Uno degli ultimi rapporti del progetto dell’Interpol I-Can, International Cooperation against ndrangheta documenta come la criminalità organizzata calabrese sia l’unica a essere presente nei cinque continenti del pianeta. E per presenza, non si intende certo una presenza sporadica o silente. Nei territori di tutto il globo, la ‘ndrangheta riesce a fare affari prettamente illeciti, quali il traffico di droga e di armi. Ma anche a inquinare l’economia apparentemente legale, con il riciclaggio in settori quali l’edilizia, la ristorazione, le strutture ricettive o il gioco d’azzardo. In alcuni luoghi riescono a eleggere anche i sindaci.
Alla conquista dell’Europa
Fu, soprattutto, la strage di Duisburg del Ferragosto 2007 a dimostrare la presenza pervasiva e pericolosa delle ‘ndrine nel cuore dell’Europa. Ma nel Vecchio Continente, la ‘ndrangheta faceva affari da diversi anni. Sfruttando anche una legislazione in larga parte inadeguata a contrastarla. Numerosi Paesi europei continuano infatti a fare ostruzionismo rispetto alle richieste di Strasburgo, che da oltre un decennio chiede di estendere ai Paesi membri il reato di associazione mafiosa, per poter contrastare le mafie in maniera globale. E non sono bastate nemmeno le pressanti richieste di Europol ed Eurojust.
La ‘ndrangheta è presente sostanzialmente nei principali Paesi dell’Unione Europea. A partire dalla Germania della strage di Duisburg. A Singen, la polizia tedesca è riuscita anche a intercettare la riunione di un locale, che si svolgeva con le medesime modalità della casa madre calabrese. Il Baden-Württemberg come se fosse Platì o Isola Capo Rizzuto. E poi la Francia, dove, da sempre, sono di casa alcuni dei clan più importanti. Si pensi ai De Stefano e alla loro colonizzazione di Antibes, in Costa Azzurra. Ma anche la Spagna, dove, negli anni, hanno trovato rifugio numerosi importanti latitanti. Da ultimo, l’arresto del boss Domenico Paviglianiti, catturato ad agosto a Madrid.

Giacomo Ubaldo Lauro negli anni ’70 e ’80 era un boss di primissimo livello della ‘ndrangheta. Poi, divenuto collaboratore di giustizia, ha raccontato di come, già oltre quarant’anni fa, smerciasse chili di droga nei Paesi Bassi. Proprio lì, dove le cosche sono riuscite a infiltrare anche il mercato dei fiori, vero vanto dello Stato frugale. Rotterdam e Anversa, del resto, sono da sempre porti aperti per le ‘ndrine. Esattamente come se ci trovassimo a Gioia Tauro. «L’uso sempre maggiore di spedizioni tramite container che fanno affidamento ai porti ad alto traffico di Anversa, Rotterdam e Amburgo hanno consolidato il ruolo dell’Olanda come punto di transito», si legge nel recente rapporto stilato sui traffici di droga dall’Europol.
Il rapporto “Cocaine Insights” dell’Europol specifica inoltre come lo scorso anno, i sequestri complessivi di cocaina ad Anversa siano stati pari a 65,6 tonnellate. Le cosche egemoni sono proprio quelle che, da anni, controllano il territorio calabrese. Dai Bellocco di Rosarno, ai Nirta-Strangio di San Luca.
Il Regno Unito
Discorso a parte merita il Regno Unito. Lì, in maniera per adesso molto sottovalutata, le mafie riciclano miliardi e miliardi di sterline. Nella City di Londra, cuore pulsante della Borsa, broker della ‘ndrangheta si muovono già da anni. In maniera piuttosto incontrollata. «Il Regno Unito rappresenta da sempre, per la criminalità mafiosa, un’area di interesse per riciclare denaro, utilizzando società finanziarie e attività imprenditoriali» scrive la DIA in una recente relazione semestrale.

«Dalla Brexit un assist per le mafie» diceva qualche anno fa il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri. Un rapporto del 2019 della National Crime Agency britannica sosteneva che ben 100 miliardi di euro di capitali illeciti venissero “lavati” nella City di Londra.
Le inchieste “Vello d’oro” e “Martingala”, condotte congiuntamente dalle Dda di Firenze e Reggio Calabria avrebbero aperto degli squarci di luce. Attraverso società cartiere nel Regno Unito e in altri Paesi, le cosche realizzavano attività di riciclaggio e di reimpiego di capitali illeciti.
