Vent’anni di solitudine: l’ex Sin e la bonifica che non si fa mai

A novembre saranno passati due decenni dall’inserimento della zona di Crotone, Cerchiara e Cassano tra i siti più inquinati del Paese. Da allora non è successo quasi nulla nonostante i pericoli per la salute pubblica

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Cinquantaquattro conferenze dei servizi dopo, non è successo niente. Seguire le notizie sul Sin di Crotone può far venire un senso di nausea e ridondanza. Una serie infinita e sfiancante di proclami, promesse non mantenute, tavoli di discussioni mai conclusi, attese. E una tragica mancanza di progettualità, di visione del futuro per una zona immobile da troppo tempo.

Il prossimo 26 novembre la città festeggerà un triste anniversario. Saranno 20 anni da quando l’ex zona industriale tra Crotone, Cerchiara e Cassano dello Ionio è finita nell’elenco dei Siti d’Interesse Nazionale. Sotto questo titolo si raggruppano le aree più inquinate del nostro Paese, contaminate ad un livello tale da essere un rischio per la salute umana.
Pezzi d’Italia compromessi da sostanze nocive, che hanno bisogno di interventi di bonifica profondi prima di tornare alla comunità, quando è possibile farlo.

Lo sviluppo che contamina

A Crotone il sito più inquinato è stato il motore dello sviluppo economico per molti anni, dagli anni ’20 fino agli inizi degli anni ‘90.
Un’illusione di crescita, in un luogo dove ora è tutto completamente fermo, improduttivo e contaminato. Una mancanza dal quale non è riuscita più a riprendersi.

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Paolo Asteriti (WWF)

«La città ha perso tutta la sua economia, basata sulle industrie, e ancora non si capisce cosa succederà su quel terreno di fronte al mare», ci spiega, con tono rassegnato, Paolo Asteriti, segretario provinciale del WWF, una delle tante associazioni ambientaliste presenti a Crotone che sta lottando per tenere alta l’attenzione sul tema delle bonifiche.

Metalli pesanti

Con il Sin di Crotone ci riferiamo, soprattutto, a 530 ettari di terreno che costeggiano lo Ionio poco al di fuori della città. Una grossa ex area industriale, legata al reparto chimico e al trattamento dei rifiuti, con una buona presenza di industrie alimentari. Gli impianti principali appartenevano all’ex Pertusola. In quegli stabilimenti si fabbricava soprattutto lo zinco: è stata la più grande fabbrica della Regione, fin quando è stata operativa. Inoltre, la zona comprende gli stabilimenti della ex Fosfotec, la ex Agricoltura, e la ex Sasol Italia/ex Kroton Gres.

«Crotone è stata un’area particolarmente importante per tutta Europa per la produzione dello zinco dalle blende, nella zona dell’ex Pertusola. Però, è emersa la presenza di contaminazione legata alle industrie della produzione dell’acido fosforico, di ammoniaca e così via. Una sorta di contaminazione mista, legata soprattutto al tema dei metalli pesanti» ci spiega Mario Sprovieri, dirigente di ricerca del CNR e responsabile scientifico del progetto Cisas, il Centro Internazionale di Studi Avanzati su Ambiente, Ecosistema e Salute umana.

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Mario Sprovieri

Tra le tante cose, il centro ha portato avanti il progetto SENTIERI, lo studio epidemiologico più completo sui siti d’interesse nazionale, volto a monitorare gli impatti delle sostanze inquinanti sulle popolazioni circostanti. Stando alle rilevazioni, gli inquinanti presenti nel terreno e nel mare di Crotone sono soprattutto cadmio, zinco, piombo e arsenico: la zona del porto, inoltre, ha registrato alti livelli di mercurio, cromo e rame, così come di DDT2.

Le bonifiche e la mappatura del Sin di Crotone

Oltre alle aree industriali, il Sin di Crotone comprende una discarica e la fascia costiera, altri 1469 ettari di territorio da bonificare che si trovano a mare, tra la foce del fiume Passovecchio, a nord, e l’Esaro a sud. Una stima ottimistica, secondo gli esperti del Cnr. Infatti, ci spiega ancora Sprovieri, il Sin di Crotone ha una particolarità: a causa della conformazione costiera, forti eventi alluvionali possono «trasportare contaminanti presenti nell’area portuale, più contaminata rispetto alle altre, nelle aree più offshore».

