Sulla carta, una parte dell’ambientalismo sembra poco più che una superstizione. Come tutte le superstizioni, certe polemiche in parte si fondano su una verità, almeno per quel che riguarda lo smaltimento dei rifiuti: discariche, impianti di trattamento e, nei casi più estremi, digestori e inceneritori possono essere davvero pericolosi, se non sono gestiti in condizioni di sicurezza.
E le lacune, a proposito di sicurezza, in Calabria sono tantissime: lo ribadiscono le vicende della discarica di San Giovanni in Fiore o di altre vecchie discariche cosentine, sopravvissute all’era dello smaltimento pre-differenziata e mai bonificate.
La sindrome Nimby
Il resto è opinabile: molti ambientalisti non tengono conto delle nuove tecnologie e dei progressi avvenuti proprio grazie alle nuove prassi nella raccolta dei rifiuti.
In tutto questo, fa la sua parte anche la paura. Una paura particolare, sintetizzata con efficacia da un acronimo entrato da oltre un decennio nell’uso comune: Nimby, che sta per “Not in my back yard”, non nel mio cortile. Smaltire è giusto, ma lontano da me.
Rivolta nel Pollino
Di recente, si è assistito a una forte protesta nell’area del Pollino, per la precisione a cavallo tra Frascineto e Castrovillari, dove nel 2019 i cittadini si sono ribellati alla proposta avanzata dal sindaco di Castrovillari, Antonio Lo Polito, di realizzare un impianto per il trattamento dei rifiuti nel vecchio stabilimento di Italcementi.
La protesta fu cavalcata allora da Ferdinando Laghi, attuale consigliere regionale di opposizione.
È doveroso ricordare che, all’epoca, Laghi non era candidato alle Regionali, perciò nel suo ruolo di “portavoce” non era ispirato da scopi elettorali. Proprio in occasione di quella protesta, l’ex primario medico indicò dei parametri fondamentali per la realizzazione delle strutture di stoccaggio e smaltimento dei rifiuti: distanza sufficiente (almeno più di due chilometri) dall’abitato, vicinanza a grosse arterie stradali per consentire un trasporto agevole, uso di tecnologie per il controllo delle emissioni.
La monnezza che piace agli amministratori
Il progetto andò in fumo, perché non gradito ai castrovillaresi e agli abitanti di Frascineto.
Tuttavia, l’idea di realizzare impianti di stoccaggio (anche banali discariche) e trattamento dei rifiuti solletica non pochi amministratori. La “monnezza” infatti è un’attività che può rimpinguare, attraverso le concessioni e le tariffe, le casse dei nostri enti locali e, con un po’ di fortuna, creare posti di lavoro. Ciò che rischia di inquinare l’ambiente può dare ossigeno all’economia: una versione rivista e aggiornata dell’antico adagio secondo cui “pecunia non olet”, ovvero i soldi non puzzano. La citazione latina non è un caso: è attribuita a Vespasiano, l’imperatore che decise di istituire le latrine pubbliche a pagamento…. E, a dispetto delle preoccupazioni dei suoi consiglieri, ci riuscì.
Il caso Grimaldi
Difficile dire se sia (solo) Nimby oppure se dietro la protesta del Comitato popolare tutela Savuto ci siano timori fondati.
Fatto sta che le manifestazioni continue contro l’ipotesi di creare un ecodistretto con discarica di servizio a Grimaldi, un piccolo Comune (poco più di millecinquecento anime) del Savuto, al confine tra Cosenza e Catanzaro, hanno avuto successo.
Proprio a fine novembre la giunta guidata da Roberto De Marco ha ritirato, con una delibera approvata dal Consiglio comunale, l’idea dell’impianto, avversata dal Comitato anche sulla base di un motivo non proprio infondato: la vicinanza al letto del Savuto.
Un motivo, tra l’altro non inedito nelle proteste antidiscarica degli ambientalisti calabresi. Quasi tutti gli impianti contestati sono vicini a zone “sensibili”: corsi d’acqua e falde acquifere, oppure al confine tra diversi Comuni. Un fattore, quest’ultimo, che crea anche problemi politici non leggeri: possono gli abitanti di un Comune subire le emissioni di strutture che avvantaggiano essenzialmente il Comune vicino?
Il caso Scala Coeli
E non sembra risolutiva neppure l’idea di istituire ecodistretti, impianti e discariche in zone a bassa densità abitativa. Lo dimostra la vicenda decennale di Scala Coeli, presa in carico direttamente da Legambiente.
Sulla carta, Scala Coeli sarebbe un territorio ideale per realizzare impianti per il trattamento dei rifiuti, perché è un paese spopolato, poco più di ottocento abitanti, con molto territorio a disposizione, quasi 68 chilometri quadrati. Per di più, l’abitato è arroccato su un monte, quindi a distanza di sicurezza.
Ciò ha motivato l’autorizzazione di una discarica per rifiuti speciali non pericolosi, effettuata dal 2010 dal Dipartimento ambiente della Regione, di 93mila metri cubi, gestita dalla società Bieco srl.
La battaglia degli ambientalisti
Dov’è il problema? Nel caso di Scala Coeli, la vicinanza della struttura al letto del fiume Nika, ai confini tra il basso Jonio cosentino e il Crotonese. La vicinanza al fiume non è il solo problema: nella zona resistono ancora attività agricole importanti e ci sono, quindi, vincoli territoriali.
Il problema è esploso nel 2015, quando l’azienda concessionaria ha richiesto l’ampliamento della cubatura. L’inchiesta condotta dagli ambientalisti ha rivelato che i terreni su cui è stata realizzata la discarica non erano ancora sdemanializzati. In altre parole, la proprietà (e quindi la destinazione d’uso) erano ancora pubbliche.
Più che le proteste, hanno potuto le carte bollate: i militanti di Legambiente si sono rivolti al Tar contro il Dipartimento agricoltura della Regione, che aveva dato parere positivo all’ampliamento e, come se non bastasse, hanno denunciato il tutto anche alla Procura di Castrovillari.
In attesa del Tar
I motivi di questi ricorsi sono complessi e forse non è infondato ipotizzare che nella zona non sarebbe proprio dovuta sorgere una discarica, visto che i terreni sono ancora demaniali. A breve, probabilmente prima di Natale, il Tar si pronuncerà e potrebbe mettere la parola fine alla vicenda. In caso di stop all’ampliamento, si fermerebbe anche il conferimento dei rifiuti, visto che la discarica avrebbe già quasi esaurito la propria capacità. E si aprirebbe un nuovo capitolo, non meno problematico, relativo stavolta alla bonifica.
Un problema aperto
Ma le vittorie degli ambientalisti non risolvono il problema: esportare i rifiuti, come si è fatto spesso durante le emergenze recenti, costa. E costa pure mantenere l’attuale sistema, che garantisce sì e no lo stoccaggio.
Già: i rifiuti da qualche parte devono pur finire, nel rispetto dell’ambiente e della sicurezza dei cittadini. Finora parecchie zone della Calabria tirano avanti a botte di rattoppi e proteste. Ma quanto potrà durare?