Le “zone franche”
Spostandoci verso Est, il barbaro omicidio del giornalista Jan Kuciak ha dimostrato come i gruppi calabresi fossero molto forti e radicati in Slovacchia. Il giornalista stava proprio indagando sugli affari di alcuni imprenditori della provincia di Reggio Calabria, i Vadalà, e su alcuni incroci pericolosi con la politica nazionale. In luoghi del genere, la ‘ndrangheta continua ancora a muoversi con grande disinvoltura.
In questi luoghi, prevalentemente le cosche riciclano denaro. Proprio grazie a queste relazioni oscure con il potere. Le attività predominanti sono quelle dell’edilizia e della ristorazione. Ma anche quelle dei vizi: e, quindi, le strutture ricettive di fascia alta, le rivendite di auto di lusso, il giro di prostituzione. Una nuova frontiera, recentemente documentata, è quella della formazione, con gli interessi nella gestione di corsi per il conseguimento di attestati professionali e di studio.
All’interno del Vecchio Continente vi sono, notoriamente, alcune nazioni che sono dei veri e propri “porti franchi” per gli affari delle cosche. È il caso di Malta. Nella piccola isola britannica, le cosche riciclano denaro e sono assai attive, soprattutto con riferimento al gioco d’azzardo. Sono le indagini “Gambling” e “Galassia” a fotografare la situazione di un Paese che spesso si gira dall’altra parte. E che permette ancora eclatanti omicidi, come quello della giornalista Daphne Caruana Galizia. Nel Lussemburgo, poi, le cosche della Locride avrebbero messo in piedi già da tempo una fitta rete per gestire il riciclaggio di denaro sporco.
Il Medio Oriente
E poi ci sono i corridoi e i canali tradizionali. Traffico di hashish ed eroina che riguarda anche la Grecia, rotta di passaggio verso le coltivazioni di papavero del Medio Oriente. Ma anche i rapporti con i gruppi criminali dei Balcani per quanto concerne il traffico di droga e armi. Recentemente, l’ha dimostrato l’inchiesta “Magma”, condotta dalla Dda di Reggio Calabria. All’inizio dell’anno è stato anche estradato in Italia Ardjan Cekini, considerato il referente dei Bellocco nei Balcani.
Ruolo sempre crescente, poi, quello degli albanesi nel mercato della droga. Come testimonia, peraltro, il rapporto stilato dall’Europol. Ma, assicurano gli inquirenti, non si può parlare di una perdita del monopolio da parte delle ‘ndrine, ma di una maggiore forza degli albanesi (rispetto ad altri gruppi) di dialogare con la ‘ndrangheta per questo tipo di business.
Già da metà degli anni ’90, inoltre, è noto il ruolo del consulente finanziario Sebastiano Saia. Costui sarebbe, da sempre, uomo di riferimento di uno dei più grandi narcotrafficanti della storia, Pasqualino Marando. Conosciuto in tutto il mondo, Marando sarebbe riuscito a entrare in contatto con il broker turco della droga, Paul Waridel, proprio grazie a Saia. Così, dunque, Marando avrebbe allargato i propri orizzonti. Già in quel periodo smerciava droga non solo in Sud America, ma anche in Medio Oriente, grazie ai rapporti con la famiglia pakistana Hafeez.
Saia, catanese, capace di relazionarsi con mondi diversi anche grazie al suo basso profilo. Una vita da romanzo, sparsa in giro per il globo. Nel corso degli anni, verrà catturato anche a Londra. Tra il 2015 e il 2016 si sposta prima in Turchia e poi in Grecia dove viene arrestato ancora una volta per truffe internazionali. Scagionato totalmente nel 2018, fa perdere le sue tracce.
L’America
Scomparso nel 2001 nell’ambito della faida di Platì, Pasqualino Marando avrebbe per anni fatto affari di droga con tutto il Sud America. Insieme a Bruno Pizzata, ma, soprattutto, a Roberto Pannunzi, il “Pablo Escobar italiano”, sono considerati i più grandi broker del narcotraffico di tutti i tempi. Ma l’elenco potrebbe essere pressoché infinito. È recentemente venuta a galla, con catture e fughe rocambolesche, la caratura criminale del boss Rocco Morabito, detto “Tamunga”, divenuto signore incontrastato in Uruguay dalla nativa Locride.

In generale, le cosche di ‘ndrangheta, da sempre, dialogano da pari a pari con i cartelli della droga del Sud America. Dalla Colombia al Messico, passando per il Brasile. Ma non c’è Stato latinoamericano in cui le ‘ndrine non abbiano messo radici. Gli uomini di ‘ndrangheta sono considerati infatti i più affidabili. Anche per l’esiguo numero di collaboratori di giustizia al proprio interno. Grazie a questo ermetismo e alla enorme liquidità economica, le ‘ndrine hanno scalzato nei rapporti di forza Cosa Nostra. Che, invece, fino agli ’80 faceva la parte del leone.
