Droga, “colletti bianchi”, Covid e criptovalute: le ‘ndrine secondo la DIA

Presentato in Parlamento il rapporto sulle attività della criminalità organizzata nel secondo semestre del 2020. Tra "locali" disseminati nel Nord Italia e infiltrazioni nei palazzi del potere a Roma, ecco il ritratto della ‘ndrangheta tracciato dall'Antimafia

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Mafie 2.0. Anzi, forse già 4.0. Presenti in tutto il mondo. Capaci di evolversi, di sfruttare le nuove emergenze e le nuove tecnologie. Ma, allo stesso tempo, anche colpite dall’azione repressiva delle forze dell’ordine. Emerge questo dalla Relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia. Il report si riferisce al secondo semestre del 2020 e analizza le emergenze giudiziarie, ma anche sociali sui fenomeni mafiosi.

Le tante facce delle mafie

Il tratto caratteristico sottolineato dalla DIA è la capacità delle mafie di cambiare il proprio volto all’occorrenza. Senza perdere la propria forza intimidatrice di banda armata, la criminalità organizzata mostra però sempre di più il proprio volto “gentile”. Aspetto e comportamenti presentabili, per dialogare con mondi con cui non dovrebbe esserci alcun tipo di collegamento. Vale per tutte le mafie: Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra. E la crescente Sacra Corona Unita, che, tra tutte, è quella che mantiene di più il proprio volto selvaggio e spietato. Ma il dato sottolineato dalla DIA è la tendenza a sostituire «l’uso della violenza, sempre più residuale, con linee d’azione di silente infiltrazione».

Il report della DIA riprende le indagini effettuate, lungo la Penisola, dalle Dda. E sempre con maggior forza le indagini rimarcano «l’attitudine delle ‘ndrine a relazionarsi agevolmente e con egual efficacia sia con le sanguinarie organizzazioni del narcotraffico sudamericano, sia con politici, amministratori, imprenditori e liberi professionisti».

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Particolare spazio è dedicato alla realtà criminale della Capitale. “Roma città aperta”, davvero. Ma nel senso che lì riescono a penetrare sostanzialmente tutte le mafie. Che poi dialogano, proficuamente, con la criminalità locale e con le organizzazioni criminali straniere. «A un livello più strategico – si legge nel documento – condotte violente quali omicidi, tentati omicidi o gambizzazioni possono risultare funzionali a orientare o persino deviare significativamente il corso delle relazioni delinquenziali (anche datate) delle alleanze ovvero degli equilibri spesso labili e comunque sempre soggetti al business contingente».

A Roma, mafia, camorra e ‘ndrangheta fanno affari e riciclano denaro. Forti della maggiore capacità di occultamento e mimetizzazione. «La mancanza di un’organizzazione egemone con cui fare i conti e di contro l’elevato potenzialità del capitale sociale del territorio (in termini di presenze criminali, rete di professionisti, esponenti istituzionali, amministratori pubblici, politici locali e nazionali) sono fattori che uniti alle emergenze originate dall’emergenza sanitaria da Covid-19 sicuramente possono favorire il reinvestimento dei capitali illeciti», segnala il documento di oltre 500 pagine.

Le mafie e il Covid

Più e meglio di chiunque, le mafie riescono a interpretare in anticipo i cambiamenti della società. E a sfruttare le emergenze. Di qualsiasi tipo. Si pensi alle infiltrazioni negli appalti dopo una catastrofe (su tutte, il terremoto de L’Aquila). Non fa eccezione, evidentemente, anche la pandemia da Coronavirus, che ha investito l’Italia e il mondo tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020. Ancora dalla relazione della DIA: «Il rischio di inquinamento dell’economia che è stato ulteriormente accentuato dalla crisi pandemica, nella capitale potrà comportare un ulteriore espansione delle condotte usurarie che potrebbero andare a intaccare non solo le piccole e medie imprese ma anche i singoli».

