Deserto blu: meglio mangiare bianchetto oggi o pesce domani?

Le acque dello Jonio da una decina d’anni si arricchiscono di nutrienti. Eppure i pescatori continuano a tornare con le reti vuote. Il mare è sempre più caldo e cambiano le specie che lo attraversano e lo vivono. E la passione dei calabresi per il novellame mette a rischio il futuro di un ecosistema già precario

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«È dal 15 gennaio che non facciamo pescato, tra maltempo e altro. Ad andare con 200 nasse, spesso non prendiamo nemmeno un gambero». In circa 50km di costa, tra Capo Spartivento e il Golfo di Squillace, Nino ormai non prende quasi più niente.
Da qualche anno è cambiato tutto. L’abbondanza di una trentina d’anni fa è finita. Niente più banchi di cefali. Niente più sacchi di polpi, come era abituato il vecchio Turiddu: «Non aveva secchi, né casse: portava solo dei sacchi. Li riempiva con i polpi, 100 chili tutti i giorni, era normale per lui un pescato del genere. Ora, anche il polpo… Negli ultimi 7 anni, vedrà circa 10 esemplari in tutto l’anno. È una situazione drammatica».

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Pescatori sullo Jonio

Sostenere i costi della sua attività, la cooperativa Argonauta a Marina di Gioiosa Ionica, è sempre più difficile. «Io l’inverno e in primavera riuscivo a lavorare, tempo permettendo. C’è stata una volta in cui sono stato in mare per 260 giornate. Adesso molte meno, con la scusa del maltempo. Ma la verità è che manca il pescato».
E quando non si trova il pesce, i giri a vuoto sono sempre più frequenti. E costosi. «Qualsiasi cosa fai non sai se ti conviene. Le spese aumentano esponenzialmente. Un esempio, andare con i palangari. Servono almeno 10 casse di sarde: sono 200 euro solo per le esche».

Estinzione di massa

Quella di Antonino non è la prima, né l’ultima storia di pescatori che stanno arrancando, che non sanno come si evolverà il proprio lavoro nel giro dei prossimi anni. Un’incertezza che ci porteremo dietro per molto tempo. Uno studio della rivista Nature rivela che non rispettare i limiti alle emissioni di gas serra previsti dagli accordi di Parigi potrebbe innescare un’estinzione di massa della vita marina nel giro di due secoli, così grande da avere effetti simili alle cinque estinzioni di massa già avvenute sulla terra.

Senza dimenticare quello che già sappiamo su quello che sta avvenendo all’oceano. L’IPCC, nel report dedicato a Impatti, adattamento e vulnerabilità, ha evidenziato come il Mar Mediterraneo ha registrato temperature in aumento ed un innalzamento del 1,4 mm l’anno nel corso di tutto il XX secolo. Un quadro che mette a rischio anche una lunga serie di città costiere.
In tutto questo, come sta il Mar Jonio?

Pochi pesci nello Jonio?

La prima cosa da chiedersi è se la popolazione ittica è veramente diminuita nel corso degli ultimi anni. La risposta, come al solito, è complessa. «C’è una spinta naturale al ripopolamento, accompagnata invece una pressione antropica che genera un equilibrio in diminuzione. Questo è il combattimento quotidiano che avviene lungo le coste ioniche».

A spiegarci cosa succede è Emilio Cellini, direttore del Centro Ragionale di Strategia Marina, la struttura dell’Arpacal dedicata allo studio delle condizioni del mare e della costa.
Da un lato, ci sono delle dinamiche naturali che spingono verso il ripopolamento. In generale, il Mar Jonio ha acque povere di nutrienti. Un fenomeno che, da circa un decennio, sta vedendo un capovolgimento: «Le acque superficiali del mar Jonio si stanno arricchendo di nutrienti, perché si sta osservando il movimento di acque di risalita dei fondali dello Jonio».

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Guardavalle, fondale sabbioso con relitto che diventa oasi/tana per i pesci (foto Wolfgang Poelzer, per gentile concessione della Megale Hellas Diving Center di Marina di Gioiosa Ionica)

È la morfologia della zona a scatenare questi fenomeni di upwelling. Lo Jonio calabrese è caratterizzato da grandi canyon, come quello del Golfo di Squillace. «A queste profondità, si parla di canyon di oltre 1300 metri di profondità, c’è un meccanismo di risalita di acque fredde levantine provenienti dalla Grecia, cariche di nutrienti». Stavolta, a parlarci è Silvio Greco, direttore della sede calabrese della Stazione Zoologica Anton Dohrn, uno dei più importanti centri di biologia marina al mondo.

