Province, cronaca di una morte (solo) annunciata

La riforma Delrio doveva essere una norma transitoria verso l'abolizione di istituzioni più antiche dell'Unità d'Italia. Ma quando sottrai funzioni e moltiplichi altri enti il risultato che ottieni è una somma di problemi

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Appena l’argomento, per qualche insondabile motivo, viene fuori in una discussione, la domanda scatta automatica: «Ma le Province non le avevano abolite?». A quel punto i più informati rispondono con il tono di chi la sa lunga: «Macché… hanno abolito solo le elezioni». Alla fine è così. Eppure delle Province si parla ancora. E se ne parla, con qualche ragione, molto male.

Non è questione rimandabile all’antropologia dei campanili e nemmeno all’ormai discendente parabola anticasta. È che, evidentemente, anche nei suoi anfratti meno appetibili e più discussi, il potere attira sempre e comunque l’attenzione. Per comprendere le ragioni della lunga agonia di questi enti, intermedi e dunque transitori quasi per definizione, bisogna però andare oltre le gaffe e le liti spicciole a cui ci ha abituati la politica nostrana.

Le Province dall’Italia preunitaria a oggi

Senza addentrarsi in discussioni per feticisti dell’ingegneria istituzionale, è utile ricordare che le Province trovano fondamento nell’art. 114 della Costituzione, ma in realtà sono più vecchie della stessa Italia unita: le creò, quando ancora c’era il Regno di Sardegna (1859), Urbano Rattazzi, ministro dell’Interno del governo La Marmora, mutuando il sistema francese dopo l’annessione di alcune parti della Lombardia.

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Un ritratto di Urbano Rattazzi: fu lui a istituire le Province in Italia

Da 95 sono poi arrivate a essere 110. Oggi nelle regioni ordinarie sono 76, più 14 città metropolitane. A cui si devono aggiungere 6 liberi consorzi (le ex province della Sicilia non trasformate in Città metropolitane), 4 province sarde, le 2 province autonome di Trento e Bolzano, 4 del Friuli Venezia Giulia che servono però solo alla geografia e alla statistica non essendo enti politici autonomi.

In Calabria erano 3 fino al 1992. Poi in quell’infornata – che comprendeva Biella, Lecco, Lodi, Rimini, Prato e Verbano-Cusio-Ossola – rientrarono anche Crotone e Vibo Valentia. Poco prima dello scorso Natale è arrivato il rinnovo dei loro consigli provinciali, come pure di quelli di Catanzaro e Cosenza. In quest’ultima, come a dicembre anche a Crotone, ora è cambiato anche il presidente. A breve ce ne sarà uno nuovo pure a Catanzaro.

Il consiglio ogni due anni, il presidente ogni quattro

A proposito di elezioni, dal 2014 in poi (riforma Delrio) sono arrivate un po’ di novità. Tra queste il fatto che i consigli provinciali si rinnovano ogni due anni mentre il presidente ogni quattro. La giunta provinciale non esiste più. E a eleggere sia i consiglieri che il presidente sono sindaci e consiglieri comunali del territorio, il cui voto “pesa” in base alla popolazione del Comune di appartenenza. È un aspetto che sembra bizzarro, ma non è certo quello più paradossale delle “nuove” Province, enti in cui spesso il fattore politico va oltre la classica dialettica maggioranza/opposizione.

Centrodestra alla riscossa

I risultati di queste ultime votazioni, in Calabria, pendono molto verso il centrodestra. A Cosenza c’era stato un sostanziale pareggio tra i consiglieri. Poi la Presidenza è andata alla sindaca di San Giovanni in Fiore (area Forza Italia) Rosaria Succurro. Divisioni e disastri targati centrosinistra hanno chiuso la partita già prima del voto anche a Crotone, dove ha vinto il sindaco di centrodestra di Cirò Marina, Sergio Ferrari. A Catanzaro, nonostante le divisioni già striscianti e ora esplose in vista delle Comunali, i consiglieri restano in maggioranza di destra. Nei prossimi mesi si dovrà scegliere il successore di Sergio Abramo. A Vibo ha trovato conferma  il peso forzista, ma ne ha acquistato parecchio anche Coraggio Italia.

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Rosaria Succurro, fresca di elezione a presidente della Provincia di Cosenza

 

Reggio in attesa di funzioni

Poi c’è Reggio, dove la Provincia ha ceduto il posto alla Città metropolitana. Da novembre, cioè dalla condanna di Giuseppe Falcomatà per il “caso Miramare”, la regge il facente funzione Carmelo Versace, che è un dirigente di Azione di Carlo Calenda. In teoria le Città metropolitane avrebbero anche più funzioni delle Province. Quella di Reggio è però l’unica in Italia a cui la Regione non le ha ancora attribuite, nonostante debba farlo per legge.

