Navi dei veleni, la rotta della morte tra Somalia e Calabria

I destini incrociati della giornalista della Rai, Ilaria Alpi e del capitano Natale De Grazia. Entrambi - in luoghi differenti e con modalità diverse – indagavano sul traffico di rifiuti pericolosi, compresi quelli nucleari

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Territori da sempre in guerra e per questo incontrollati. L’Iraq e la Somalia da un canto. La Calabria, dall’altro. Guerre diverse, evidentemente. Ma lo stesso destino di vaste aree dove poter mettere in atto alcuni traffici illeciti. Sicuri che, soprattutto in quegli anni ’80-’90, tutto sarebbe rimasto sotto traccia. Avvolto nell’ombra e nel silenzio.

Ilaria Alpi e Natale De Grazia: destini incrociati

Iraq e Somalia sono anche i Paesi che incrociano il proprio destino con le indagini portate avanti sul traffico di scorie radioattive dai magistrati di Matera e Reggio Calabria. E incrociano i loro destini (e le loro tragiche fini) anche Ilaria Alpi e Natale De Grazia. Due persone che – in luoghi diversi e con modalità diverse – probabilmente seguivano le stesse tracce.

Documento desecretato in merito a Ilaria Alpi e Milan Hrovatin

Muoiono a distanza di un anno e mezzo. Ilaria Alpi, giornalista del TG3, uccisa il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio, in Somalia. Con lei, trucidato anche l’operatore, Milan Hrovatin. Natale De Grazia muore in circostanze sospette il 13 dicembre del 1995, a Nocera Inferiore. Entrambi indagavano sulle cosiddette “navi dei veleni”. Carrette del mare. Imbottite di rifiuti tossici. Di scorie radioattive e nucleari.

Navi che a volte giungevano fino all’Africa. Per scaricare in quei luoghi abbandonati il proprio carico di morte. Altre volte, invece, venivano fatte colare a picco al largo delle coste calabresi.    

Il capitano Natale De Grazia
L’ingegner Giorgio Comerio

Un nome ricorrente è quello di Giorgio Comerio. Nel corso di una perquisizione nella sua abitazione a Garlasco, infatti, il pool di investigatori comandato dal capitano Natale De Grazia troverà un fascicolo con la scritta “Somalia”. In quella cartella, secondo quanto riferito, si sarebbe trovato del materiale riguardante la morte di Ilaria Alpi. Un certificato di morte o un lancio di agenzie. Le testimonianze sono discordanti. E il dubbio resta.

La Somalia, quindi, entra a pieno titolo tra le rotte “calde” per il traffico di scorie radioattive. Le regioni del Nord Africa, infatti, sembrano essere la sede privilegiata di destinazione dei rifiuti altamente tossici. Il tema, dunque, è quello delle “navi a perdere”, in cui un ruolo fondamentale sarebbe stato giocato dall’ingegner Giorgio Comerio. Con la sua ODM, avrebbe progettato (e secondo qualcuno realizzato) un sistema di smaltimento di scorie radioattive nei fondali soffici e profondi.

Documento desecretato in merito alla Oceanic Disposal Management

Ingegnere con sede operativa a Garlasco, nel 1993 fonda la Oceanic Disposal Management (ODM), una società registrata alle Isole Vergini Britanniche. La ODM, con sede a Lugano, ma con diramazioni a Mosca e in Africa, si occupa di qualcosa di molto particolare. Dello smaltimento delle scorie nucleari. Con la ODM Comerio ha un progetto: inabissare le scorie radioattive in acque dai fondali profondi e soffici, inserendole all’interno di grossi e pesanti penetratori. Questi, arrivando a pesare fino a duecento chili, una volta sganciati in mare, acquisterebbero una velocità tale da permettere la penetrazione nei fondali. Una proposta respinta da tutti gli Stati a cui l’ingegnere si rivolgerà. Almeno ufficialmente.

Le indagini su Comerio e la sua ODM

Ma secondo qualcuno Comerio avrebbe potuto mettere in piedi il proprio progetto in maniera autonoma. Secondo Legambiente, infatti, «Comerio e i suoi soci avrebbero gestito, dietro il paravento dei “penetratori”, un traffico internazionale di rifiuti radioattivi caricati su diverse “carrette” dei mari fatte poi affondare, dolosamente, nel Mediterraneo».