Crotone è circondata da colline di argillose che la dividono in due. © copyright Agostino Amato

Il Sin, comunque, non si ferma a Crotone: l’area si estende anche ai comuni di Cassano allo Ionio e Cerchiara, dove si trovano tre discariche. Il quadro, però, non è completo. Secondo il report di Legambiente Liberi dai veleni del 2021, la mappatura del Sin è ancora al 50%. Di questa porzione, le bonifiche riguardano solo il 13% dei terreni, e l’11% dell’area marina. Praticamente niente.

Una città ferita

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Queste palazzine di edilizia popolare (Aterp) nella periferia di Crotone fanno parte dei siti “altamente contaminati”. © copyright Agostino Amato

La contaminazione non si ferma alla sola area del Sin. Nel settembre nel 2008, con l’operazione “Black Mountains”, è venuto fuori che dagli anni ’90 gli scarti industriali dell’ex Pertusola, sono stati mescolati con materiali edili, utilizzati per le costruzioni in varie parti della città. «Il cubilot veniva regalato alle ditte, che lo prendevano, probabilmente ignare della tossicità», continua Asteriti.

Questa miscela forma il Conglomerato Idraulico Catalizzato. Lo hanno utilizzato per costruire gli alloggi popolari “Aterp” nei quartiere Lamparo e Margherita, la scuola San Francesco ma anche per costruire vie, strade e persino il parcheggio della Questura.

La questura di Crotone fa parte dei siti contaminati, come ricorda il cartello “Attenzione accertata la presenza nel sottosuolo di materiali che, se privi di copertura, potrebbero rivelarsi nocivi per la salute…” © copyright Agostino Amato

Assoluzioni e prescrizioni

Nonostante la scoperta, l’inchiesta s’è conclusa nel 2012 senza produrre alcun colpevole tra i dirigenti delle aziende coinvolte. Sia il gup di Crotone che, successivamente, la Corte di Cassazione hanno prosciolto tutti i 45 indagati, per i reati di disastro ambientale e avvelenamento delle acque. I reati legati alle discariche abusive, invece, sono caduti tutti in prescrizione.

La questione del Sin, insomma, ha toccato tutta la città, che nel corso degli anni si è mobilitata più volte per protestare contro le condizioni ambientali e l’alta incidenza di tumori. La questione è così sentita da diventare politicamente decisiva: alle amministrative del 2020 ha trionfato l’ingegnere ambientale Vincenzo Voce, uno dei protagonisti dei movimenti ambientalisti e con una lunga storia di lotte per la bonifica del Sin. Col sostegno di una serie di liste civiche, tra cui Tesoro Calabria di Carlo Tansi, ha vinto con il 63,95% dei voti.

Vent’anni e non sentirli

La fetta più grossa delle bonifiche spetta a Eni Rewind, la società controllata del colosso dell’energia che si occupa di risanamento ambientale.
Il processo di bonifica di quella fetta del Sin è partito solo nel 2010 e si è inceppato molto spesso, tra rimodulazioni e piani molto contestati.

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Il silos della Pertusola Sud coperto da un murales commissionato dall’Eni, che dirige la bonifica della zona industriale. © copyright Agostino Amato

In particolare, negli ultimi due anni lo scontro si è concentrato sulla rimodulazione del Progetto operativo di bonifica (POB) Fase 2, autorizzato nel marzo del 2020. Secondo gli attivisti ambientali – tra cui lo stesso Voce, prima di diventare sindaco – il piano da 305 milioni di euro mira alla messa in sicurezza permanente e non ad una vera e propria bonifica, che permetterebbe di riqualificare le aree.

Le ultime notizie su questo fronte parlano di tavoli, intese e collaborazioni tra le autorità pubbliche e la società. Troppo poco, dopo tutto questo tempo.
Di recente, sembra si stia muovendo qualcosa su uno dei temi più sentiti dalla città: il recupero dell’area archeologica dell’antica Kroton, che ricopre il 15% del Sin.

In questo caso, la bonifica è di competenza del Ministero della Cultura: il sindaco Voce ha annunciato lo scorso 7 aprile di voler riaprire in tempi brevi il castello di Carlo V. Anche qui, però, le tempistiche sono incerte.
Nella confusione di norme, competenze e territori sparsi, un dettaglio non va trascurato: dal 2018 manca un commissario straordinario alle bonifiche. Il Governo aveva nominato nel 2019 il generale Giuseppe Vadalà, ma non si è ancora insediato, tant’è che Voce ha scritto a Draghi per avere delucidazioni in merito.