Ancora una volta, viene presa Roma come esempio di quanto possa avvenire, però su tutto il territorio nazionale. «Non sono tuttavia da sottacere quelle condotte violente opera di soggetti criminali emergenti che si presentano alla lente degli analisti e degli investigatori come funzionali alla conquista di porzioni di territorio per la gestione delle piazze di spaccio degli stupefacenti il cui approvvigionamento resta tendenzialmente appannaggio di camorra, ‘ndrangheta e in misura minore di cosa nostra con gruppi di criminalità straniera, in particolare albanese, che si stanno sempre più affermando nel settore».

I Calabresi aveva già effettuato un’inchiesta sulla capacità della ‘ndrangheta di sfruttare il welfare. Dai bonus spesa Covid, al Reddito di Cittadinanza. Una tendenza che adesso viene sottolineata anche dalla DIA. «La spregiudicata avidità della ‘Ndrangheta non esita a sfruttare il reddito di cittadinanza nonostante la crisi economica che grava anche sul contesto sociale calabrese e benché l’organizzazione disponga di ingenti risorse finanziarie illecitamente accumulate». L’affermazione della DIA richiama diverse indagini che hanno visto personaggi affiliati o contigui ai clan calabresi quali indebiti percettori del reddito di cittadinanza: dalle famiglie Accorinti del Vibonese, a quelle crotonesi, come i Mannolo oppure i Pesce e i Bellocco di Rosarno. O alle famiglie di San Luca.

‘Ndrangheta regina del narcotraffico

Le analisi focalizzano la visione «globalista» della ‘ndrangheta. La relazione della DIA utilizza proprio questo termine per documentare come le ‘ndrine si siano stabilite in numerosi Paesi del mondo e siano capaci di dialogare da pari a pari con i produttori di droga dell’America Latina. La relazione censisce i gruppi affiliati in tutte le regioni italiane, in diversi Paesi europei (Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Olanda, Germania, Austria, Repubblica Slovacca, Romania e Malta), nonché in Australia, Stati Uniti e Canada.

San Giusto Canavese (Torino) e Lonate Palazzolo (Varese), Lona Lases (Trento) e Desio (Monza e Brianza), Lavagna (Genova) e Pioltello (Milano). Sono solo alcuni dei “locali” di ‘ndrangheta al nord. Luoghi lontani dalla “casa madre” calabrese, dove, comunque, le ‘ndrine avrebbero messo radici. La Direzione investigativa antimafia nella sua Relazione semestrale al Parlamento conta ben 46 “locali” nelle regioni settentrionali. Sono 25 in Lombardia, 14 in Piemonte, 3 in Liguria, 1 in Veneto, 1 in Valle d’Aosta ed 1 in Trentino Alto Adige.

Ritorna quindi il concetto di holding, capace di ripulire gli enormi capitali illeciti, frutto dei traffici di droga. Proprio nel mercato della droga, la ‘ndrangheta continua a essere leader a livello internazionale. Una visione, quella della DIA, che va a cozzare con quanto messo nero su bianco pochi giorni fa dall’Europol. Che, invece, dava un ruolo in grande crescita alle organizzazioni criminali albanesi.

«Non più impermeabile»

Un aspetto molto importante sotto il profilo investigativo ma, forse, anche sociale è quello che la DIA rileva sul fenomeno delle collaborazioni con la giustizia. Il “pentitismo” da cui, per tantissimo tempo, la ‘ndrangheta è rimasta pressoché immune. Si legge nella Relazione Semestrale: «Non appare più così monolitica ed impermeabile alla collaborazione con la giustizia da parte di affiliati nonché di imprenditori e commercianti, sino a ieri costretti all’omertà per il timore di gravi ritorsioni da parte dell’organizzazione mafiosa».

Le indagini, evidenzia la Relazione, danno conto «dell’ampio e pressoché inedito squarcio determinato dall’avvento sulla scena giudiziaria di un numero sempre più elevato di ‘ndranghetisti che decidono di collaborare con la giustizia». E anche «esponenti di primo piano hanno scelto di rompere il silenzio».

