Covid e welfare, quanti affari per la ‘ndrangheta

Reddito di cittadinanza e buoni spesa nel mirino dei clan, con numerosi beneficiari tra gli affiliati. Ma le 'ndrine lucrano anche sulla vendita di dispositivi di protezione e i servizi nelle strutture sanitarie colluse

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Il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, nella recente pubblicazione di Danilo Chirico “Storia dell’anti-‘ndrangheta” parla così dell’occasione che la pandemia da Coronavirus e la crisi economica potranno rappresentare per le mafie e, nello specifico, la ‘ndrangheta. La crisi offre nuove opportunità ai gruppi criminali, sia nei settori tradizionali «come le multiservizi (mense, pulizie, disinfezione), intermediazione della manodopera, rifiuti, imprese di costruzioni» sia in quelli che «appaiono particolarmente lucrosi come il commercio di mascherine o il turismo». Non è solo un’ipotesi fondata sull’esperienza: sono già almeno «trenta le situazioni sospette intercettate, con società che sono state costituite all’estero che commerciano in dispositivi di protezione, riconducibili a organizzazioni mafiose o ’ndranghetiste».

Ma se il “contagio” dell’economia è storia vecchia di almeno 50 anni, quello delle somme più precisamente riguardanti il welfare in tempo di Covid, è stato, fin da subito un obiettivo perseguito dalla ‘ndrangheta. Due misure, su tutte, hanno rappresentato in questi mesi di pandemia una boccata d’ossigeno per numerose famiglie in difficoltà economica: il Reddito di Cittadinanza e i Buoni Spesa Covid. E su entrambe la ‘ndrangheta ha messo le mani.

Le mani sul reddito di cittadinanza

La relazione della Direzione Investigativa Antimafia nel 2020 contiene testualmente: «Nel semestre è emerso un ulteriore aspetto comprovante l’ingordigia ‘ndranghetista in spregio alla situazione emergenziale vissuta dal contesto sociale calabrese appena descritto, in totale distonia con le ingenti risorse economiche a disposizione delle consorterie, anche attraverso le richieste del reddito di cittadinanza».

La appropriazione indebita dei membri dei clan del reddito di cittadinanza è al centro anche della polemica politica tra i sostenitori della misura, il Movimento 5 Stelle in primis, che ne ha fatto un simbolo, e gli “abolizionisti”. Sono numerosi gli episodi censiti negli ultimi mesi.  Il 15 marzo del 2021 la Guardia di Finanza scopre 86 “furbetti” del Reddito di Cittadinanza. Truffa da oltre 700mila di euro. Una quindicina di costoro ha anche condanne per reati di ‘ndrangheta. L’hanno ottenuto semplicemente omettendo il proprio trascorso giudiziario. E i sussidi sono arrivati.

Si tratta, evidentemente, di appetiti (soddisfatti) che non riguardano solo la ‘ndrangheta. Anche le altre mafie, Cosa Nostra su tutte, si sono accaparrate somme ingenti. In un unico caso, siamo nello scorso aprile, la cifra ammonta a oltre 600mila euro. Questo perché, unitamente alla ‘ndrangheta, Cosa Nostra è l’organizzazione mafiosa che maggiormente fa del controllo del territorio un marchio di fabbrica. Depredare il welfare, infatti, non è solo una questione di introito economico. In questo modo si (ri)afferma la superiorità sullo Stato. Storicamente, i grandi boss della ‘ndrangheta puntano e ottengono (indebitamente) l’indennità di accompagnamento dall’INPS o accedono (altrettanto indebitamente) ai sussidi previsti dalla Legge 104.

Un affare per la ‘ndrangheta che conta

Il Reddito di Cittadinanza viene approvato all’inizio del 2019. La ‘ndrangheta si organizza ben presto. In circa un anno viene documentato come esponenti di grande rilievo delle cosche Piromalli e Molè di Gioia Tauro siano riusciti ad ottenere il sussidio. Si tratta di persone condannate per reati di ‘ndrangheta, talvolta all’ergastolo e detenuti in regime di 41 bis. Ma anche sorvegliati speciali, con le rispettive consorti. Danno erariale da 280 mila euro.  A infiltrarsi nelle maglie del welfare in tempo di pandemia non sono ladruncoli da quattro soldi, ma  bdella ‘ndrangheta. Non solo i Piromalli e i Molè, ma anche i Pesce e i Bellocco, come mostrato da altre inchieste.

