Condannate alla maternità? La storia difficile della 194 in Calabria

I consultori funzionano a singhiozzo e gli obiettori sono tanti, oltre il 60 % del personale sanitario. La normativa sull'aborto rischia di essere disapplicata per troppe carenze. L'alternativa? Investire e informare di più

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La maternità non è un destino e neppure una tappa obbligata per ogni donna, magari per ricevere l’etichetta di “vera donna” un uomo.
Si può essere donna senza essere madre e, viceversa, chi ha figli non è solo mamma: le due identità non sono perfettamente sovrapponibili.

Per la destra conta solo la maternità

Eppure, il rapporto tra donne e maternità sembra inscindibile.
Almeno per una parte politica. Infatti, se si osservano i programmi elettorali del 2022 dei tre principali partiti di destra italiani, è facile notare che si parla di donne solo in riferimento alla loro funzione familiare e materna.
Nulla di nuovo.

Da dee a maledette

Nel 1949 Simone de Beauvoir pubblicava Il secondo sesso, uno studio rigoroso in cui si ripercorre la storia della condizione femminile.
Nel saggio de Beauvoir racconta quella che potremmo definire la “maledizione della maternità”.
Fintanto che gli uomini vivevano in comunità nomadi la donna godeva di prestigio sociale proprio in virtù della sua capacità procreatrice, grazie alla quale era avvicinata alla terra e a Madre Natura. Col formarsi delle prime comunità stanziali, però, la maternità fu la causa principale per la quale la donna iniziò ad essere relegata nella sfera domestica. Col passaggio dall’età della pietra all’età del bronzo la “maledizione” prese forma.

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Simone de Beauvoir

Homo faber e femina natura

L’uomo iniziava a dedicarsi alla manifattura e si emancipava dalla natura e diventava fabbricatore del suo stesso mondo.
Si affermò quello che de Beauvoir definiva “homo faber”: un soggetto che scopre la causalità e la razionalità a discapito del sistema mitico-rituale che accostava la donna alla Dea-Madre.
La donna, non diventando compagna di lavoro per l’uomo, inizia a essere percepita come qualcosa che è altro da sé. In sintesi, l’uomo diventava un animale culturale mentre la donna continuava ad esser considerata solo natura. La donna, esattamente come la natura, doveva esser controllata a partire proprio dalla libertà riproduttiva.

La maternità secondo Pro Vita

Negare alle donne la libertà di scegliere trasforma la maternità in una “maledizione” o in una condanna. Nel 2023 continuiamo a lottare anche per questo.
È il 7 marzo: mancano poche ore alla Giornata internazionale per i diritti delle donne e per le strade di Catanzaro compaiono cartelloni dell’associazione Pro Vita & Famiglia.
Sui manifesti si legge: «difendiamo il diritto di non abortire» e si parla di migliaia di donne costrette ad abortire in Italia con l’hashtag #8marzo. Si tratta di una retorica non dissimile da quella del presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, invece, parla di tutela sociale della maternità.

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Un manifesto dell’associazione Pro Vita & Famiglia a Catanzaro

Aborti in calo grazie alla contraccezione

L’aborto in Italia è un problema urgente? E in Calabria?
I dati raccolti dal Sistema di sorveglianza epidemiologica raccontano che dal 1983 le interruzioni volontarie di gravidanza (ivg) sono in costante diminuzione.
Tra il 1982 ed il 1983 le ivg furono circa 230mila, nel 2020 si sono ridotte a meno di 70mila ed il tasso di abortività, tra le donne in età fertile dai 15 ai 49 anni, è passato dal 17,2 per mille al 5,4 per mille.
Ciò è stato possibile grazie alla contraccezione. L’Italia, inoltre, è tra i paesi europei occidentali in cui si ricorre meno all’ivg. Sono le cittadine straniere in Italia, semmai, ad essere statisticamente più a rischio di ricorrere all’aborto.

La maternità secondo la legge 194

Pro Vita parla di donne costrette ad abortire, argomento ripreso in più occasioni anche dalla Chiesa e dal Papa. Ma è davvero così facile abortire?
La legge 194 del 1978 regola la materia e si occupa della tutela sociale della maternità e dell’interruzione volontaria della gravidanza per garantire il diritto a una procreazione cosciente e responsabile.
La legge offre alle donne la libertà di scegliere e, nel caso in cui volessero interrompere la gravidanza, di accedere a delle cure mediche e ad un aborto sicuro.