Documento desecretato dove compare il nome di Giorgio Comerio

La vita di Giorgio Comerio è piuttosto avventurosa. Negli anni ’80 partecipa alla battaglia delle isole Falkland tra Inghilterra e Argentina. Iscritto alla Loggia di Montecarlo, sarebbe un elemento legato ai servizi segreti. Anche se lui smentirà sempre fermamente. Maria Luigia Giuseppina Nitti è la compagna dell’ingegnere dal 1986 al 1992. Nel 1995 ai carabinieri che indagano sui presunti traffici di rifiuti radioattivi dichiara: «Verso la fine del nostro rapporto mi esternò di appartenere ai servizi segreti. A seguito di attentati terroristici avvenuti in quel periodo in Italia, nella primavera del 1993, si assentò dicendo che era stato convocato per collaborare alle indagini». Ma anche in questo caso, per Comerio queste sarebbero tutte stupidaggini.

Altro documento desecretato dove compare il nome di Giorgio Comerio

Di Comerio parla anche quel Carlo Giglio, la fonte “Bill”, che ha raccontato alcuni dettagli, mai verificati giudiziariamente, su quegli anni. Giglio racconta di presunti rapporti con gli stabilimenti Enea di Rotondella (Matera) e Saluggia (Vercelli), che per anni saranno sospettati per un eventuale coinvolgimento nei traffici di scorie: “Non vi è dubbio che il Comerio ha avuto rapporti diretti con l’Enea se intendeva smaltire rifiuti radioattivi in mare (…) Addirittura nella strategia dell’ente si sta cercando di eliminare ogni prova o traccia di rapporti tra il Comerio ed altri dirigenti dell’ente. Il Comerio infatti ha offerto all’ente i suoi servigi circa lo smaltimento in mare dei rifiuti radioattivi”.

Il pool di investigatori di Natale De Grazia perquisisce l’abitazione di Comerio, a Garlasco. E ritrova un serie molto lunga di dati: «Agende, video-tape, dischetti magnetici, fascicoli relativi alla commercializzazione del progetto Euratom (DODOS) trafugato a detto ente (centro Euratom di Ispra) clandestinamente dal Comerio stesso (…) Veniva sequestrata anche numerosa corrispondenza (e fotografie) di incontri con rappresentanti governativi della Sierra Leone per ottenere l’autorizzazione a smaltire in mare rifiuti radioattivi». È in quell’occasione che sarebbe stata anche recuperata la documentazione riferibile alla morte di Ilaria Alpi.

La rotta somala

Ed è qui che si incrociano le indagini di Ilaria Alpi e Natale De Grazia. Un personaggio chiave sarebbe Giancarlo Marocchino. È lui uno dei primi a intervenire sul luogo del delitto di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. È uno degli ultimi a vedere il materiale di lavoro che Ilaria Alpi portava con sé. Che poi scomparirà nel nulla.

Ilaria Alpi e Milan Hrovatin

Marocchino, secondo alcune risultanze, avrebbe gestito un traffico di rifiuti in Somalia. Uomo molto influente in Somalia, attivo in una serie di affari e attività a Mogadiscio. Acquisendo un grande potere economico e militare: «Chiunque voglia andare in Somalia e rimanere vivo, segnatamente a Mogadiscio, deve farsi proteggere da lui» dirà in un’audizione uno dei magistrati che indagherà sull’imprenditore.

Ancora dall’audizione: «Marocchino, da decenni operante con buon successo a quanto pare in Somalia, una realtà difficile nella quale credo che si debba essere bravi a operare, ma anche ad avere qualche forma di copertura istituzionale, sopravviveva benissimo. (…) Questo signore, in quel periodo e a mano a mano nel corso di quell’anno o due che seguimmo l’indagine, portava avanti la costruzione di un suo porto nella zona di El Man che avveniva sotto gli occhi di tutti in una zona che aveva poche insenature naturali. Una costa abbastanza piatta, formata a un certo punto da un serie di moli. I container erano posizionati tatticamente in modo perpendicolare alla linea litoranea di spiaggia. Riempiti, si dice, con inerti e protetti dall’erosione e dalla furia del mare, da montagne di macigni posti intorno».

All’ombra del Partito Socialista

Affari che si sarebbero mossi all’ombra del Partito Socialista dell’epoca. Come racconta la Commissione parlamentare sul duplice delitto Alpi-Hrovatin. Quel Giampiero Sebri, per anni uomo di grande rilievo e vicino a Bettino Craxi. Sebri definisce così Marocchino: «Era un nostro uomo, uomo di fiducia si intende, chiaramente, per quanto riguarda i traffici di rifiuti tossici-nocivi e anche traffici d’armi».

