Ferrari, Porsche, Lamborghini, BMW: c’è stato un tempo in cui la ‘ndrangheta manteneva un profilo un po’ più basso, con i lussi ben celati. Magari all’interno di case sprovviste di facciata e con i mattoni ben in vista, espressioni di pregio del “non finito calabrese”. Oggi, invece, le nuove generazioni dei clan non disdegnano i lussi. E iniziano anche a ostentarli. Troppo presto per parlare di una “camorrizzazione” della ‘ndrangheta. Ma di certo le nuove leve delle ‘ndrine non disdegnano i motori rombanti. E con essi fanno anche tanti affari.
Il traffico internazionale
L’ultima scoperta, appena poche settimane fa, con l’arresto di 14 persone e il sequestro di oltre 13 milioni di euro in Germania. Tra i soggetti coinvolti, i fratelli Sebastiano e Giuseppe Pelle, esponenti dello storico casato di ‘ndrangheta. Un’inchiesta, quella portata avanti dagli inquirenti italiani e tedeschi, che ha riguardato una enorme frode fiscale internazionale nel settore del commercio di auto di lusso e un traffico di sostanze stupefacenti.
Sebastiano Pelle risponde di frode all’Iva condotta attraverso società cartiere dal 2017 fino a qualche mese fa. Mentre Giuseppe Pelle sarebbe coinvolto in un traffico di sostanze stupefacenti, in particolare hashish. Gli inquirenti ipotizzano una frode Iva transfrontaliera, incentrata sulla vendita dei veicoli. Auto trasferite a varie società con sede in Italia, Belgio, Bulgaria, Francia e Portogallo. Ma secondo gli atti d’indagine «si tratta di trasferimenti soltanto apparenti, posto che i suddetti veicoli venivano in realtà venduti ad altre persone o società e, certamente in molti casi, essi rimanevano nel territorio tedesco, senza dare vita ad una reale transazione intracomunitaria».
Gli affari
Le indagini sul conto di Sebastiano Pelle porteranno anche a scoprire il traffico di droga gestito dal fratello Giuseppe in combutta con la famiglia Barbaro-Papalia. Proprio al nipote dello storico boss Rocco Papalia, il 32enne Domenico Sergi, al momento dell’arresto, avvenuto nel 2018, verrà anche sequestrata una Maserati Gran Turismo del valore di 100 mila euro rubata a una società di noleggio.
Del resto, già da tempo, sia al Nord, che all’estero, la ‘ndrangheta cura con grande attenzione il settore dell’automotive di lusso. In generale, al pari dell’edilizia e della grande distribuzione, il mercato delle auto è un business storico. Proprio recentemente, il Gip di Reggio Calabria ha rinviato a giudizio i noti imprenditori Frascati, coinvolti nell’inchiesta “Mercato Libero”. Si tratta di un nucleo familiare attivo da decenni in riva allo Stretto e concessionario di marchi importanti come Honda e Mazda. Secondo la Dda di Reggio Calabria, i Frascati sarebbero un avamposto economico della potente cosca Libri.
Nel maggio del 2019, nel corso di un’inchiesta sulla ‘ndrangheta in Canada, tra i beni sequestrati (oltre a ville di lusso e Rolex) finirà anche una Ferrari del valore di oltre un milione di euro. Due anni prima, un’inchiesta della Dda di Catanzaro si concentra sugli affari della ‘ndrangheta in Umbria. E, in particolare, di clan Trapasso e Mannolo di Cutro. Tra le società interessate, anche una con sede a Milano.
E lì, gli inquirenti trovano di fronte un campionario di auto di livello elevatissimo. Tra le altre vetture sequestrate, una Lamborghini “Huracan” da 200mila euro e una “Aventador”, che invece si aggira sui 350mila euro. E poi una McLaren “MA3” da 300 mila euro, un paio di Ferrari cabrio e una “812 Superfast” (anche qui siamo sui 300mila euro), poi Bentley e Rolls Royce. Ma anche Audi e Mercedes. Che in quel garage sembrano quasi utilitarie. Un parco auto da 4 milioni di euro.