Maternità e aborto: il consenso della donna

L’articolo 18 dichiara esplicitamente che chiunque cagioni un’interruzione di gravidanza senza il consenso della donna sarà punito con la reclusione da 4 a 8 anni. La legge che regola l’aborto, quindi, libera già le donne dalla coercizione di dover per forza tenere o meno il figlio.
Pro Vita, ma anche l’attuale governo, parlano di due principali ragioni per cui si presume che alcune donne siano costrette ad abortire: violenza da parte del partner o motivi economici.

Un manifesto per l’autodeterminazione delle donne

Violenza e problemi economici

Nel primo caso si guarda al dito e non alla luna: invece di pensare a piani di azione per tutelare le donne che subiscono violenza all’interno della propria relazione, si attacca la libertà di tutte di scegliere ricorrendo ad una retorica che, nei fatti, demonizza l’aborto.
Se non ci sono dati certi sugli uomini che costringono le compagne ad abortire, infatti, sappiamo che durante la gravidanza e dopo il parto aumenta il rischio che si ripresentino comportamenti violenti da parte di partner già violenti.
Nel secondo caso, quando si parla di fattori economici, si potrebbe sempre dare piena attuazione alla 194. Nell’articolo 2 della legge, infatti, si dichiara che i consultori possono anche aiutare la maternità difficile dopo la gravidanza.

I consultori per la maternità in Calabria

Ma qual è la salute dei consultori in Calabria? I dati raccolti dall’Istituto Superiore di Sanità fotografano una situazione apparentemente non troppo tragica, rispetto al resto del Paese. Infatti, in Italia c’è in media un consultorio ogni 20mila abitanti, in Calabria ce n’è uno ogni 29mila.
In concreto, però, la situazione calabrese è più complessa.
Benché alcuni consultori risultino aperti, in realtà non erogano alcun servizio o di fatto sono inattivi.

Il consultorio di Locri

I casi limite in regione

In un articolo dello scorso dicembre de Il Post, si legge del consultorio di Rosarno aperto per la sola presenza di un membro del personale amministrativo.
Poi ci sono casi in cui i consultori sono soggetti a chiusure e riaperture cicliche, riaperture che in genere avvengono in seguito e proteste condotte da gruppi e associazioni, come a Celico e a San Giovanni in Fiore.

I problemi dei consultori

Le chiusure sono spesso causate dal mancato ricambio del personale che, magari, va in pensione. Tra i problemi dei consultori, infatti, rientra la carenza di personale che si traduce anche in un sovraccarico di lavoro. A questo si aggiunge la mancanza di macchinari. Poche settimane fa, per esempio, il collettivo femminista cosentino Fem.In ha occupato il consultorio dell’Unical perché sprovvisto di un ecografo, e non è il solo consultorio in regione col medesimo problema.

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La protesta delle Fem.In all’Unical

Troppi obiettori

Il diritto all’ivg, almeno, è tutelato in regione? All’Ospedale dell’Annunziata di Cosenza i 13 ginecologi sono tutti obiettori e sono tali anche 24 ostetriche su 26. Un solo medico, per una popolazione di 70mila abitanti, pratica l’ivg nell’Ospedale offrendo una “prestazione a gettone”.
Attraverso questa pratica gli ospedali tamponano la carenza di personale pagando alcuni medici ad ore. A livello regionale la situazione è la seguente: in poco più del 50% di tutte le strutture presenti sul territorio calabrese è possibile praticare l’ivg. Ma oltre il 65% dei ginecologi in servizio è obiettore di coscienza, ad essi si aggiunge un ulteriore abbondante 60% di personale non medico egualmente obiettore.

Aborto: un diritto a rischio

Bastano solo i numeri per notare, senza pregiudizi ideologici, che la vera urgenza è garantire alle donne il diritto di abortire o meno.
A dover essere tutelata è, ancora una volta, la libertà di poter scegliere. Ma ripetiamo: i dati sui consultori e sugli obiettori di coscienza raccontano di istituzioni che non mettono le donne nella condizione di poter scegliere, lasciando che la 194 sia più un diritto formale che non sostanziale.

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Uno striscione di protesta delle Fem.In all’Unical

Una legge ancora da attuare

Se si vogliono ulteriormente diminuire gli aborti, più che sulla possibilità di scelta si potrebbe continuare a investire risorse ed energie sulla contraccezione e sull’informazione.
L’articolo 15 comma 2 della 194 ricorda che «le regioni promuovono (inoltre) corsi ed incontri ai quali possono partecipare sia il personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sia le persone interessate ad approfondire le questioni relative all’educazione sessuale, al decorso della gravidanza, al parto, ai metodi anticoncezionali e alle tecniche per l’interruzione della gravidanza». Che sia forse il caso di preoccuparsi di più dell’effettiva e totale attuazione della legge che tutela sia la maternità che l’interruzione volontaria di gravidanza?

Francesca Pignataro

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