Situazione simile anche negli Stati Uniti. Dove ormai Cosa Nostra recita un ruolo più marginale rispetto al passato. Scrive la DIA in un suo rapporto: «Non ultimo, avrebbe concorso a questo ridimensionamento anche la pressione esercitata da altre organizzazioni per il controllo del territorio, in particolare della ‘ndrangheta, che si starebbe sostituendo ai rivali siciliani nel controllo del traffico e dello spaccio di stupefacenti. Allo stesso tempo, la ’ndrangheta sarebbe altrettanto attiva nel riciclaggio e nel reimpiego di capitali illeciti».
Il Nuovo Mondo, del resto, è quello che, forse, nasconde meno segreti sull’infiltrazione delle cosche sul territorio. Vecchi ormai quasi di un secolo i rapporti tra la ‘ndrangheta e le famiglie mafiose emigrate oltreoceano. Secondo quanto messo nero su bianco dalla DIA, negli ultimi anni le cosche della Locride sarebbero in grande espansione soprattutto nello stato di New York e in Florida.
Negli ultimi anni sono state in particolare le operazioni “New Bridge” e “Columbus” a dimostrare la pervasività delle ‘ndrine sul territorio a stelle e strisce. A essere colpite, tra le altre, le cosche Ursino, Morabito in contatto la storica famiglia mafiosa dei Gambino e sempre alla ricerca di nuove alleanze per il traffico di droga. Era un ristorante del Queens, a New York, la base operativa delle cosche. Il ristorante era gestito da un calabrese incensurato, Gregorio Gigliotti, originario di Serrastretta, nel Catanzarese. Un business, quello di cocaina (soprattutto) in cui erano coinvolti anche gli Alvaro, che avevano allargato gli orizzonti fino al Costa Rica.
E poi c’è il Canada. In principio fu il “Siderno Group of Crime”. Decenni fa, ormai, i Commisso, storica cosca sidernese, spostarono molti dei propri interessi nel Paese dell’acero. Il meccanismo è sempre quello della riproduzione delle dinamiche locali su territori lontani. Le locali di ‘ndrangheta canadesi fornivano appoggi funzionali alla “casa madre”, per trafficare droga e riciclare denaro. In particolare, i carichi di cocaina prodotta in Colombia viaggiano attraverso il Venezuela. Per arrivare poi negli USA e in Canada. Tutte dinamiche cristallizzate nell’inchiesta “Crimine 2”, ma anche “Acero Connection-Krupy” e “Typograph–Acero bis”.
La ‘Ndrangheta in Africa
Terzo Mondo a chi? Anche l’Africa è un territorio in grande crescita per quanto concerne gli interessi di tipo ‘ndranghetista. Già nell’inchiesta “Igres” emerse il ruolo del narcos Vito Bigione, uomo potentissimo in Namibia, capace di svolgere il ruolo di anello di congiunzione tra narcos sudamericani, Cosa Nostra e ‘ndrangheta. Parliamo di fatti avvenuti tra il 2001 e il 2002. Quindi, sostanzialmente, vent’anni fa.
Ancor prima, il collaboratore di giustizia Francesco Fonti, “santista” della Locride, aveva reso importanti dichiarazioni sui traffici di armi, ma, soprattutto, di rifiuti tossici e radioattivi tra Italia e Somalia. Siamo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 quando la ‘ndrangheta avrebbe avuto un ruolo importante. Tutto si incastra nel periodo della missione umanitaria “Restore Hope”. Vicende inquietanti, di intrighi internazionali, che si intrecciano anche con l’uccisione dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin a Mogadiscio. E con la morte sospetta del capitano di corvetta, Natale De Grazia, ufficiale della Marina Militare di Reggio Calabria, morto in circostanze sospette proprio mentre indagava sulle “navi dei veleni”.

