Locride, dove le scuole si salvano solo grazie alle pluriclassi

I figli di immigrati consentivano agli istituti elementari di sopravvivere, poi con i Decreti Salvini la situazione è cambiata in peggio

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Un tuffo nel passato delle scuole per ritagliarsi uno spiraglio, seppure piccolo, di futuro. Parte da un paradosso il tentativo dei piccoli centri calabresi di arginare la continua emorragia di nuove nascite che, negli anni, ha causato il progressivo e inarrestabile spopolamento di tanti centri delle aree collinari e montane. Nella galassia dei piccoli borghi che costellano le colline della Locride – 42 comuni affacciati sullo Jonio tra Monasterace e Brancaleone – quello dello spopolamento è un problema con cui si fanno i conti da decenni. E che, tra le tante conseguenze, ha finito col falcidiare l’offerta scolastica destinata ai più piccoli.

Sono decine di scuole costrette a chiudere i battenti per la mancanza dei numeri richiesti. Una deriva che sembrava inarrestabilmente destinata a favorire il travaso definitivo degli studenti di elementari e medie dai centri interni a quelli rivieraschi, ma che, pescando a piene a mani nel passato più o meno recente, si sta provando ad invertire con la reintroduzione del sistema delle pluriclassi.

Classi vintage per garantire un futuro

A Martone e San Giovanni così come ad Agnana e Canolo, e ancora a Stignano e a Placanica e più a sud a Samo e Sant’Agata del Bianco, paese natale dello scrittore Saverio Strati: il problema della chiusura delle scuole riguarda tutti, o quasi, i mini paesi arroccati sulle colline a pochi chilometri dal mare di questo pezzo di Calabria. Spesso hanno meno di mille abitanti, in prevalenza anziani, e i bambini e gli adolescenti che dovrebbero popolare le aule, semplicemente, non ci sono.

In totale sono 22 i Comuni che negli anni hanno visto ridotta la loro capacità di garantire la prima parte dell’istruzione obbligatoria. E così, per evitare di perdere le scuole elementari e le medie, nella maggior parte dei casi unici presìdi dello Stato presenti sul territorio, le amministrazioni comunali e le istituzioni scolastiche provinciali e regionali, hanno disegnato una nuova geografia didattica fatta di percorsi comuni e programmi condivisi da studenti di età diverse. Ad Agnana ad esempio, poco più di 500 anime arroccate alle pendici d’Aspromonte, il percorso della primaria è stato diviso in due: in una classe confluiscono gli alunni più piccoli dalla prima alla terza, nell’altra i più grandicelli che condividono il percorso del quarto e quinto anno.

Medie o elementari, cambia poco

Per le scuole medie l’unica scelta possibile, vista l’assenza di ragazzi e ragazze, è stata accorpare l’intero percorso formativo in un’unica classe, con quelli di prima che frequentano assieme ai loro compagni di seconda e di terza. A Martone, poco più di 600 abitanti pochi chilometri più a nord, la situazione non è molto diversa, con i bimbi delle elementari a dividersi due corsi pluriclassi. E così funziona anche a Samo, poco più di 800 abitanti a una decina di chilometri dal mare di Bianco. Qui le pluriclassi hanno riguardato sia le elementari che le medie, così come successo nei limitrofi borghi di Caraffa e Sant’Agata. E ancora a Staiti e San Giovanni di Gerace.

La transumanza quotidiana dei bimbi

Spesso però, accorpare più classi in una, non è sufficiente a raggiungere i numeri previsti per il mantenimento della scuola, e molti piccoli centri hanno dovuto rinunciare al loro personale “presidio di legalità”. Come successo a Pazzano, piccolissimo centro arroccato alle pendici delle Serre, i cui piccoli studenti, dopo la chiusura della primaria, sono costretti ad una quotidiana transumanza verso gli istituti di Stilo e di Bivongi. O come è accaduto a Canolo, comune costretto a sacrificare il plesso della frazione a valle per salvaguardare la scuola della frazione in alta quota e mantenere così il rapporto antico che lega la popolazione del piccolo centro con la sua secolare tradizione montana.

Via i migranti, addio alle scuole

La scuola elementare di Riace, in provincia di Reggio Calabria

A complicare una situazione dai risvolti drammatici, negli ultimi due anni sono arrivati anche i decreti Salvini con le conseguenti chiusure ai tanti progetti di accoglienza diffusa presenti sul territorio della Locride, da almeno 20 anni al centro di una delle rotte più battute dai flussi migratori che interessano il Mediterraneo. L’allontanamento delle famiglie migranti ha infatti sancito, per mancanza di iscritti, la chiusura di numerose scuole nei paesini che avevano trovato nuova linfa dalle famiglie provenienti da Medio Oriente e Africa.

Così è successo a Riace, costretta a chiudere la scuola del borgo, dove confluivano anche i bambini del limitrofo comune di Camini la cui primaria è stata chiusa negli anni passati per mancanza di alunni. Nell’ex paese dell’accoglienza erano proprio i bimbi migranti a garantire il numero minimo di iscritti per garantire almeno il sistema delle pluriclassi. Tutto finito e bimbi costretti a servirsi del bus per raggiungere la frazione marina.

Una parvenza di normalità

Lo stesso copione vissuto dai centri di Placanica e Stignano (insieme, meno di 3 mila abitanti) che erano riusciti a mantenere le scuole aperte grazie al flusso delle nuove famiglie venute dall’est. La chiusura dei centri di accoglienza ha comportato grandi cambiamenti e i due comuni, appollaiati su due cucuzzoli uno di fronte all’altro, per non perdere anche la scuola si sono inventati un percorso condiviso: in un centro la scuola media, nell’altro le elementari. Uno stratagemma che ha consentito di mantenere una parvenza di normalità ma che, nonostante tutto, non si è potuto sottrarre alla regola delle pluriclassi, che tra polemiche e difese a spada tratta, si è rivelato l’ultimo disperato tentativo di mantenere vive comunità che ogni giorno temono per la loro stessa sopravvivenza.

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