‘Ndrangheta e “colletti bianchi”

Il timore è quello di sempre. La conquista di ampie fette di mercato da parte delle cosche. «Le ‘ndrine – si legge nel documento – potrebbero intercettare i vantaggi e approfittare delle opportunità offerte proprio dalle ripercussioni originate dall’emergenza sanitaria, diversificando gli investimenti secondo la logica della massimizzazione dei profitti e orientandoli verso contesti in forte sofferenza finanziaria”.

In particolare, «secondo un modello collaudato, la criminalità organizzata calabrese persisterebbe nel tentativo di accreditarsi presso imprenditori in crisi di liquidità ponendosi quale interlocutore di prossimità, imponendo forme di sostegno e prospettando la salvaguardia della continuità aziendale, nel verosimile intento di subentrare negli asset proprietari e nelle governance aziendali al duplice scopo di riciclare le proprie disponibilità di illecita provenienza e inquinare l’economia legale impadronendosi di campi produttivi sempre più ampi».

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La relazione semestrale della Dia

Anche i settori commerciali di interesse sono quelli di sempre: dalle costruzioni agli autotrasporti, passando per la raccolta di materiali inerti. E poi, ancora, ristorazione, gestione di impianti sportivi e strutture alberghiere, commercio al dettaglio. E, ovviamente, il settore sanitario. «Si registrano nel settore del contrabbando di prodotti energetici (oli lubrificanti ed oli base) in virtù dei notevoli vantaggi economici derivanti dalla possibilità di immettere sul mercato prodotti a prezzi sensibilmente più  bassi di quelli praticati dalle compagnie petrolifere», scrive ancora la DIA. Eccola la sinergia tra mafie e colletti bianchi: «Incaricati di curare le importazioni di carbo-lubrificanti dai Paesi dell’Est Europa, gestire la distribuzione dei prodotti sull’intero territorio nazionale attraverso società-filtro create ad hoc per attestare attraverso falsa documentazione il fittizio assolvimento degli adempimenti tributari e in tal modo riciclare i capitali di provenienza illecita messi a disposizione dai sodalizi mafiosi».

«La ‘Ndrangheta esprime un sempre più elevato livello di infiltrazione nel mondo politico-istituzionale, ricavandone indebiti vantaggi nella concessione di appalti e commesse pubbliche». Perché, oltre alla smisurata capacità economica, la vera forza della ‘ndrangheta, sono le relazioni. Quelle che le permettono di entrare nei palazzi del potere, di dialogare con mondi (anche occulti) con cui sarebbe dovuta entrare in contatto: «Grazie alla diffusa corruttela vengono condizionate le dinamiche relazionali con gli enti locali sino a controllarne le scelte, pertanto inquinando la gestione della cosa pubblica e talvolta alterando le competizioni elettorali».

Le criptovalute

Proprio grazie ai professionisti al proprio servizio, le cosche riescono anche a cogliere e interpretare le varie opportunità offerte della globalizzazione. «Avvalendosi sempre più delle possibilità offerte dalla tecnologia si orientano verso i settori del gioco d’azzardo (gaming) e delle scommesse (betting) nei quali imprenditori riconducili alla criminalità organizzata, e grazie alla costituzione di società sedenti nei paradisi fiscali, creano un circuito parallelo a quello legale che consente di ottenere notevoli guadagni e in particolare di riciclare in maniera anonima cospicue quantità di denaro».

Denari che poi si muovono in giro per l’Europa e per il mondo. Sia nel Vecchio Continente, con Svizzera, Lussemburgo e Malta. Sia in altre zone del pianeta, come Dubai, Seychelles, Hong Kong, sono disseminati paradisi fiscali o, comunque “zone franche”. Dove la ‘ndrangheta opera finanziariamente in maniera pressoché incontrollata. E nella gestione dei suoi business ricorre sempre più spesso «a pagamenti con criptovalute quali i Bitcoin e più recentemente il Monero, che non consentono tracciamento e sfuggono al monitoraggio bancario».
Ecco la ‘ndrangheta 2.0. Che corre veloce, però. Quindi, forse, è già ‘ndrangheta 4.0.

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