Sì, la scuola è tutta un quiz. E neanche i prof di ruolo lo passano

Anche in Calabria, quasi tutti bocciati i partecipanti al concorso per docenti. Tsunami di ricorsi in arrivo. Sbagliati alcuni dei quesiti nei test predisposti dal Ministero. Abbiamo sottoposto a 30 insegnanti già in servizio la prova scritta: ecco cosa è successo

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Maledette prove scritte del concorso per la scuola! Avrebbero voluto superarle in tanti: insegnanti precari in servizio già da anni, ricercatori universitari senza prospettive di carriera accademica, aspiranti docenti che si sono preparati all’esame negli istituti privati di formazione. Niente da fare. Non avranno una cattedra stabile. Sono stati bocciati quasi tutti e tutte.

Come si svolge il concorso per la scuola

In diversi edifici scolastici si svolgono in questi giorni gli esami per assumere i nuovi professori che occuperanno le cattedre calabresi: 431 nelle medie e 506 per le superiori. Cinquanta sono le domande a quiz; ciascuna risposta giusta vale due punti per un totale di 100. La soglia minima del punteggio per vincere è 70 punti. Quindi chi commette più di 15 errori è respinto.

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Le classi di concorso presentano una varietà di quesiti attinenti ai contenuti delle rispettive materie didattiche. Per esempio, se si aspira a insegnare Lettere nelle scuole medie, bisogna individuare l’opzione giusta nel questionario a risposta multipla su argomenti di storia, geografia, letteratura, grammatica, informatica e inglese. In caso di superamento del test scritto, nell’orale il candidato dovrà impostare una lezione su un argomento estratto a sorte il giorno prima.

Un esperimento con i docenti a tempo indeterminato

Nella redazione de I Calabresi abbiamo ideato un esperimento, sottoponendo a 30 docenti già di ruolo la prova scritta dell’esame di Lettere nelle medie. Le nostre “cavie” sono insegnanti originari di varie zone del Paese, in servizio nelle scuole pubbliche di regioni differenti. A ciascuno abbiamo garantito l’anonimato e imposto due regole: rispettare i canonici 100 minuti di tempo per completare il quiz, astenersi dal consultare motori di ricerca e testi. Le domande scelte per l’esperimento non sono clonate dai tantissimi simulatori digitali presenti sul web, sui quali si sono esercitati i candidati nelle settimane precedenti la prova. I quiz simulati risultano spesso ingannevoli, perché troppo agevoli rispetto al concorso.

Le domande poste da I Calabresi sono quelle vere, cioè mutuate dalla prova scritta effettiva, svoltasi in questi giorni. Il risultato è inquietante: soltanto quattro docenti di ruolo su 30 sono riusciti a superare la nostra simulazione d’esame. Tutti, compresi i pochi capaci di azzeccare le risposte giuste, hanno espresso forti perplessità sulla maggior parte dei quesiti.

MAD, GPS: una vita da precari

Dunque saranno davvero in pochissimi gli idonei a sostenere le prove orali. I volti dei candidati respinti già sprizzano rabbia, delusione, rammarico. In Calabria, come in altre regioni, non ce l’ha fatta la stragrande maggioranza dei partecipanti: tra l’80 e il 90%. Tantissimi sono meridionali, ma insegnano a intermittenza nelle scuole del nord, dove si sono trasferiti per trovare lavoro. Nei pullman e nelle macchinate che li riportano a casa, mugugnano gli aspiranti professori. Ricostruiscono a memoria il puzzle delle domande, individuano i grossolani errori commessi dagli esperti che hanno concepito alcune delle risposte opzionali.

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Uno dei quesiti sbagliati presenti nel test

Sono furiosi i reduci dal concorso. Li senti brontolare le farraginose etichette del sistema scolastico italiano. La maggior parte di loro proviene dalle GPS, che non sono il Global Position System, cioè un sistema satellitare, bensì le Graduatorie Provinciali Supplenze. L’omografia dell’acronimo rivela il dramma umano e lavorativo di doversi orientare in un guazzabuglio di punteggi, repentine convocazioni, sedi remote in cui catapultarsi per andare a effettuare una sostituzione poco remunerativa, eppur preziosa ai fini del punteggio.

In provincia di Cosenza può capitare di fare lezione al mattino a Scalea e nel pomeriggio partecipare a un collegio docenti a San Giovanni in Fiore: un viaggio giornaliero di due ore e 15 minuti, con una differenza d’altitudine di 1049 metri. Tanti altri concorrenti hanno vissuto il calvario delle MAD, che tradotto dall’inglese significherebbe “pazzo”, ma in questo caso è la Messa a Disposizione ed esprime con efficacia il rischio di impazzire quando ci si avventura nel vorticoso cammino per divenire insegnante, passando dalla gavetta o addirittura, in alcuni casi, dal clientelismo.

Concorso per la scuola: tutti contro i quiz

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Andrew Bevacqua

Frattanto gli uffici legali preparano i ricorsi e sui cosiddetti “social” impazzano le polemiche. I candidati dell’esame denunciano le astrusità e l’inadeguatezza delle domande a risposta multipla, trovando conforto nei pareri degli esperti di didattica. Per Andrew Bevacqua, redattore della rivista Registro Sconnesso e insegnante di Lettere nella secondaria di primo grado, «il reclutamento a queste condizioni è mortificante. Non c’è visione. Non c’è prospettiva».