Tutto questo rende l’acqua più ricca di fitoplancton e altri nutrienti che permettono alla vita marina di sostenersi e prosperare. Oltre a rendere le acque più pulite: «Nello Jonio si arriva subito sul fondo, e questi fenomeni permettono alle sue acque di avere un forte idrodinamismo. Sul Tirreno, dove la piattaforma è più lenta a scendere, è più complicato, l’impatto dei contaminanti è diverso».

Pescare meno, pescare meglio

Abbiamo una risorsa che ha una spinta naturale ad essere molto più abbondante. Perché allora le nasse dei pescatori sono vuote?
«L’overfishing, accompagnato dall’inquinamento, ha portato a un crollo delle risorse di pesca negli ultimi 20 anni». Per Silvio Greco, i dubbi sono pochi: la risorsa è stata gestita malamente. «Fino a pochi anni fa, la logica del pescatore era quella di pescare il più possibile. Usciva la mattina per prendere tutto quello che trovava».

La pesca eccessiva ed illegale ha un grosso peso, ma misurarne l’impatto non è semplice. Secondo l’ultimo report Mare Monstrum di Legambiente, solo nel 2020 sono stati sequestrati più di 40 mila chili di prodotti ittici pescati illegalmente.
La Calabria sarebbe la quarta regione d’Italia per numero di infrazione, pari al 7,2% del totale italiano. Sono numeri in calo, ma che risentono degli effetti della pandemia. Inoltre, è molto complicato individuare le infrazioni.

Il futuro dello Jonio? Siamo fritti

In particolare, i calabresi stanno pagando a caro prezzo la loro passione per il bianchetto (o sardella o rosamarina che dir si voglia). È una passione particolarmente distruttiva. Qualche chilo di novellame di alici e sarde corrisponde a quintali di pesci adulti: sono cicli di vita che vengono interrotti prima che possano fiorire e riprodursi. Una perdita immensa, sotto forma di frittella. La loro pesca è illegale dal 2006, da quando è entrato in vigore il regolamento europeo 1967/2006.
Lo stesso Nino è convinto: «Nel dicembre del ‘91 andavo al mercato di Crotone. Quello che mi colpiva è che tutte le sere ogni barca portava almeno 20 casse di scampetti, che saranno stati della dimensione di un mignolo. Quel ciclo è stato distrutto, te lo posso garantire. E chissà quante altre volte è successo».

Frittelle di bianchetto

Uno sfruttamento che ha colpito duramente proprio i pescatori. O almeno, le generazione più giovani di pescatori. Secondo Greco, è emblematico il crollo delle registrazioni nel registro barche e natanti negli ultimi 20 anni: «Per ogni attrezzo e imbarcazione, si registra una forte riduzione. E senza i pescatori, si perde anche un patrimonio materiale di conoscenza, saperi, che spariscono insieme a loro».

Gli scarichi abusivi e l’emergenza depurazione

Se è vero che non mancano le storie di inquinamento industriale in Calabria, come l’infinita epopea del Sin di Crotone, a caratterizzare il Mar Jonio è soprattutto l’inquinamento microbiologico, dovuto alle acque di scarico non controllate e non depurate. Piccole emergenze sparse, che ne fanno una gigantesca.
Per Cellini, quella delle acque reflue è la questione che va attaccata con più decisione: «Il problema principale è questa selvaggia politica di non governo degli scarichi abusivi, reflui che vengono rilasciati in mare da impianti di depurazione non funzionanti. Ed è anche e soprattutto un’emergenza culturale».

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Carabinieri in azione durante la recente operazione Deep

La condizione dei depuratori sarebbe tragica in tutto il territorio. «Le posso dire che su dieci impianti costieri, saranno solo 2 o 3 quelli efficientati. Gli altri vanno assolutamente sotto stress». Questo perché molto spesso gli impianti sono stati concepiti per coprire un numero di abitanti inferiore rispetto al carico estivo.
In quest’ambito, la Regione sembra aver preso il toro per le corna. Proprio la stazione zoologica Anton Dohrn, a novembre del 2021, ha stipulato un accordo per la tutela del mare calabrese con la giunta regionale di Roberto Occhiuto: il centro si occupa soprattutto del monitoraggio del sistema di depurazione. Nello stesso periodo, la Stazione ha firmato un protocollo d’intesa con la Procura di Vibo Valentia.