Negli anni gli affari si sono evoluti e anche i territori diversificati. Vi sono per esempio tracce importanti degli affari della ‘ndrangheta in Costa d’Avorio. Un’inchiesta di IRPI (Investigative Reporting Project Italy) dimostrò come il potente imprenditore dei rifiuti nel Lazio, Manlio Cerroni, si muovesse molto bene tra Senegal e Costa d’Avorio. Luoghi dove, ulteriormente crescente era ed è il ruolo dei calabresi. Appena pochi mesi fa, a maggio, tre persone sono state arrestate su mandato della Procura della Repubblica di Locri. L’accusa è quella di corruzione internazionale nei confronti di funzionari della Costa d’Avorio e trasferimento fraudolento di valori. L’ipotesi investigativa è quella che tutto potesse celare un interesse delle cosche nell’estrazione dell’oro. Dietro le compagini societarie ricostruite dagli inquirenti, infatti, troverebbe posto anche un soggetto considerato contiguo ai Marando di Platì.
Recentemente, inoltre, alcuni collaboratori di giustizia hanno anche parlato dell’interesse della ‘ndrangheta per il coltan, che viene estratto in ingenti quantità nella Repubblica Democratica del Congo. Si tratta di un minerale preziosissimo, fondamentale, come è noto, per la fabbricazione dei cellulari.
L’Asia e l’Oceania
Ovviamente, tali, enormi, disponibilità finanziarie trovano spessissimo sponda importante in territori incontrollati o paradisi fiscali, quali Cipro, Singapore, Panama, Nuova Zelanda, Bahamas, Svizzera, Spagna, Austria. O, ancora, a Dubai, Isola di Man, Cayman e Seychelles. Non è un caso, infatti, che l’ex deputato di Forza Italia, Amedeo Matacena, considerato vicinissimo alle cosche, stia trascorrendo la propria latitanza dorata proprio a Dubai.
E questi affari portano direttamente anche alla collaborazione tra cosche calabresi e triadi cinesi. Difficile, quasi impossibile, ricostruire i rapporti dei clan in Paesi così chiusi. Governati da dittature o simil dittature. È il caso della Russia, per esempio. Ma anche, evidentemente della Cina. Gran parte del coltan, infatti, finisce sul territorio dello stato della Grande Muraglia. E lì le organizzazioni criminali si spartiscono gli ingenti profitti. Gruppi criminali agguerriti, in cui sarebbe riuscita a insinuarsi anche la ‘ndrangheta, per quanto concerne il mercato delle armi.
Ma la vera avanguardia sotto il profilo degli affari è Hong Kong. Lì, già dal 2014, vennero documentati gli affari del boss Giuseppe Pensabene, detto “Il Papa” del broker italo-svizzero Emanuele Sangiovanni. Secondo quanto emerso dalle indagini, in conti segreti di istituti finanziari della città-Stato asiatica sarebbero arrivati diversi milioni di euro appartenenti ai clan calabresi. C’è poi una recentissima indagine sul conto delle cosche crotonesi, in particolare sui clan Mannolo e Grande Aracri. Stando alle ricostruzioni della Guardia di Finanza, vi sarebbe anche un’operazione da circa 400mila euro effettuata tramite la filiale di Hong Kong della banca HSBC.
Oltre alle disponibilità economiche, la vera forza della ‘ndrangheta è rappresentata dalle relazioni. In tutti gli stati del mondo dove è presente e dove incide, può contare su una fitta rete di professionisti, di broker, insospettabili “colletti bianchi”. Una delle nazioni più emblematiche, da questo punto di vista, è l’Australia. Lì, attraverso l’immigrazione avvenuta negli scorsi decenni, la ‘ndrangheta è riuscita a ricreare quasi una seconda Calabria. Numerosi gli episodi criminali, anche fatti di sangue che celano la mano delle ‘ndrine. Nel 2016, per esempio, venne ucciso il boss Pasquale Barbaro. Non a San Luca. Né a Cetraro. Ma a Sidney.

In Australia, la ‘ndrangheta ha una forza così grande da riuscire anche a eleggere i politici. Un caso su tutti, quello di Domenico Antonio Vallelonga, per tutti Tony Vallelonga. Sindaco dal 1997 al 2005 della cittadina di Stirling, popoloso sobborgo di Perth, la capitale del Western Australia. Avrebbe rivestito un ruolo di vertice nel locale di appartenenza. È stato esponente di vari consigli regionali e presidente di importanti associazioni locali, di comitati comunitari e di alcune associazioni di cittadini italiani. Un recordman, eletto per ben quattro mandati. Anche con percentuali plebiscitarie. Originario di Nardodipace, in provincia di Vibo Valentia, Vallelonga viene intercettato dai Carabinieri, all’interno della lavanderia “Ape Green”, centro nevralgico della cosca Commisso di Siderno.
Perché è proprio questo uno dei segreti che consente alla ‘ndrangheta di essere presente (e incidere) sui cinque continenti. Mai perdere il contatto con la “casa madre” calabrese.