Le indagini documentano le ruberie di cosche che appartengono al gotha della ‘ndrangheta, come i Tegano e i Serraino di Reggio Calabria. Ma anche i figli di Roberto Pannunzi, considerato il “Pablo Escobar italiano”, uno dei più importanti narcotrafficanti della storia, capace di dialogare da pari a pari con i cartelli sudamericani. Non è un caso che anche nel maxiprocesso “Rinascita-Scott”, con cui la Dda di Catanzaro, retta da Nicola Gratteri, sta portando alla sbarra i rapporti tra cosche e massoneria, risultino tra gli imputati soggetti percettori del reddito di cittadinanza.

A dicembre 2020 invece la Guardia di Finanza di Crotone scopre che fra i “furbetti” c’era un esercito di picciotti, luogotenenti e boss di Alfonso Mannolo, arrestato nel 2019 come elemento di vertice del clan di San Leonardo di Cutro e accusato di associazione mafiosa, traffico di droga, riciclaggio, estorsione e usura. Febbraio 2021: tra le persone individuate dalla Guardia di Finanza, c’è anche un soggetto condannato in via definitiva nell’ambito del processo “Kyterion”, come affiliato alla potente cosca dei Grande Aracri.  In un altro caso, siamo a maggio 2021, scoperto dall’Autorità Giudiziaria vibonese, l’importo delle somme indebitamente ottenute, ammonta a 225mila euro. Si parla, complessivamente, di diversi milioni di euro.

La ricchezza in tempo di Covid

L’altra grande forma di accaparramento di denaro pubblico nel periodo della pandemia è rappresentata dai Buoni Spesa Covid. Una forma di sussidio istituita nel corso della prima ondata della pandemia e su cui la ‘ndrangheta, già nel luglio 2020, aveva messo le mani. Sono 45mila gli euro intascati indebitamente dagli uomini del clan grazie al Decreto Rilancio. L’inchiesta, coordinata dalla Dda di Milano, si è concentrata sugli appetiti di tre aziende riferibili alla ‘ndrangheta del Crotonese. Ancora una volta ai Grande Aracri.

Alla fine del 2020, 186 denunce in provincia di Reggio Calabria per indebite percezioni sui Buoni Spesa Covid. Un terzo degli indagati risulta avere legami di parentela con soggetti appartenenti a ‘ndrine o a famiglie di interesse investigativo. Il totale delle irregolarità riscontrate comprende un danno erariale complessivo di circa 357mila euro. E si è scongiurata, per il tratto a venire, un’ulteriore perdita di circa 127.000 euro. Somme che gli uomini e le donne di ‘ndrangheta avrebbero altrimenti incassato.

Si tratta, se possibile, di cifre e proporzioni ancor più grandi rispetto a quelle del Reddito di Cittadinanza. Recentemente, in provincia di Vibo Valentia sono scattate circa 300 denunce per buoni spesa direttamente dai Comuni a persone che autocertificavano il proprio stato di difficoltà economica sulla base di bandi stilati dagli stessi enti locali. Tra questi, diversi affiliati alle cosche. Sono così emerse una serie di irregolarità per un danno erariale complessivo di oltre 100mila euro. Uno degli ultimi casi è di metà maggio 2021. Coinvolge 478 denunciati e tra essi molti affiliati alla ‘ndrangheta vibonese. Per loro sono arrivati 70mila euro, senza che ne avessero diritto.

Il lockdown per fare affari

Le mafie e la ‘ndrangheta in particolare sanno sfruttare ogni occasione. Anche i lunghi periodi di lockdown e la pandemia sono diventati occasione per lucrare. Ancora dalla relazione della DIA: «Il lockdown ha rappresentato la ennesima occasione per le consorterie criminali di sfruttare la situazione per espandersi nei circuiti della economia legale e negli apparati della pubblica amministrazione».

Sempre in “Storia dell’anti-‘ndrangheta” di Danilo Chirico si dà conto di quanto messo nero su bianco dall’Organismo permanente di monitoraggio e analisi sul rischio di infiltrazione nell’economia da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso, istituito dal Ministero dell’Interno. Gravi le affermazioni che sostengono come le mafie (e, in primis, la ‘ndrangheta) stiano tentando di «accedere illecitamente alle misure di sostegno all’economia», di ottenere il pagamento di prestazioni sanitarie in favore di aziende “mafiose” o collaterali ai clan e di svolgere servizi utili ad affrontare la pandemia (per esempio la sanificazione delle strutture).

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