L’invasione aliena

Con l’aumentare delle temperature, si sta rimescolando la popolazione ittica. Pesci tropicali, che non dovrebbero arrivare nel mar Jonio, iniziano a farsi largo e a competere per il predominio sul territorio con quelli autoctoni.
Secondo il WWF, in tutto il Mediterraneo sono entrate quasi 1.000 nuove specie invasive. In certe zone, le specie locali sarebbero crollate del 40%. Non solo: le specie aliene intaccano profondamente gli ecosistemi che invadono.
In Turchia ed in Grecia, ad esempio, i pesci coniglio hanno ridotto del 65% le grandi piante marine, ed il 60% delle alghe. L’impatto si è sentito su tutta la fauna: la popolazione ittica è calata del 40%.

Aplisia dagli anelli, specie atlantica, in un fondale sabbioso del basso Jonio (foto Wolfgang Poelzer, per gentile concessione della Megale Hellas Diving Center di Marina di Gioiosa Ionica)

Le specie aliene hanno due ingressi naturali sul Mar Jonio: il canale di Suez, e lo stretto di Gibilterra. «Stiamo registrando da circa 40 anni, grossomodo da quando ho iniziato lavorare, un aumento delle cosiddette specie aliene invasive. Abbiamo registrato almeno duemila specie aliene tra crostacei, molluschi e alghe. Molte di queste sono diventate specie commerciali», racconta Silvio Greco.
Un esempio è la vongola. «Quando mangiamo gli spaghetti alle vongole pensiamo di mangiare delle vongole mediterranee, in realtà molto spesso sono filippine», spiega di nuovo Cellini. La Ruditapes philippinarum, infatti, è diventata molto più popolosa della vongola verace italiana

Antonino, in questi anni, ne ha visti di tutti i tipi: «Saranno almeno 15-20 anni che troviamo il pesce palla. Così come mi è capitato spesso di pescare dei barracuda. Quando ho lavorato su Bagnara, avrò visto un banco di 15-20 quintali, che pesavano almeno 15 chili».
Oltre alle “frontiere” naturali che possono attraversare, i pesci possono sfruttare le cosìddette ballast waters, le acque di sentina delle navi. «Quando arrivano, per esempio, nel porto di Livorno, scaricano quell’acqua e caricano i container con i materiali. In quell’acqua, però, c’è di tutto. È successo che una di queste navi scaricasse un’alga, la Ostreopsis ovata, che era tossica e creava problemi di tossicità ai bagnanti che erano sulla spiaggia», ci racconta Greco.

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Granchi blu pescati da Nino. Il Callinectes sapidus è originario dell’Atlantico: non dovrebbe trovarsi nello Jonio

Jonio, quello sconosciuto

Nonostante tutto, Cellini ci ricorda che «le condizioni ambientali dello Jonio, fatta salva come dicevo la contaminazione microbiologica dovuto ad acque reflue non trattate, è un mare che ha tutto il carattere delle eccellenze».
Se, da un lato, il quadro sembra rassicurante, va ricordato che è un equilibrio delicato, precario, in cui il cambiamento climatico continuerà ad avere un ruolo decisivo, stravolgente.

Inoltre, non abbiamo mai avuto il quadro completo. «Noi abbiamo in generale una abissale ignoranza sui mari italiani, che diventa ancora più profonda quando si va a parlare di Mar Jonio. Abbiamo mappato meno dello 0,1 % dei fondali marini del paese» lamenta Silvio Greco.
Una mancanza di expertise e conoscenze che abbiamo pagato nel tempo. Non esiste nemmeno una facoltà di biologia marina in tutta la Regione. Per Cellini, «la Calabria, per troppi anni, ha voltato le spalle al mare, guardando più ai monti e alle colline».

 

Il primato alla rovescia dell’Arpacal

Per non parlare delle risorse. Cellini ha voluto sottolineare i passi in avanti degli ultimi anni, ma c’è ancora tanto da fare. L’Arpacal, ad esempio, è una delle poche Arpa d’Italia che non ha a disposizione un battello oceanografico: «Tutte le Arpa d’Italia hanno una barca dedicata allo studio degli impatti e della valorizzazione dell’ambiente marino, la Calabria no». Un problema condiviso con lo stesso Silvio Greco, che si sta impegnando per lasciare un batiscafo al centro di Amendolara.

Potenziare il monitoraggio sarà fondamentale per gestire il futuro della pesca, e dei territori in generale. Per il direttore Cellini basterebbe che li mettessero in condizione di poter fare nel migliore dei modi quello che già fanno, «con del personale adeguato, un piano di tutela delle acque accompagnato da un controllo puntuale su tutti i corpi idrici superficiali e di tutti i depuratori».
Senza il quadro completo, sarà impossibile «mettere il sale sulla coda ai violentatori dell’ambiente marino-costiero calabrese».

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