Vibo e i conti che non tornano

La Provincia di Vibo è famigerata per il disastro finanziario in cui è stata cacciata. Sta ancora cercando di uscire dal dissesto dichiarato nel 2013. Uno spiraglio di luce si era visto a novembre, quando la Commissione liquidatrice ha approvato il Piano di estinzione dei debiti: default chiuso con una massa passiva quantificata in 14,8 milioni di euro distribuiti a circa 1.200 creditori. A fine marzo però è venuto fuori che serve un nuovo Piano. Ci si è accorti che i prospetti contabili andavano aggiornati e che la massa passiva totale era in realtà di 25 milioni di euro. Dunque ne ce sono ancora altri 11 da liquidare.

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Salvatore Solano stringe la mano a Papa Francesco

La necessità di un aggiornamento l’ha segnalata alla Commissione lo stesso presidente della Provincia di Vibo, Salvatore Solano, finito nel processo “Petrolmafie”. Lui ha sempre dichiarato fiducia nella giustizi,a ma anche la sua totale estraneità alle accuse che gli vengono contestate. Forza Italia però, che pure lo aveva scelto nell’ottobre del 2018, lo ha scaricato politicamente.

Catanzaro, da ente modello al rischio dissesto

Problemi di natura diversa li ha invece Abramo, che si accinge a chiudere tra ben poche glorie il suo ciclo da sindaco e da presidente della Provincia di Catanzaro. L’ente che visse un’epoca descritta come d’oro con Michele Traversa e poi con Wanda Ferro era considerato infatti un modello di buona amministrazione. Fin quando, proprio con Abramo, è scoppiata la bolla dei derivati, operazioni di swap contratte nel 2007 (con Traversa) per oltre 216 milioni di euro e ora annullate in autotutela da Abramo. Che si ritrova con la grana dei ricorsi presentati al Tar dalle banche, e con il rischio del dissesto e di non riuscire a pagare nemmeno gli stipendi dei dipendenti.

Sede_Provincia_di_CatanzaroSulle disgrazie politiche del centrosinistra un po’ ovunque e da ultimo a Cosenza, così come sull’esordio non felicissimo della presidente Succurro che ha subito assegnato un incarico (gratuito) al marito, non serve indugiare oltre. Può invece essere utile ragionare sui contorni del limbo politico-amministrativo in cui sono stati costretti questi enti, schiacciati tra Regioni e Comuni e menomati da interventi legislativi molto discutibili.

Cinque miliardi in meno per le Province

Partiamo dai tagli, iniziati già dal 2010 e dunque ancora prima della Delrio. Secondo uno studio della fondazione Openpolis ammontano a ben 5 miliardi di euro i trasferimenti statali decurtati negli anni. Con una conseguenza prevedibile: «Ciò ha portato ad una riduzione dei servizi e soprattutto negli investimenti (ad esempio infrastrutture di trasporto -65%)».

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La sede dell’ex Provincia, oggi Città metropolitana, di Reggio Calabria

La Calabria si contraddistingue per un forte accentramento verso la Regione delle funzioni che erano prima delle “vecchie” Province. Unica eccezione la Città metropolitana, che ne ha invece mantenute molte. Per farsi un’idea dell’importanza che invece hanno le poche funzioni rimaste oggi in capo alle “nuove” Province è sufficiente menzionare due settori chiave.

Due settori chiave

Innanzitutto la manutenzione dell’edilizia scolastica: si parla a livello nazionale di 5.179 edifici (che ospitano di 2,6 milioni di studenti), il 41,2% dei quali si trova in zona a rischio sismico. Nella nostra regione il 10,4% risulta vetusto, il 3,8% è in zona sottoposta a vincolo idrogeologico. E poi le strade provinciali, una di quelle cose che attirano su questi enti maledizioni e improperi perfino dai cittadini più morigerati. In Calabria le Province gestiscono 7.713 km di strade, molte delle quali in zone di montagna e disagiate: il 44,75% dei 2.578 km di strade della Provincia di Cosenza è sopra i 600 metri sul livello del mare, così come il 47,34% (su 1.690 km totali) di quella di Catanzaro, il 30,5% (su 818 km) di quella di Crotone, il 25% (su 875 km) di quella di Vibo e il 16,95% (su 1752 km) di quella di Reggio.

Il paradosso delle nuove Province

Dare risposte alle giuste rivendicazioni degli utenti, in queste condizioni e con pochi fondi a disposizione – le tasse principali che vanno alle Province sono quelle per Rc e trasferimento dei veicoli – diventa dunque complicato. E il problema del passaggio delle funzioni – e dei beni ad esse collegati – resta completamente irrisolto. La Delrio nasceva come norma transitoria verso il (poi fallito) referendum renziano del 2016 che avrebbe dovuto eliminare le Province dalla Costituzione. Invece quella legge, che doveva essere provvisoria, disciplina ancora oggi il funzionamento di questi enti.

Nel frattempo la retorica dei tagli ha prodotto un altro paradosso: sono nati moltissimi nuovi enti (circa un migliaio tra unioni di Comuni, autorità di bacino, consorzi e quant’altro) proprio per aiutare i Comuni nella cogestione dei servizi. Un decennio di propaganda e di sperimentazioni normative sulle Province ha dunque generato un evitabile caos istituzionale. E un vuoto riempito solo dall’inettitudine delle classi dirigenti nazionali e locali.

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