Sesso malato: l’allarme c’è, ma non si dice

La testimonianza di un paziente sieropositivo a Reggio. Quella dei medici che si occupano sul territorio delle patologie causate da rapporti non protetti. Mentre i casi aumentano, spariscono campagne d'informazione ed educazione sessuale. E a trionfare restano ignoranza, paure e pregiudizi

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Nel 2017, il 56° Congresso nazionale dell’Associazione Dermatologi Ospedalieri lanciava l’allarme sull’aumento delle infezioni sessualmente trasmesse (MST): HIV, sifilide, gonorrea, condilomi, patologie funginee, ecc. Dal 2000 in Italia la sifilide è aumentata del 400%. Il notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sull’aggiornamento delle nuove diagnosi da HIV e AIDS al 31 dicembre 2021 segnala una costante diminuzione delle infezioni dal 2012.

Tuttavia, pur se su base nazionale, alcuni dati fanno riflettere: dal 2015 aumentano le persone cui viene diagnosticata tardivamente l’infezione HIV e nel 2021 più di 1/3 delle persone affette scopre di esserlo per la presenza di sintomi o patologie correlate, a fronte di un aumento della proporzione di malati di AIDS che lo apprende nei pochi mesi prima del suo sviluppo. In questo contesto la Calabria è virtuosa: è tra le ultime in Italia per contagi e infezioni, ma una di quelle che esporta di più in termini assistenziali (il 25% dei casi).

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La sede dell’ISS

Parlare oggi di MST, dopo due anni di pandemia in cui screening ed attenzioni sanitarie sono state tutte rivolte al Covid, è più complicato. Lo confermano sia l’ISS, sia i medici ascoltati. Si può affermare che, almeno per quanto riguarda HIV, dopo il ventennio ‘80 e ‘90 e la lotta all’epidemia di AIDS, i contagi si sono abbattuti tanto da far destinare i fondi della comunicazione sociale ad altre problematiche come l’obesità. Eppure, sia a livello nazionale che locale, le ricerche raccontano di un’attenzione calata: di MST si parla pochissimo. Non esistono campagne di prevenzione, non si fa comunicazione. Ciò ha fatto in modo che le diagnosi siano nella maggior parte dei casi tardive e sottoporsi ai test tutto meno che un’abitudine.

HIV e sifilide: il caso della città dello stretto

Reggio Calabria è un caso esemplare. Al reparto di Malattie infettive del Grande Ospedale Metropolitano dicono che nel biennio tra il 2018 e il 2019 hanno registrato un’impennata di infezioni di HIV e sifilide specie nei giovani dai 25 anni in su. Pur trattandosi spesso di pazienti omo-bisessuali, l’incidenza degli etero è aumentata. Una recente pubblicazione di Microbiologia dello stesso presidio, che indaga l’andamento delle infezioni da sifilide nel periodo pre-pandemico e pandemico da COVID-19, certifica un andamento costante delle infezioni, già aumentate nel biennio precedente. La ricerca mostra anche che, nella stragrande maggioranza dei casi, il test è stato fatto in strutture private e il trattamento terapeutico effettuato con un passaggio a livello ambulatoriale, ospedaliero. Chi mastica l’argomento, conosce le relazioni che sussistono tra sifilide e HIV: la prima, soprannominata anche “autostrada per HIV”, tende ad aprire una breccia nel sistema immunitario e a rendere più facile il contagio.

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Il GOM di Reggio Calabria

A dare uno spaccato della situazione è il dottor Alfredo Kunkar: «A fronte di una maggiore libertà di costumi sessuali, l’affermarsi di una maggiore promiscuità vissuta con troppa leggerezza rappresenta la prima causa di questa situazione. Unendo a ciò l’assenza di una cultura della prevenzione, il quadro è chiaro. Se è vero che la sifilide fino a qualche anno fa sembrava superata, il suo ritorno, anche in fasce della popolazione non costituite da categorie fragili (tossicodipendenti, prostitute, ecc.), ma dai cosiddetti “insospettabili”, abbinata ad una maggiore incidenza dell’HIV, dovrebbe aprire una riflessione sul tema, soprattutto tra i più giovani. Il fatto che ci sia poco dibattito e poca prevenzione, che a scuola non si parli di educazione sessuale, ha creato una percezione erronea di ciò che implica averci a che fare e su come affrontare terapie contro le infezioni sessuali».