L’orale del 2018

Cesare Lemme, docente di Storia e Filosofia nelle scuole serali, ricorda i termini in cui si svolse il concorso nel 2018: «Superai la prova scritta. All’orale mi chiesero la dimostrazione pratica che sarei stato capace di spiegare in classe i sofisti. Prima di esporre gli aspetti centrali della tematica, esordii dicendo che in chiave contemporanea i pensatori di questa corrente filosofica potrebbero essere rintracciati tra i giornalisti, gli spin doctor, i venditori della Vaporella e gli influencer. Non l’avessi mai detto! La commissaria aveva un approccio algoritmico, non la prese bene e mi intimò di attenermi ai contenuti, insinuando che io stessi giocando con le parole. Per sdrammatizzare, le feci notare che in fondo proprio questa pratica era uno dei nuclei focali della sofistica. A quel punto, lei minacciò di buttarmi fuori. Mi salvai in corner, elencando subito le date di nascita di Protagora e Gorgia, peraltro presumibili ma non certe. Vidi che negli occhi della commissaria si era accesa in extremis una luce di approvazione. Fui promosso. Non credo che fosse severa. L’avevano formata per valutare soprattutto il nostro livello di conoscenza nozionistica. A me però era parso un controsenso già il fatto di concepire domande a risposta multipla nell’esame scritto di filosofia».

Con l’inglese non va meglio

Dello stesso parere è Silvia Minardi, docente di Inglese nei licei, ricercatrice presso l’università per Stranieri di Siena, presidente nazionale dell’Associazione LEND, una degli esperti del Centro Europeo di Lingue Moderne del Consiglio d’Europa di Graz per il programma 2016-2019.

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Silvia Minardi

«A chi ha pensato che un test a scelta multipla fosse la soluzione migliore – spiega Minardi – diciamo che questa scorciatoia favorisce la “semplificazione” tanto cara ad alcuni ministri, ma non dà alcuna importanza ad aspetti importanti della professione. E soprattutto non sembra tenere in alcun conto il bagaglio di chi, magari, qualche esperienza nella scuola l’ha anche fatta. Ho avuto modo di vedere i quesiti del concorso ordinario per la lingua inglese. Io credo che sia importante conoscere il Quadro (QCER_CV) soprattutto nei suoi principi chiave. Si tratta di uno strumento fondamentale per noi docenti di lingua. Ma mettere tra i quesiti del test numerose domande sulle differenze tra B1.1 e B1.2 è del tutto inutile: un insegnante deve saperlo usare il Quadro, deve poterlo consultare ogni volta che serve per programmare, per preparare o adattare materiali, discutere con i colleghi di prove comuni e predisporre strumenti di valutazione coerenti con alcune scelte».

Un’impostazione che non convince

«A cosa serve – continua Minardi – saper riconoscere se un determinato descrittore appartiene ad un livello o ad un altro? E perché inserire quesiti sugli incipit di opere famose? Quanti degli aspiranti candidati insegneranno letteratura? E perché pensare oggi che insegnare lingua significhi necessariamente possedere una ampia erudizione letteraria Si tratta di una prova del tutto inutile – prosegue Minardi – che avrebbe dovuto essere sostituita da uno scritto volto a sondare la capacità di usare conoscenze in chiave didattico-metodologica: ma in questo caso, occorre ovviamente investire sulla correzione. Servono commissari disposti a correggere le prove accettando, come è accaduto nelle precedenti tornate, poco più che una pacca sulla spalla».

Cosa bisognerebbe fare allora? «Ad un sistema di questo tipo preferiamo un sistema basato su un reclutamento che avviene al termine di un percorso formativo ad hoc. Nel nostro Paese manca da anni un sistema di formazione iniziale degno di un Paese moderno: ogni governo e ogni ministro ha, di fatto, cambiato il sistema di reclutamento stravolgendo quanto fatto dal proprio predecessore, da quando l’allora ministro Gelmini chiuse le esperienze delle SIS, le scuole che, all’interno delle università, si occupavano di formare i futuri docenti. Questi oggi sono i risultati».

Mariastella Gelmini

Il vecchio concorso per la scuola

Tra le docenti di ruolo in servizio da una ventina d’anni, che si sono prestate al nostro esperimento, c’è chi ricorda l’ultimo concorso svoltosi nel ‘900. «Nel ’99-2000 – racconta Emilia P. – ci sottoposero una prova scritta. Dovemmo sviluppare una classica traccia. Era una complessa analisi testuale, un saggio breve di semiologia. Bisognava davvero dimostrare di saper scrivere, conoscere gli autori, contestualizzarli, analizzarne le opere. Chi si era predisposto a copiare, non ci riuscì. Era difficile servirsi di cartucciere e cirannini.

Per evitare che gli esaminatori favorissero i raccomandati, ci ordinarono di inserire le nostre generalità in una busta chiusa e separata dal foglio protocollo. Intimarono di astenerci anche dall’apportare minime correzioni al nostro compito. In presenza di segni che in qualche modo potessero risultare messaggi criptati e renderci riconoscibili dai membri della commissione, la prova sarebbe stata annullata. Bloccarono i cellulari all’ingresso. Non fu possibile lo schifo avvenuto pochi giorni fa: in tanti sono stati lasciati liberi di copiare dagli smartphone.

Adesso non mi meraviglia che abbiano sostituito quel modello di esame con i quiz. Da almeno 20 anni nell’università si studiano spezzatini di materie. I classici non si leggono più. Gli studenti sono valutati a suon di crediti e debiti. E per capire se le scuole funzionino, bombardano i nostri alunni con le prove Invalsi.
Così li addestrano pure per i test a risposta multipla che dovranno affrontare in futuro. Sulla conoscenza prevale l’algido requisito della competenza. Ai governi neoliberisti conviene due volte ricorrere ai quiz: risparmiano i soldi delle commissioni giudicanti e mantengono appesa una sacca di precariato scolastico, che costa meno e deve tappare i buchi».

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