Non è retorico parlare di un processo infinito per i fatti di Legnochimica, la ex mini Fiat cosentina trasformatasi in ecomostro dopo la fine della produzione.
Il processo, in corso dal 2016 davanti al Tribunale di Cosenza, è l’esito di una serie di inchieste giudiziarie iniziate nel 2009, in seguito agli incendi sospetti scoppiati in quel che resta dell’ex fabbrica di pannelli in Ledorex a partire dall’agosto del 2008.
Tredici anni di indagini: un po’ tanti per un sospetto disastro ambientale.
Purtroppo, rischiano di non essere retoriche altre espressioni, con cui viene bollato l’ex sito industriale di contrada Lecco, nel cuore di Rende, circa trenta ettari schiacciati tra lo stabilimento di Calabra Maceri e quello di Silva Team, un’azienda specializzata nella produzione di peptina: “terra dei fuochi calabrese”, “Ilva cosentina” e via discorrendo.
Tre indizi faranno una prova?
Ancora oggi c’è chi contesta la pericolosità del sito. Lo hanno fatto alcuni funzionari dell’Arpacal, sentiti come teste nel 2019 durante il dibattimento in cui è rimasto alla sbarra un solo imputato: il commercialista Pasquale Bilotta, ex liquidatore dei beni della società di Mondovì, attualmente in fallimento per incapienza.
E, dall’altro lato, c’è chi insiste sulla pericolosità estrema di questi terreni, soprattutto perché gli indizi e le suggestioni non mancano, purtroppo.
C’è l’odore nauseabondo che promana dai terreni e dai tre laghi artificiali in cui fino all’inizio del millennio venivano trattati i materiali. Ci sono le fiamme, che si levano alte e inquietanti dalle acque di questi bacini non appena sale la temperatura.
E ci sono le morti sospette. Dieci in un anno e mezzo circa. Tutte per tumori alle parti molli. Tutte nella stessa zona: via Settimo, un angolo di un chilometro e mezzo che cinge l’ex stabilimento.
L’ultima parola, con ogni certezza, spetterà ai magistrati cosentini.
Vogliamo scommettere su come andrà a finire?
La storia delle inchieste
Nessuna dietrologia e nessun complotto. La Procura di Cosenza ha indagato su due elementi distinti ma collegati: l’ipotesi di disastro ambientale, attribuibile senz’altro all’attività di Legnochimica, e, ovviamente, la ricerca del colpevole.
Il presunto colpevole, Pasquale Bilotta, in questo caso è quello che è rimasto col classico cerino in mano.
Infatti, Bilotta ha una sola responsabilità: aver rilevato il ruolo di commissario liquidatore che fu di Palmiro Pellicori, tra l’altro l’ultimo amministratore di Legnochimica.
Pellicori è stato il primo indagato in questa vicenda complessa. L’inchiesta a suo carico, avviata dopo le denunce dei residenti e delle associazioni che li rappresentavano (il comitato Romore e l’associazione Crocevia) si fermò nel 2012, in seguito alla sua morte per leucemia.
Questa inchiesta ha lasciato un’eredità pesante e, finora, insuperata: la perizia di Gino Mirocle Crisci, geologo di vaglia e all’epoca non ancora rettore dell’Università della Calabria. Questo documento, importante e inquietante allo stesso tempo, finì archiviato con l’indagine. E si è risvegliato con l’indagine riaperta a inizio 2016.
Nel frattempo, nessuno ha prodotto un altro documento valido o fatto quel che si poteva (e doveva) fare: un piano di caratterizzazione credibile ed efficace e avviare la bonifica. Sempre nel frattempo, gli abitanti della zona industriale, ma anche quelli della vicina e popolosa Quattromiglia, sono stati investiti dai miasmi. E, come già detto, alcuni hanno iniziato a morire di tumore.
Occorre, a questo punto, fissare bene un concetto: una cosa è una ctu, cioè una consulenza tecnica redatta per conto della Procura che indaga; un’altra un piano di caratterizzazione, cioè una relazione tecnica sulle condizioni della zona su cui si sospetta l’inquinamento e di cui si intende promuovere la bonifica.
Nel caso di Legnochimica, la ctu e i tentativi di caratterizzazione non solo non coincidono, ma arrivano quasi a risultati opposti. Secondo la prima, l’area dell’ex stabilimento sarebbe praticamente compromessa, per i secondi, invece, l’inquinamento c’è, ma non sarebbe pericoloso.
La perizia Crisci
Non è il caso di scendere nei dettagli tecnici, che ci si riserva di approfondire.
In estrema sintesi, è sufficiente dire che la perizia di Crisci è un elaborato di non troppe pagine (circa una quarantina) zeppe di dati, con cui l’ex rettore dell’Unical relazionava all’autorità giudiziaria i risultati della sua indagine.
I contenuti sono spaventosi: Crisci riferisce di quantità di cloro, metalli pesanti, ferro, zinco e nichel in quantità abnormi, superiori fino al centinaio di volte i limiti massimi stabiliti dalle normative ambientali.