Consultori solo a Catanzaro e Cosenza

Il medico chiarisce ulteriormente la situazione: «Tra i ragazzi si è radicata la convinzione, ad esempio, che di AIDS non muoia più e che le infezioni HIV siano curabili. La medicina ha fatto passi da gigante dalla grande emergenza degli anni ‘80, ma ricordiamoci che la severità di una patologia dipende dalla condizioni dei singoli e dal fatto che la diagnosi venga effettuata ad uno stadio già avanzato dell’infezione, ovvero che l’HIV sia degenerato in AIDS. Altro elemento importante: quando entrano in terapia, molti non hanno ben chiaro che si tratta di un trattamento a vita. Sono convinti che sia transitorio, ma così non è. Quando scoprono la verità hanno contraccolpi psicologici rilevanti che, in caso di richieste dei pazienti, affrontiamo appoggiandoci al reparto di psichiatria dell’ospedale. La paura più grande dei pazienti è legata allo stigma, specie in ambito professionale».

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L’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria

Per la provincia di Reggio, inoltre, a differenza che per Catanzaro e Cosenza, non esistono consultori territoriali che si occupino di MST. Secondo Santo Caridi, direttore sanitario dell’ASP di Reggio, il problema riguarda due aspetti: la scarsità di fondi e la mancanza di programmazione.

Papilloma, una buona notizia c’è

Secondo la dottoressa Francesca Liotta, direttrice sanitaria di Polistena, i dati disponibili sono solo una faccia della questione: «Temo si tratti di dati parziali. Credo che il sommerso sia molto più cospicuo. Nel nostro ospedale non abbiamo registrato casi negli ultimi due anni, ma sappiamo per certo che la popolazione non è abituata a fare screening regolari. Le analisi per infezioni sessuali che effettuiamo sono prevalentemente fatte post ricovero per altre patologie e vengono richieste dai reparti intensivi. Capita che ci siano pazienti che arrivano lamentando alcune sintomatologie e che però si rifiutino di approfondire le indagini, anche in caso di sospetto HIV.

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Un vaccino contro il papilloma virus

L’arrivo del coronavirus, poi, ha avuto il suo peso. Aggiunge Liotta: « Non scordiamoci che il Covid ha cambiato l’ordine delle priorità. L’emergenza pandemica ha fatto sì che l’attenzione verso altre criticità diminuisse anche nella percezione della popolazione. Le faccio un esempio: nel mio presidio ci siamo resi conto che c’è una grossa incidenza da infezioni funginee. Siamo invece a buon punto con la campagna di vaccinazione contro il Papilloma Virus, l’HPV». Rispetto al Papilloma anche nel presidio di Locri e a Reggio la copertura vaccinale è alta. È una buona notizia, perché l’HPV può aprire la strada ad ulteriori infezioni sessuali.

Cultura e prevenzione

Tutti concordano nel sottolineare un’assoluta mancanza di informazione e di cultura della prevenzione. «Compresa una mancanza di compliance – dice Cosimo Infusini, patologo e responsabile del settore Microbiologia clinica dell’ospedale di Polistena – con i medici di famiglia». Servirebbero due elementi fondamentali: budget da investire e sinergie da sviluppare. Per il primo aspetto, sia a livello ministeriale che di presidi locali, le coperture mancano. Quanto al secondo, investire a scuola, fin da quando la popolazione diventa sessualmente attiva, abbatterebbe la soglia di rischio, creando più consapevolezza e un impatto economico e sociale meno violento. Liotta batte molto su questo punto: «Oltre alle famiglie e alle scuole deve migliorare l’impegno di tutto il tessuto associativo dei territori. Una maggiore sensibilità e attenzione aiuterebbero molto. È un tema che riguarda in generale la saluta pubblica».

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Farmaci utilizzati nelle terapie antiretrovirali

Il problema di una scarsa cultura sanitaria, riguarda anche la PrEP, la terapia pre-esposizione a base di farmaci antiretrovirali che scherma dall’HIV in caso di rapporti occasionali non protetti. Se in alcune Regioni (Toscana ed Emilia Romagna) la PrEP è a carico dei sistemi sanitari regionali senza costi per gli utenti, la Calabria non la prevede. È sì disponibile nelle farmacie, ma sotto prescrizione medica e a pagamento. Anche di questo si parla troppo poco, perché è vero che la PrEP difende da infezioni HIV ma non dal resto. Elemento non sempre chiaro: Uutilizzare la PrEP non protegge da tutto, elemento spesso ignorato. E il suo uso continuativo può portare a disfunzioni renali. I farmaci utilizzati sono gli stessi dati in terapia ai sieropositivi, ma con un dosaggio più blando. Questo significa che, se hai rapporti non protetti, puoi evitare l’HIV, ma sei esposto a tutto il resto», chiarisce Kunkar.

PrEP e post-esposizione: rafforzare il counseling infettivologico

Secondo l’infettivologo Carmelo Mangano, esperto in HIV, «dovrebbe essere ampliata la possibilità di offrire la profilassi pre-esposizione o quella post-esposizione dopo un rapporto a rischio, accompagnandole con un counseling infettivologico per l’utilizzo dei chemioterapici antiretrovirali. Servirebbe non solo un facile accesso al servizio di diagnosi ma anche un facile accesso territoriale di cura, al netto dell’offerta ospedaliera che andrebbe riservata agli acuti critici, offrendo un servizio di qualità e di utilità pubblica».