Marocchino ha sempre definito calunnie tali affermazioni. E non ha mai subito procedimenti giudiziari concernenti tali accuse. Dichiarazioni, quelle di Sebri, messe nero su bianco in atti parlamentari ufficiali. Ma che non troveranno sbocco giudiziario. Ed è una costante di queste storie.  Un altro personaggio particolare è, in tal senso, quel Guido Garelli, pugliese, ma ammanicato con mezzo mondo. Al pubblico ministero Francesco Basentini, un giorno Garelli dirà di essere stato ammiraglio di un non meglio precisato esercito dell’Autorità Territoriale del Sahara Occidentale. E dignitario di un servizio d’intelligence che avrebbe operato nell’interesse del Regno Unito. Con base a Gibilterra. Garelli è in possesso di tripla cittadinanza: jugoslava, italiana e del Sahara Occidentale. È testimoniato in atti giudiziari come entrasse a Camp Darby senza bisogno di particolari permessi. Camp Darby è una base militare statunitense in Italia, nel territorio comunale di Pisa. Sarebbe considerata dalla US Army il distaccamento militare più importante d’Europa. Il più grande arsenale Usa all’estero.

Un uomo in contatto con i servizi segreti italiani, con quelli statunitensi e con quelli africani. Dopo la morte di Ilaria Alpi, Guido Garelli finisce anche in carcere a Ivrea per ricettazione. Nel periodo in cui è detenuto, rilascia alcune dichiarazioni piuttosto interessanti: «Ilaria Alpi ha toccato il segreto più gelosamente custodito in Somalia, lo scarico di rifiuti pagato con soldi e armi da non meno di vent’anni. La regia di tutto questo è appannaggio dei servizi d’informazione coinvolti in quello che è sicuramente il business più redditizio del momento. Non mi riferisco solo al Sismi e al Sisde. Vi sono anche gli organismi omologhi dei Paesi che hanno “usato” vari Stati dell’Africa per smaltire porcherie».

Le dichiarazioni di Francesco Fonti

Di Marocchino parlerà anche il collaboratore di giustizia. Francesco Fonti. Oggi deceduto. Fonti dichiara di averlo conosciuto a Milano nel 1992. Il collaboratore, infatti, ricorda l’interesse della ‘ndrangheta nel traffico di rifiuti radioattivi. Tutto avrebbe inizio nel 1982 su iniziativa di Giuseppe Nirta che, all’epoca, era il boss del territorio di San Luca. Nirta ne avrebbe dunque parlato con Fonti facendo i nomi di alcuni importanti uomini politici dell’epoca che gli avrebbero proposto di stoccare bidoni di rifiuti tossici. E di occultarli in zone della Calabria da individuare.

A quel punto, sempre secondo il collaboratore, vi sarebbero stati diversi summit in cui avrebbe partecipato il gotha della ‘ndrangheta. Dagli Iamonte di Melito Porto Salvo ai Morabito di Africo. In seguito a questi incontri, tra i luoghi scelti per gli interramenti, verrebbe esclusa la Calabria. Nella primavera del 1983 Fonti sarebbe stato poi mandato a Roma da Sebastiano Romeo, nel frattempo succeduto a Nirta, per incontrare Giorgio De Stefano. Si tratterebbe dell’avvocato Giorgio De Stefano, considerato un’eminenza grigia della ‘ndrangheta. Ritenuto elemento di collegamento tra l’ala militare delle ‘ndrine e i mondi occulti. Servizi Segreti e massoneria.  

Secondo il collaboratore, De Stefano disse che il posto ideale per interrare i rifiuti tossici all’estero era la Somalia. E gli avrebbe organizzato un incontro con Pietro Bearzi, allora segretario generale alla Camera di commercio per la Somalia. Questi avrebbe garantito il suo aiuto. Anche Craxi – a detta del pentito – sarebbe stato al corrente della cosa. Ma non avrebbe seguito il tutto personalmente. Lasciando che se ne occupassero i servizi segreti. Alla domanda del pubblico ministero sul perché non avesse parlato prima di queste vicende, la risposta di Fonti è stata che non se ne era ricordato essendo tantissime le vicende da lui vissute.

Anche per questo, probabilmente, Fonti sarà infine dichiarato del tutto inattendibile.

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