Le buone notizie

Se c’è una buona notizia, in tutto questo, è che i dati non mostrano al momento un livello di inquinamento tale da essere un rischio per la popolazione. Secondo le analisi del progetto SENTIERI, «si può dire che il Sin di Crotone ha un impatto sulla popolazione ridotto, rispetto ad altre situazioni in cui i fenomeni di impatto sono più significativi».

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Lungomare. Secondo uno studio effettuato nel 2004 da Legambiente e WWF nel mare di Crotone, durante il primo e il secondo semestre del 2002, sono stati rilevati, rispettivamente, 33.360 e 29.704 microgrammi per chilo di arsenico, mentre nel secondo semestre 2003 il dato era di 39.557. Il valore limite è 12.000. © copyright Agostino Amato

Nello studio, i professori del Cisas hanno analizzato quattro matrici: l’aria, il suolo, i sedimenti marini ed il pesce. Una serie di fattori hanno permesso di abbassare il livello di inquinamento. Secondo Sprovieri, il più importante è stato, paradossalmente, un’alluvione: quella del 14 ottobre 1996.
La grossa bomba d’acqua che si è generata ha causato una specie di «effetto di lavamento della falda e dei suoli. Ciò ha abbassato in maniera significativa la contaminazione proprio su queste due matrici. Alcuni inquinanti sono ancora presenti, ma con livelli di gran lunga inferiori rispetto a quelli che erano stati rilevati nel periodo precedente».

I rischi legati al cibo

Anche i dati sulla qualità dell’aria hanno registrato parametri nella norma. La questione che preoccupava di più gli studiosi del Cisas è quella legata al cibo: «I sedimenti all’interno dell’area portuale, ed in parte nell’area esterna, mostrano valori di concentrazioni soprattutto dello zinco, ma anche degli altri metalli pesanti, che sono importanti».

Il rischio è che i pesci bentonici, cioè quelli che vivono a contatto con il fondo del mare, possano brucare i sedimenti depositati sul fondo del mare: in questo modo, gli inquinanti verrebbero assimilati dagli animali, per poi finire sui piatti dei consumatori. Anche in questo caso, però, i dati raccolti dagli studiosi del Cnr non hanno evidenziato nessuna contaminazione significativa: «Siamo stati contenti di poter verificare che sostanzialmente questi contaminanti oggi nei pesci non sono presenti nella maggior parte dei casi».

I tumori e l’ex Sin di Crotone

Non bisogna però illudersi. Le indagini epidemiologiche e d’impatto ambientale hanno bisogno di un salto di qualità, per avere il quadro completo della situazione.
Tanti dubbi rimangono sull’incidenza dei tumori. Il gruppo di ricerca aveva scelto il Sin di Crotone proprio sull’eccesso di mortalità: i dati di SENTIERI registrano un numero superiore alla media di decessi per tutte le tipologie di tumore.
Questo è il dato statistico. Il problema, in questi casi, è stabilire il nesso causale tra l’inquinamento e l’insorgere di una malattia.

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In questa zona sorgevano le cosiddette Black Mountains dove venivano stoccati i rifiuti della Montedison. © copyright Agostino Amato

Una questione già difficile di per sé, lo è ancora di più se non si riceve collaborazione nella ricerca. Il team del Cisas non ha potuto fare un’indagine epidemiologica specifica sulla popolazione di Crotone, lamenta Sprovieri. L’unica cosa che hanno potuto fare, a causa dei ritardi burocratici, è stata una collaborazione con un reparto pediatrico: un’indagine sulle coppie madre-figlio che deve ancora essere portata a termine.

Il problema delle alluvioni

Non dimentichiamo, inoltre, il tema delle alluvioni e dello spargimento dei sedimenti inquinati su altre zone marine. Un fenomeno che potrebbe estendere ancora di più l’area contaminata e danneggiare gli ecosistemi più delicati che non sono stati ancora toccati dalle scorie industriali.
«Qual è il senso di procrastinare questa cosa, se non proteggere l’ENI? Non si è mai voluto parlare col le realtà del territorio», si chiede Asteriti, amaro. «Non ci arrendiamo, perché chi resta qua ama il suo territorio, e continua a lottare. È difficile trovare la luce dopo anni di buio. Magari c’è, ma noi non la vediamo».

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