Nel maggio scorso, la Procura di Asti ha chiuso il cerchio su una presunta associazione criminale che si muoveva tra Cuneo, Torino e Asti. Un giro internazionale illecito di auto di lusso (tra cui Bmw e Mercedes) e documenti di circolazione. Con un obiettivo: “ripulire” in giro per l’Italia i mezzi usati in vari crimini in mezza Europa, agevolando anche la ‘ndrangheta.
Il garage di lusso della ‘ndrangheta
Nel settembre 2021 l’arresto, dopo tre anni di latitanza, del 39enne Giuseppe Nacci, ricercato a livello internazionale per una condanna a 11 anni per reati di bancarotta fraudolenta, tentata estorsione e associazione a delinquere. Uomo ritenuto in affari con la famiglia Flachi, esponenti di spicco della ‘ndrangheta al Nord. Nel 2018, poco prima di darsi alla macchia, era stato fermato a Montecarlo a bordo di una Lamborghini bianca e con addosso dei documenti poi rivelatisi falsi.
Anni prima, al clan degli Zingari, nel Cosentino, la Dda sequestrò una Ferrari 360 Modena (valore circa 150mila euro), una Chevrolet Camaro (oltre 40mila euro), Smart fourfour (25mila euro), Land Rover, Mercedes ml ed Aston Martin il cui valore complessivo ammonta a diverse centinaia di migliaia di euro. Nel processo “Rinascita-Scott”, il pentito Andrea Mantella definisce “un mito” il boss vibonese Saverio Razionale: “Girava per Vibo con una Lamborghini Diablo”. Una supercar prodotta dall’azienda italiana in nemmeno 3.000 esemplari tra il 1990 e il 2001. Oggi vale tra i 150mila e i 200mila euro.
All’imprenditore Pasquale Capano, nativo di Belvedere Marittimo, in provincia di Cosenza, ma residente da tempo a Roma, la DIA sequestrerà beni per oltre 50 milioni di euro, ritenendolo uomo assai vicino alla potente cosca Muto di Cetraro. Oltre a ville con piscina e lussi di ogni tipo, nel suo garage, anche una Ferrari F430. Quando era in commercio si partiva da circa € 175.000 per la coupé e da circa 200.000€ per la Spider. Ma non solo: anche un fuoristrada Hummer 6000 di cilindrata, una Mercedes classe E (circa 50mila euro di valore), una Bmw X5 (70mila euro a listino).
L’auto di Franco Muto
A proposito di Franco Muto. Siamo ben lontani dalla sua tipologia di auto. Il “re del pesce” di Cetraro è considerato uno dei boss più carismatici del panorama criminale. Uno dei pochi, fuori dai confini della provincia di Reggio Calabria, così autorevole da potersi relazionare con il “Crimine di Polsi”. Entra ed esce dalle cronache giudiziarie da quarant’anni.
Il 21 giugno 1980 viene ucciso Giannino Losardo, consigliere comunale del Partito comunista di Cetraro, nonché attivista antimafia. Gli inquirenti sostengono che i mandante sia proprio lui, Franco Muto. Ma sarà assolto in primo e secondo grado e la sentenza è passata in giudicato. Il pentito Fonti lo tirerà in ballo anche con riferimento all’affondamento della motonave Cunsky, carica di rifiuti tossici e radioattivi. Ma la vicenda verrà chiusa con grande solerzia.
Alcuni mesi fa, la sua autovettura fu anche messa in vendita all’asta sui portali Classic Driver e Bring a trailer. Né Ferrari, né Lamborghini. E nemmeno Maserati o Mercedes. L’auto di Franco Muto era un’Alfa Romeo “Alfetta 2000”. Una berlina sportiva di classe medio-alta prodotta tra il 1972 e il 1984 dalla casa milanese Alfa Romeo nello stabilimento di Arese.
Attenzione a definirla un’auto “banale”. L’Alfa Romeo del 1980, infatti, era totalmente blindata. Dai vetri rinforzati anche col plexiglass, alle ruote in acciaio da 15’’. Dotata persino di un interfono. Nell’annuncio, al limite del grottesco, veniva sottolineato come l’auto fosse appartenuta a «un noto membro della mafia italiana». Un’auto in vendita a poco meno di 20mila euro. E il pacchetto comprendeva anche gli ordini impartiti dal boss all’interno della vettura.