«Sul nostro territorio prosegue Mangano – ci sono gli attori qualificati ed esperti in Prevenzione, si tratta di comprendere in termini di politica sanitaria il problema relativo alla necessità di profilassi delle MST creando anche un ambulatorio di riferimento, oltre al laboratorio diagnostico dell’ASP Polo Nord di Reggio. Assieme a campagne di sensibilizzazione sull’uso dei contraccettivi per ogni tipo di rapporto si potrebbero ridimensionare le spese e offrire un servizio migliore per gli utenti che, sempre più frequentemente, chiedono prestazioni sanitaria specifiche per le MST».

La testimonianza: vivere con l’HIV tra stigma e pregiudizi

«Sono sieropositivo da gennaio 2016, o per lo meno è quando l’ho scoperto. Sono andato a fare gli esami perché, avendo notato strani sintomi fisici, come mal di gola, rush cutanei, ingrossamento dei linfonodi, ho cercato informazioni su forum dedicati e da lì ho iniziato a prendere consapevolezza. A mia memoria non avevo avuto comportamenti sessuali a rischio, ma può essere che fossi già infetto. Nel 2007, 11 anni prima, infatti mi era stata diagnosticata la sifilide. Non avevo mai pensato prima di fare il test. Non sono andato in ospedale, ma in una struttura privata territoriale. Successivamente ho rifatto le analisi in ospedale e ho iniziato la terapia. Sono stato fortunato perché non sono mai sceso sotto gli 800 CD4/ml, che sono le sentinelle della solidità del sistema immunitario. Un sieronegativo ne ha una soglia base di 1000.

Sono entrato in terapia a meta febbraio 2016. L’impatto è stato terribile. Prima di prendere la prima pillola ho pianto a lungo: ero consapevole che la mia vita sarebbe cambiata. Il primo anno è stato duro perché ero spaventato, ma ho iniziato a studiare e informarmi su Hivforum.info, la piattaforma più aggiornata dal punto di vista della ricerca e delle testimonianze. Mi è servito tempo per metabolizzare. L’ospedale di Reggio non mette a disposizione un’equipe di supporto psicologico per chi fa questo accesso. È vero che Malattie Infettive collabora con Psichiatria ove necessario, ma ne faccio una questione di metodo: non è il paziente a dover chiedere il supporto, ma la struttura a dover fornire fin da subito il supporto psicologico. Dal confronto con pazienti che si curano altrove so che in altri contesti, come Milano, Firenze, Roma, le cose funzionano diversamente.

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Ho passato momenti di paura, ma per vincerla bisogna informarsi. Studiare e capire aiuta anche la propria postura psicologica. L’HIV non è una malattia, ma un’infezione cronica che può trasformarsi in patologia se non viene trattata. Sono arrivato a pensare che è meglio l’HIV che un cancro al pancreas. Ad oggi la terapia ti consente una vita normale, anche di avere figli senza mettere in pericolo la loro salute o quella della madre. Certo, vivo in terapia vita natural durante, ma ho la stessa aspettativa di vita dei sieronegativi. Ho conosciuto persone la cui diagnosi era arrivata mentre avevano un livello di CD4 di 4/ml, il che significa sistema immunitario distrutto. Con un mese di trattamento sono tornate a livelli quasi normali.

Ad oggi nessuno sa di me, tranne la mia famiglia, perché lo stigma è ancora alto: l’ignoranza instilla pregiudizio. Manca parlare di MST, di contraccezione, di prevenzione. La mia famiglia ha reagito bene, anche se il colpo è stato duro. Io mi controllo costantemente e loro sono sempre informati sulle mie condizioni. Ho deciso di non dirlo alla mia ragazza. La mia carica viremica è pari a zero e non ho obblighi giuridici. Potrebbe insorgere un obbligo morale, ma è un tema che andrà affrontato quando e se decideremo di costruire un percorso di vita comune.

Di certo c’è che in tutti questi anni mi sono state fatte solo una TAC e una risonanza magnetica: il problema della sanità di seria A e di serie B esiste. Le persone sieropositive come me che vivono in contesti più ricchi hanno altri tipi di servizi, a partire dal fatto che hanno praticamente il loro infettivologo personale. Una cosa che qui a Reggio non ho mai visto, forse anche per una organizzazione del reparto che potrebbe essere migliore.
Bisogna fare educazione sessuale, parlare, diffondere cultura. Ricordiamoci una cosa: i sieropositivi monitorati non mettono in pericolo nessuno. Non c’è motivo di avere paura. È ora di sradicare questo stigma».

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