Attenzione a un dettaglio: già nel 2005 e nel 2008 i primi rilievi affidati ai tecnici dell’Arpacal parlavano di forte concentrazione di sostanze cancerogene nell’area.
E allora una domanda è spontanea: come mai l’Arpacal ha cambiato idea?
Ma prima di procedere è doveroso rispondere a un’altra domanda: come ha fatto Crisci a ottenere questi risultati?
In realtà, il primo a essere insoddisfatto di questa perizia è proprio il suo autore: in più occasioni l’ex rettore ha dichiarato che le sue ricerche sono state incomplete per l’insufficienza dei fondi a sua disposizione. Ma, a dispetto di questa insufficienza, ha lavorato tanto: ha effettuato prelievi d’acqua fino a dieci metri di profondità e prelevato porzioni di terreno fino a trenta metri.
Crisci avrà fatto poco, ma gli altri, cioè l’Arpacal e i tecnici incaricati da Legnochimica, hanno fatto di meno. Per il primo, il sito è pericoloso. Per gli altri no.
La perizia alternativa
Nel 2014 Rende cambia. L’amministrazione comunale guidata da Marcello Manna inizia un rapporto delicato e pericoloso con la società di Mondovì per arrivare alla bonifica in tempi brevi.
Il costo della bonifica sarebbe di circa sei milioni e mezzo, ma l’azienda prende tempo e propone soluzioni che definire low cost è davvero poco: dal Piemonte arrivano proposte di interventi per un massimo di 650mila euro. Più che un divario, un burrone. E Bilotta, ovviamente, difende gli interessi dell’azienda che rappresenta.
Il balletto dura fino al 2016, quando la Procura, sommersa dalle denunce, riapre l’inchiesta e recupera la perizia di Crisci.
Tutto risolto? Neanche per sogno, perché la perizia viene messa in discussione.
La procuratrice aggiunta Marisa Manzini nomina un nuovo consulente: è il chimico Giovanni Sindona, anche lui docente dell’Unical e già protagonista dell’inchiesta sull’ex Pertusola di Crotone, altro grave disastro ambientale tutto calabrese.
Purtroppo, Sindona fu al centro di un’altra inchiesta, non proprio bellissima: riguardava una presunta truffa ai danni dello Stato.
Per amor di verità, è doveroso dire che la posizione del prof di Arcavacata fu archiviata. Ma, sempre per amor di verità, è importante ricordare che in quell’inchiesta finirono in manette otto persone, alcune delle quali legate proprio all’ex Legnochimica.
La perizia Sindona non è mai uscita. Sei mesi dopo il ricevimento dell’incarico, il chimico dell’Unical si limitò a dire che i lavori procedevano a rilento ma che comunque i primi risultati erano diversi da quelli ricavati da Crisci. Risultato: la Procura revocò l’incarico a Sindona e riprese la perizia Crisci tal quale.
Quali fossero le differenze tra questo lavoro incompiuto e la relazione dell’ex rettore non è dato sapere. Né può spiegarlo Sindona, passato a miglior vita all’inizio del 2020.
La relazione Straface
Nel frattempo, l’amministrazione Manna non è stata con le mani in mano. Non avrebbe potuto, anche perché il sindaco, il suo assessore all’Ambiente e il dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune erano finiti sotto inchiesta assieme a Bilotta.
Ma per fortuna, a differenza del commercialista, le loro posizioni furono archiviate.
Il Comune di Rende, nel 2017 erogò una borsa di studio a favore dell’Unical, da cui è derivata la perizia del professor Salvatore Straface, anch’essa un esempio di incompletezza, tra l’altro giustificata: i cinquantamila euro messi a disposizione dal municipio sono bastati sì e no per alcuni prelievi e scavi superficiali.
I risultati? Neanche a dirlo, completamente divergenti dalla perizia Crisci: l’inquinamento c’è, ma non è pericoloso. Peccato solo che i pochi mezzi non giustificano risultati così perentori.
Un finale annunciato?
È il momento di riprendere la scommessa fatta all’inizio. Il processo a carico di Bilotta potrebbe finire in una maniera tipicamente all’italiana: certificherebbe un disastro senza colpevoli, perché la strategia della difesa, a quanto si è appreso dalle cronache, mira più a sfilare l’imputato dall’accusa di disastro ambientale che a negare il disastro.
Sarebbe l’ennesima beffa per i cittadini di Rende e per tutti coloro che hanno a cuore l’ambiente. Legnochimica è andata in fallimento, non potrà provvedere alla bonifica in nessuna misura. E difficilmente potrà farlo il Comune, le cui casse sono in crisi da anni.
Intanto altre persone della zona sono morte, sempre di tumore, accrescendo il bilancio macabro che riguarda gli abitanti della zona e gli ex dipendenti dell’azienda, tra cui le neoplasie hanno mietuto non poche vittime.
Ma queste sono altre storie, su cui si ritornerà a breve.