’altra strategia potrebbe risiedere nel suo essere un “successore pragmatico”. Pur mantenendo la “sostanza” delle aperture del suo predecessore, una leadership “più pragmatica, cauta e discreta” potrebbe rassicurare chi teme derive o accelerazioni eccessive. Questo approccio misurato, che non teme il silenzio riflessivo su alcune questioni “calde”, ricorda la prudenza diplomatica con cui Leone XIII seppe affrontare le complesse realtà politiche e sociali del suo tempo, cercando il dialogo critico piuttosto che la condanna indiscriminata.
Prevost alla ricerca dell’unità della Chiesa
Infine, l’insistenza di Prevost sulla missione e su una “Chiesa povera per i poveri” potrebbe fungere da catalizzatore di unità. Orientare le energie della Chiesa ad extra, verso le sfide del mondo e il servizio ai più bisognosi, spesso aiuta a ridimensionare le contese interne, unendo le diverse componenti attorno a obiettivi evangelici condivisi. La “gioia” e il “buon umore” che, come ricordano i suoi collaboratori, sa mantenere anche in mezzo ai problemi, possono infondere speranza e stemperare le tensioni, manifestando quella “forza gentile” capace di disarmare e ricomporre.
Il vento nuovo che arriva
Ascoltate, dunque, il vento nuovo che spira su Roma. È il vento della speranza agostiniana, il vento caldo della missione peruviana, il vento del dialogo e della fraternità. È il vento di Leone XIV, chiamato a tracciare un solco di luce nel cuore di questo tempo, ispirato dalla lungimiranza del grande Leone XIII e armato della forza mite di chi sa che l’unità è frutto paziente di ascolto, servizio e cammino condiviso.
Tommaso Scicchitano